Vittime innocenti. Agosto 1976-2015
Il 4 agosto del 2009 a Napoli fu uccisa la guardia giurata di 45 anni Gaetano Montanino. Era in auto di servizio con il suo collega, fermi davanti ad un negozio di giocattoli a Piazza Mercato quando un gruppo di ragazzi del quartiere decise di rapinare le armi ai due vigilanti. Su uno scooter si avvicinarono all’auto due di loro, armati e con i volti coperti dai caschi. Le guardie reagirono e i due rapinatori spararono. Gaetano Montanino venne raggiunto da otto colpi di pistola, morì sul colpo. La sera stessa dell'omicidio venne fermato uno dei due assassini, rimasto ferito durante la sparatoria. La testimonianza del collega di Montanino, Fabio De Rosa, ha permesso ai poliziotti della Squadra Mobile di ricostruire la dinamica dei fatti. Nell'aprile del 2012 la sentenza di secondo grado condanna i due maggiorenni a venti anni di reclusione. Il 5 agosto del 1989 a Palermo furono uccisi Antonino Agostino, poliziotto di 28 anni, e Ida Castelluccio, sua moglie di 19 anni. Era a Villagrazia di Carini con la moglie, Ida Castelluccio, sposata appena un mese prima. La sua consorte era incinta di cinque mesi di quello che sarebbe stato il loro primo figlio. Mentre entravano nella villa di famiglia per festeggiare il compleanno della sorella di lui, un gruppo di sicari in motocicletta arrivarono all’improvviso e cominciarono a sparare. Ai funerali di Antonino e Ida erano presenti i giudici antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Lo stesso Falcone disse ad un amico commissario: «Io a quel ragazzo devo la vita». Antonino Agostino stava indagando sul fallito attentato dell’Addaura: il 21 giugno 1989 alcuni agenti di scorta trovarono su una spiaggia dell’Addaura un borsone contenente cinquantotto candelotti di tritolo. In quella stessa spiaggia si trovava la villa di Giovanni Falcone, obiettivo del fallito attentato. Il 6 agosto 1990 ad Ercolano venne ucciso Francesco Oliviero, manovale di 55 anni. Rimase vittima di una sparatoria. Era un manovale senza precedenti penali, invalido civile che, mentre passeggiava per la strada, fu spettatore involontario della sparatoria tra Michele Beato, un pregiudicato, in sella ad una moto e dei soggetti ignoti a bordo di un’auto. Un proiettile calibro 7.65 raggiunse anche Francesco. Non si sa se i sicari si accorsero dello scomodo testimone decidendo di eliminarlo oppure se la morte di Oliviero fu decretata da una pallottola vagante. Quel che è certo è che la vita di una persona innocente è stata spezzata da una guerra di camorra. Il 9 agosto del 1991 a Campo Calabro (RC) venne ucciso il giudice Antonino Scopelliti, 56 anni. Si era occupato di vari maxi processi, di mafia e di terrorismo. Rappresentò la pubblica accusa nel caso Moro durante il primo processo, nel sequestro dell'Achille Lauro, nella Strage di Piazza Fontana e in quella del Rapido 904. Era tornato nella sua regione per trascorrere le vacanze. Mentre rientrava in paese a bordo della sua automobile, venne intercettato dai suoi assassini, almeno due persone a bordo di una moto, appostati lungo la strada. L'agguato avvenne all'altezza di una curva, poco prima del rettilineo che immette nell'abitato di Campo Calabro. Gli spararono con fucili calibro 12 caricati a pallettoni. La morte del magistrato, colpito con due colpi alla testa esplosi in rapida successione, fu istantanea. L'automobile, priva di controllo, finì in un terrapieno, per questo in un primo momento si pensò ad un incidente stradale. Quando fu ucciso stava preparando, in sede di legittimità, il rigetto dei ricorsi per Cassazione avanzati dalle difese dei più pericolosi esponenti mafiosi condannati nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra. Secondo i pentiti della 'ndrangheta Giacomo Lauro e Filippo Barreca, sarebbe stata la cupola di Cosa Nostra siciliana a chiedere alla ndrangheta di uccidere Scopelliti, e, in cambio del ''favore'' ricevuto, sarebbe intervenuta per fare cessare la ''guerra di mafia'' che si protraeva a Reggio Calabria dall'ottobre 