Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Sulla perdita della nostra identità

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Ci stiamo davvero arrivando, con grande gioia di vasti settori dell’opinione pubblica italiana, europea e occidentale in genere.

L’obiettivo da raggiungere, e in fase avanzata di conseguimento, è la perdita della nostra identità. O ancor meglio, e usando termini forse un po’ aulici, lo smarrimento della nostra anima.

Vogliono rimpiazzare il Natale con un’anonima “festa d’inverno”, senza presepi e altri odiosi simboli dell’eredità cristiana. Le feste si riducono a fiere puramente commerciali da cui vengono espulsi con rigore inesorabile tutti i riferimenti al nostro passato, alla nostra storia. Difficile ormai capire “chi” e “cosa” siamo.

Il trionfo del politicamente corretto avanza a passo di carica, tra rullare di tamburi e squilli di tromba. Senza comprendere che tale marcia ci porterà verso un nulla totale, un vuoto che altri – più astuti di noi – non faticheranno a riempire con simboli e attitudini estranei all’Occidente.

Siamo diventati deboli, schizzinosi, attentissimi ai valori altrui e sprezzanti verso quelli che hanno forgiato da due millenni a questa parte il nostro modo di vedere il mondo, le griglie interpretative che sottendono la nostra cultura.

 

È sconfortante vedere come la marcia suddetta trovi legittimazione proprio in parecchie sedi simbolo del potere, Per esempio il palazzone sede dell’Unione Europea a Bruxelles. I vertici, più che disorientati, sembrano intenti a un’opera di autodistruzione senza fine.

Ed è una tendenza perseguita con lucidità degna di miglior causa. Non autoinganno, dunque, bensì un disegno limpido e coerente basato su luoghi comuni, su complessi di colpa e su un desiderio infinito di espiazione.

Complessi di colpa – sia detto per inciso – che altri non nutrono affatto, anche se la loro storia indurrebbe a pensare che non sono certo migliori di noi. Anzi: il contrario.

Senza posa il tentativo di gettare ponti anche quando si capisce che non darà i frutti sperati. Il dialogo implica, ovviamente, che l’altra parte sia disposta non solo ad ascoltare, ma anche a fare concessioni rinunciando a qualcosa. E invece le concessioni sono sempre unilaterali. Non può essere altrimenti quando l’interlocutore – moderato o estremista che sia – è comunque convinto di avere ragione per il fatto di accedere a una Verità assoluta e incontrovertibile.

Nel frattempo aumenta il numero degli Stati che, dopo aver adottato la sharia quale unica legge, proibiscono la pratica di ogni culto che non sia il loro, e pure qualsiasi riferimento al cristianesimo (pena la prigione o anche peggio). Con appendici significative in capitali europee quali Londra, Parigi e Bruxelles.

Si è detto tante volte che il dialogo vero deve per forza di cose basarsi sulla reciprocità. In altri termini, io ti consento di costruire un luogo di culto nel mio Paese se tu mi permetti di fare altrettanto nel tuo. Parole al vento, giacché restrizioni e persecuzioni sono addirittura aumentate ed è plausibile prevedere un progressivo peggioramento della situazione.

Sembra a chi scrive che l’ottimismo manifestato da gran parte del mondo politico ed ecclesiale italiano – per limitarci al solo contesto nazionale – sia infondato. E che giorni ancor peggiori di quelli che abbiamo vissuto siano lì ad attenderci senza una sia pur minima capacità di reazione.

Eppure credo sia legittimo porsi un quesito di fondo. In altri termini dobbiamo chiederci perché mai il terrorismo religioso dovrebbe fermarsi, perché dovrebbe smettere di colpire quando e dove vuole, dopo aver compreso che può farlo sentendo ripetere in continuazione “pace” e “dialogo”.

I terroristi sono naturalmente convinti di essere dalla parte giusta e fanno il loro mestiere. Biasimarli è del tutto inutile. Il vero problema è che siamo noi a non sapere più tracciare distinzioni tra vero e falso, tra giusto e ingiusto. La punizione che ci tocca è quindi meritata.

 

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