Stefano Turr e le storie parallele d’Italia e Ungheria

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Categoria: Storia del Risorgimento
Creato Mercoledì, 13 Marzo 2024 14:12
Ultima modifica il Lunedì, 18 Marzo 2024 12:29
Pubblicato Mercoledì, 13 Marzo 2024 14:12
Scritto da Alberto Dolara
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La figura di Stefano Turr, patriota ungherese, generale con Garibaldi, emerge nella storia del Risorgimento italiano per l’intensa attività svolta in campo militare e politico.

Inizia con lui una serie di eventi paralleli nella storia dell’Ungheria e dell’Italia che merita di essere considerata. Vi è inoltre una motivazione del tutto personale per ricordarlo, di abitare da molti anni in una via di Firenze a lui dedicata.

Stefano Turr nacque l’11 agosto 1825 a Baja, una cittadina dell’Ungheria meridionale.

Entrò nell’esercito asburgico, raggiungendo il grado di tenente; allora l’Ungheria non era indipendente, ma faceva parte dell’impero austroungarico.

Nel 1848 era con il suo reggimento in Lombardia quando in Ungheria scoppiò la rivoluzione per l’indipendenza. Turr disertò e si unì l’anno successivo all’esercito sabaudo. Nominato luogotenente, fu tra gli organizzatori di una legione ungherese che partecipò nella prima guerra d’indipendenza nel 1849.

 

In seguito alla sconfitta, il governo sabaudo sciolse la formazione e Turr dopo la definitiva sconfitta dei patrioti anche in Ungheria si rifugiò in Svizzera e successivamente nelle capitali dell’esilio europeo, Parigi, Londra, Berna e Torino dove conobbe personalmente Mazzini e Kossuth, il capo della rivoluzione ungherese.

Partecipò con gli inglesi nella guerra di Crimea e si ritirò successivamente nell’Impero ottomano. Tornò in Italia nel 1859 per combattere nella seconda guerra d’indipendenza alla testa ancora una volta di una legione volontaria ungherese, all’interno dell’esercito garibaldino, i Cacciatori delle Alpi.

Protagonista della battaglia di Treponti, fu gravemente ferito. In quei giorni conquistò la stima e soprattutto l’amicizia di Garibaldi, a cui rimase legato tutta la vita, e la considerazione del governo piemontese che gli riconobbe lo status di ufficiale.

L’anno successivo svolse un ruolo importante nell’organizzazione della spedizione dei Mille, partecipando alle trattative che precedettero lo sbarco a Marsala, alla battaglia di Calatafimi e all’insurrezione di Palermo.

Nominato generale all’interno del neocostituito esercito meridionale garibaldino in Sicilia s’impegnò in scelte difficili per tenere l’ordine. Manteneva i rapporti con i vertici del governo e con gli ambienti legati a Cavour confermando un profilo moderato rispetto al gruppo garibaldino più radicale.

Anche nel reprimere le sommosse evitò gli eccessi tanto che fu nominato “generale pacifista”. Al comando della divisione ungherese, composta di oltre 400 uomini, contribuì alla vittoria nella battaglia del Volturno contro l’esercito borbonico, decisiva per la definitiva annessione del Mezzogiorno al regno d’Italia.

Va ricordata anche la partecipazione alla battaglia della legione britannica e francese composte da centinaia volontari che avevano combattuto per l’indipendenza di altri Paesi.

Con la proclamazione del Regno nel 1861 l’esercito garibaldino fu sciolto, ma Turr, militare di primo livello e dirigente politico vicino agli ambienti più importanti del nazionalismo italiano, fu inserito nell’élite del nuovo Stato.

Gli venne riconosciuto il grado di Generale nel nuovo esercito e nominato aiutante di campo onorario del re d’Italia, Vittorio Emanuele II.

Il matrimonio lo collocò ai vertici della società nazionale. Nel settembre sposò la giovanissima Adelina Bonaparte Wyse, nipote del principe di Canino, nipote di Napoleone e cognata di Urbano Rattazzi, ministro della Casa Reale. Ebbero due figli, Stefania e Raul. Stefania, nacque a Roma, divenne giornalista corrispondente di guerra e femminista convinta; nel 1928 scrisse L'opera di Stefano Türr nel risorgimento italiano (1849-1870) descritta dalla figlia. Morì a Firenze nel 1940.

Nell’ultima fase della vita, ormai cittadino italiano, Turr s’impegnò nel movimento pacifista in Europa e in America, con interventi pubblici, iniziative associative, articoli su quotidiani. Fu in prima fila in molte iniziative del liberalismo progressista, svolgendo ruoli nell’organizzazione della massoneria, nella battaglia per l’istruzione pubblica o su temi strettamente italiani, come i rapporti tra il nuovo Stato e la Chiesa cattolica. Continuò l’intenso impegno fino agli ultimi giorni di vita. Morì a Budapest il 3 maggio 1908.

La storia d’Italia e d’Ungheria, dopo l’indipendenza acquistata negli anni ‘60 del diciannovesimo secolo proseguì in modo parallelo per quasi un secolo: ambedue i Paesi erano governati da una monarchia costituzionale fino ai primi decenni del Novecento quando s’instaurò la dittatura fascista in Italia e un regime dittatoriale in Ungheria.

Ho ritrovato nella mia biblioteca due libri di uno scrittore ungherese Mihály Földi (1894-1943), L’Autunno del cuore e Inquietudine, Milano del 1941. Li aveva acquistati quell’anno mio padre, un giovane operaio, l’Ungheria era un Paese praticamente sconosciuto, ma la diffusione della sua letteratura era evidentemente funzionale al regime fascista.

Alla fine degli anni Trenta del secolo scorso il parallelismo storico tra i due Paesi assunse caratteri tragici: in ambedue furono promulgate leggi antisemitiche, seguì l’alleanza con la Germania nazista e la partecipazione comune al secondo conflitto mondiale con le truppe dell’Asse.

Durante il conflitto 30mila ebrei dall’Italia e 300mila dall’Ungheria inviati ai campi di sterminio un gran numero furono direttamente eliminati in Ungheria. Nel film del 2002 Perlasca un eroe italiano, che riuscì a salvarne 5000, sono mostrate le terribili scene degli eccidi a Budapest.

La storia si divaricò alla fine della guerra, l’Italia rimase nel campo occidentale e divenne una repubblica democratica. In Ungheria, liberata dalle truppe sovietiche, s’instaurò un governo comunista sotto il controllo sovietico.

Nel 1956 alcuni tentativi di rivolgersi all’occidente furono accompagnati da una drammatica, sollevazione popolare, la rivolta venne soffocata nel sangue e il Paese rimase al di là della cortina di ferro.

Ricordo il clima quasi cospirativo di un convegno di cardiologia a Budapest organizzato dai cardiologi ungheresi alla fine degli anni 70. L’argomento, le cardiomiopatie, era interessante, ancora poco conosciuto; parteciparono al convegno anche altri medici europei, ma gli organizzatori raccomandarono vivamente di non dare pubblicità all’evento.

La cortina di ferro cadde solo nel 1989 insieme al muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS.

Si formò in Ungheria un regime costituzionale di tipo occidentale e con il suo ingresso nell’Unione Europea nel 2003 la storia dei due popoli, si  è avvicinata nuovamente; l’avvicinamento rimane tuttavia incompleto: il governo magiaro ha assunto atteggiamenti sovranisti e dal 2010 si è instaurato un regime politico definito dallo stesso primo ministro  una “democrazia illiberale”.