1995. Il 10 agosto del 2000 nel quartiere napoletano di Pianura vennero uccisi Paolo Castaldi e Luigi Sequino. Quella sera i due ragazzi si fermarono a parlare nei pressi dell'abitazione di Gigi che era anche il luogo di residenza di Rosario Marra, genero del capoclan Pietro Lago. A bordo di due ciclomotori, i killer, le cui intenzioni sarebbero state quelle di vendicare la morte di un loro affiliato, Vincenzo Giovenco (ucciso dai Lago il 31 luglio precedente), quella sera erano in perlustrazione a caccia di appartenenti al clan avverso da eliminare. I ragazzi, inconsapevoli del pericolo e parcheggiati sotto casa a bordo di una Lancia Y, vennero così scambiati per due guardaspalle di Marra (genero del capoclan della famiglia Lago). Raggiunti da una grandinata di colpi sparati dai sicari, morirono sul colpo. Nel novembre 2007 è arrivata una prima sentenza di condanna all'ergastolo per Pasquale ed Eugenio Pesce, individuati come esecutori materiali del delitto. Nel 2008 la terza sezione della Corte di Assise d'Appello di Napoli ha confermato la condanna all'ergastolo per i cugini Pasquale ed Eugenio Pesce. Gigi e Paolo quella sera stavano programmando le vacanze, non sapevano che non avrebbero più potuto fare alcun progetto. Sparati per errore? Non esistono sbagli della camorra, lo è essa stessa così come chi la appoggia, la giustifica o la tollera. Il 13 agosto del 1982 a Napoli moriva Vincenzo Truocchio, appuntato dei carabinieri di 36 anni. Il 4 agosto a Capodichino tre rapinatori avevano d’assalto un’agenzia di pratiche automobilistiche. Il titolare dell’esercizio riuscì ad attirare l’attenzione di una volante della polizia: a bordo della vettura si trovavano l’appuntato Vincenzo Truocchio e due colleghi, che cercarono di intervenire per bloccare il gruppo di rapinatori. Dal conflitto a fuoco Truocchio rimase ferito. Trasportato in ospedale, venne operato d’urgenza all’addome e al torace ma nei giorni successivi all’intervento le sue condizioni peggiorarono e il 13 agosto morì. Nel 2012 la squadra mobile di Napoli ha rintracciato e arrestato dopo 30 anni a Londra, con la collaborazione dell’Interpol e di Scotland Yard, l’assassino. Gianfranco Techegne’, di Napoli, cognato di Maria Licciardi che ha sposato un suo fratello, Antonio, anche lui ricercato e affiliato all’omonimo clan camorristico di Secondigliano, è stato bloccato a Londra, dove viveva sotto falso nome. Il 14 agosto del 1992 a Casalabate (LE) venne ucciso il 18enne Mauro Maniglio, vittima innocente della guerra tra cosche mafiose che in quegli anni imperversava. Si trovava sul sellino posteriore di una Honda 1000 guidata dal cugino Giorgio Renna, di 19 anni. D’improvviso una Ford Fiesta rossa affiancò la moto per poi fermarsi di traverso sulla strada. Il guidatore, un ragazzo sui 25 anni, tirò fuori una pistola. D’istinto Giorgio abbassò la testa e il colpo uccise Mauro. il suo killer lo aveva scambiato per un criminale che qualche ora prima aveva freddato un altro giovane a Leverano, per questioni legate alla malavita locale, prepotentemente gestita in quegli anni dalla Sacra Corona Unita. Una vita e dei sogni infranti per “errore”. Il 18 agosto del 2004 a Bacoli (Na) venne ucciso il 20enne Fabio Nunneri. Venne accoltellato al petto per aver cercato di fare da paciere in una lite iniziata per futili motivi. Nella zona della Marina Grande di Bacoli nei pressi di un ristorante, due automobili si incrociarono lungo una strada stretta senza riuscire a passare. A bordo di una delle due macchine c'era un amico di Fabio, nell'altra Ciro Paparcone, un ragazzo con numerosi precedenti penali. Nacque tra i due un acceso diverbio che presto degenerò in una violenta lite. Fabio allora intervenne per fare da paciere ma durante la mischia venne raggiunto al petto da una coltellata e morì. Il 19 agosto del 2010, a Casoria venne ucciso l’edicolante 40enne Antonio Coppola. Alle 6.30 di quel giorno, Antonio aveva aperto la saracinesca della sua rivendita in via Pietro Nenni e aveva cominciato a sistemare i giornali