Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Sulla teorica indipendenza del libero mercato

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È una nostra tendenza costante quella di attribuire un’indipendenza assoluta a entità che, invece, sono soltanto prodotti dell’azione umana quando interagisce con il mondo circostante.

Siamo, per così dire, indotti quasi naturalmente a ritenere che esistano enti che sfuggono al nostro controllo e debbano pertanto essere lasciati liberi di svilupparsi senza alcuna interferenza da parte degli esseri umani.

Questo è vero – almeno in una certa misura – per la realtà naturale, che non dipende da noi per la sua esistenza e può al massimo, ma sempre entro certi limiti, essere controllata quando intendiamo ottenere da essa certi risultati.

La tendenza dianzi citata diventa però assai pericolosa quando dalla realtà naturale si passa a quella storica e sociale.

Esiste certamente un “mondo umano” creato da noi che, in quanto tale e nonostante l’opinione di positivisti vecchi e nuovi, è regolato da leggi diverse rispetto a quelle che sovrintendono al funzionamento del mondo della natura.

Max Weber aveva ragione nel notare che non vi può essere un unico metodo scientifico, applicabile in modo automatico a ogni livello della realtà.

Questo però non significa che esista una sorta di mondo platonico in cui idee e teorie vivono una vita propria, del tutto sganciata dalle nostre capacità decisionali. Né significa ammettere che vi siano entità che, pur originate dalle nostre azioni e capacità concettuali, risultano impermeabili all’intervento umano.

 

La storia del pensiero – non solo filosofico – è strapiena di siffatte entità che sono state “divinizzate”, rese così indipendenti da ogni intervento al punto che dovremmo essere noi a piegarci ai loro voleri, e non esse ai nostri.

Abbiamo così assistito via via alla divinizzazione della storia, di una particolare classe sociale, dell’uomo stesso concepito in termini astratti. L’ultimo tipo di divinizzazione, che oggi influenza in modo radicale le nostre vite, si riferisce al “mercato”.

Si tratta di una storia curiosa poiché, da una parte, il mercato è uno dei pilastri su cui poggia la visione del mondo liberale. Dall’altra proprio il liberalismo ha trovato l’antidoto per evitare le divinizzazioni di cui sopra. Tale antidoto è l’individualismo, vale a dire una concezione del mondo che antepone la libertà dell’individuo a qualsiasi altro valore.

Difficile negare l’indispensabilità del libero mercato nella società moderna, poiché non vi sono alternative plausibili qualora si intenda vivere in un ordinamento che assicuri degli accettabili livelli di benessere diffuso. Tuttavia, ho l’impressione che in alcune analisi odierne al mercato venga attribuita una dimensione autonoma e incontestabile (che sfocia, per l’appunto, in una sorta di divinizzazione).

Qualunque intervento umano rischierebbe secondo questa vulgata di compromettere i meccanismi spontanei che l’hanno generato.

Il richiamo di molti all’economia reale si basa proprio su constatazioni di questo tipo, sulla distinzione tra economia produttiva ed economia finanziaria. Non è detto che quest’ultima abbia sempre carattere speculativo, ma le crisi che abbiamo attraversato dimostrano che tale carattere ha acquistato un peso sempre più rilevante.

 

 

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