esposti all’esterno. La moglie era dentro l’edicola quando sentì alcuni colpi di pistola. Subito dopo vide una persona scappare con la pistola ancora in mano e, a terra, il marito riverso in una pozza di sangue. La vittima, padre di tre gemelli di 14 anni, era stata sorpresa alle spalle. Il primo proiettile lo centrò alla schiena, gli altri due al volto e alla nuca. L’omicidio potrebbe essere la vendetta per un banale rimprovero. La sera prima del delitto, il giornalaio aveva rimproverato aspramente un giovane che si era introdotto nella vigna di un conoscente per rubare grappoli d’uva. Il 19 agosto del 2015 a Napoli moriva Arianna Flagiello, 32 anni. Morta dopo aver deciso di suicidarsi dopo tutte le violenze subite, le minacce e i maltrattamenti continui. Si è lanciata nel vuoto dalla propria abitazione all’Arenella. Le indagini successive portarono all'arresto di Ciro Paparcone, individuato come il responsabile della ferita mortale. Venne condannato a 15 anni di reclusione. Il 20 agosto del 1991 a Soverato (CZ) vene ucciso il carabiniere di 35 anni Renato Lio. Si trovava ad un posto di blocco situato sulla statale 106 (una zona molto frequentata dai turisti). Mentre compiva i soliti controlli di routine l’agente fece fermare una Lancia Delta Bianca targata Milano. All’interno dell’auto c’erano tre persone: Massimiliano Sestito, 20 anni, ragazzo residente in provincia di Milano, Vito, 22 anni, e Nicola Grattò, 19 anni, entrambi cugini di Gagliano. Renato li fece scendere dalla vettura e chiese loro i documenti. Il collega, ottenuta la patente del guidatore, lasciò momentaneamente Lio da solo con i giovani per avvicinarsi alla macchina e controllare via radio che Sestino non avesse precedenti. Contemporaneamente fece segno al carabiniere di iniziare la perquisizione del mezzo. Massimiliano, avendo all’interno del bagagliaio un carico compromettente, si avvicinò al cassettino dell’auto, lo aprì, estrasse una pistola calibro 7.65 e sparò contro Renato che rimase ucciso sul colpo. L’assassino venne catturato mentre gli altri, due cugini incensurati, si costituirono dimostrando la loro estraneità. Il 21 agosto del 1976 a Palermo vene ucciso l’imprenditore 29enne Francesco Paolo Chiaramonte. Era un piccolo imprenditore. Gestiva una macelleria in via San Filippo a Palermo, nel quartiere di Borgo Ulivia. Fu ucciso perché non si piegò alle richieste estorsive subite da alcuni mafiosi della zona. Quel giorno quattro uomini entrarono nella macelleria, armati di pistole e fucili, forse per spaventarlo e indurlo a cedere ai loro ricatti. Chiaramonte stava lavorando al banco e impugnava un coltello. Quando vide entrare i malviventi chiese loro cosa volessero. Ma i quattro lo crivellarono di colpi. Aveva 29 anni. Lasciò moglie e due figli. Mandanti ed esecutori materiali sono stati assicurati alla giustizia. Il 22 agosto del 1993 a Cianciana (AG) venne ucciso Diego Passafiume, imprenditore di 41 anni. Lui e la moglie avevano deciso di festeggiare trascorrendo la giornata nella casa di campagna del cognato a Cianciana, dove l’imprenditore aveva da poco acquistato un terreno da adibire al deposito dei mezzi. Mentre era a bordo della sua vettura insieme alla famiglia, Passafiume decise di fermarsi un attimo per far vedere il terreno alla suocera, quando fu affiancato da una macchina con a bordo quattro uomini: uno di questi imbracciò un fucile da caccia per sparargli prima al petto e finirlo con una fucilata al volto. Tutto questo perché l’uomo non si voleva piegare al racket. Il 22 agosto del 2006, a Palermo venne ucciso il pensionato Giuseppe D’Angelo. Venne raggiunto da due colpi di rivoltella e morì’ sul colpo. Non un regolamento di conti né un avvertimento: la colpa di Giuseppe è stata l’impressionante somiglianza col boss Bartolomeo Spatola, reale destinatario di quei colpi. Vittima dunque di uno scambio di persona, Giuseppe D’Angelo ha ottenuto giustizia con la condanna all’ergastolo del suo assassino, Gaspare di Maggio. |
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