I fratelli Bronzetti nella battaglia del Volturno
Pilade Bronzetti nacque a Mantova, da genitori trentini, il 23 novembre 1832, all'epoca territorio dell'Impero Asburgico, e si arruolò nei bersaglieri a soli 15 anni. Alla base di questa scelta c'era l'influenza dello zio, Carlo Giuseppe, originario di Roverè della Luna, capitano dell'esercito bavarese ma di idee liberali. Nel 1842 aveva pubblicato un libro Ricordo della Grecia negli anni 1832-1835 in cui rivendicava il diritto dei popoli all'autonomia e la politica d'ingerenza degli imperi centrali. Ricercato dalla polizia austriaca, Pilade Bronzetti fuggì in Piemonte dove lavorò come operaio nella ditta Costa. Fu poi arrestato il 1° ottobre 1853 con l'accusa di sedizione e tradotto nel carcere di Alessandria per essere poi rilasciato su cauzione. Il 14 novembre 1853 tentò il suicidio con un colpo di rivoltella ma riuscì a salvarsi e a guarire dopo tre mesi. In una lettera aveva motivato il gesto con la paura di perdere la fiducia di Ludovico Chiappara suo datore di lavoro e socio della ditta Costa. Agli inizi del 1859 si arruolò nei Cacciatori delle Alpi come tenente di compagnia guadagnando una medaglia al valor militare per l'assalto a Varese nella seconda guerra d'indipendenza (26 maggio 1859). Fu chiamato da Enrico Cosenz come sottotenente del primo reggimento dei garibaldini, distinguendosi nell'assalto di Milazzo il 21 luglio 1860. Della stessa divisione ma in qualità di capitano ne faceva parte anche il fratello Narciso che era nato il 5 giugno 1821 a Cavalese, piccolo paese del Trentino, dove prestò il servizio militare dal 1840 al 1847.
Nel 1848, in seguito ai moti rivoluzionari, aderì alla causa repubblicana e partecipò alla battaglia di Porta San Pancrazio a Roma e all'assalto di Treponti, presso Brescia, dove morì il 17 giugno 1859. Un terzo fratello Oreste nacque a Mantova il 6 giugno 1834 e a 14 anni fu arrestato dalla polizia austriaca per aver mostrato a scuola una coccarda italiana; partecipò alla terza guerra d'indipendenza, si sposò ed ebbe due figli.
I “cacciatori delle Alpi” erano un corpo scelto di militari fondato il 17 marzo 1859 con lo scopo di «ordinare quella valorosa gioventù italiana in corpi speciali, che stessero a fianco dell'esercito, come rappresentanti distinti di quell'elemento popolare e di quell'Italia rivoluzionaria, che il conte di Cavour si era assunto di dimostrare metamorfosata.» (Gaiani E., Garibaldi e i cacciatori delle alpi, Lapi, Città di Castello, 1909, p. 12). Inizialmente fu pensato il nome di “cacciatori della Stura” per via del fiume che bagna Cuneo dove si trovava il deposito di armi. L'organizzazione poteva contare su tre reggimenti, un manipolo di carabinieri genovesi, 24 guide, 16 ufficiali di stato maggiore e 15 infermieri. L'uniforme era costituita da una giubba di color grigio, berretto e pantaloni azzurri. Il corpo dei cacciatori fu costituito su decreto del Cavour con il preciso scopo di controllare i movimenti di Garibaldi e usarlo finché fosse stato utile alla sua causa. Il 6 settembre l'esercito borbonico si ritirò presso Capua, sulla destra del Volturno, adagiandosi in parte verso Caiazzo ed in parte verso Gaeta. Il Volturno scaturisce dalla sorgente Rocchetta e pian piano scorre verso sud, passando tra Caiazzo e Caserta, per poi finire in mare. Giuseppe Garibaldi, il 7 settembre 1860, dopo aver occupato Napoli, tentò l'11 settembre di inseguire il nemico a Maddaloni ma dovette arrestarsi per le asperità del terreno e riparare a Caserta dove pose il suo quartier generale al comando di 20.900 uomini. Il 16 settembre ordinò al generale Stefano Thurr di avanzare verso Capua e da qui verso sant'Angelo in Formis. Il comandante dell'esercito borbonico Giosuè Ritucci ordinò al generale Von Mechel di avanzare da Capua verso Caiazzo con 8 mila uomini. La mattina del 21 l'artiglieria borbonica posizionata sulla riva destra del Volturno iniziò a bombardare Sant'Angelo in Formis riuscendo a fermare l'avanzata dei nemici e a riconquistare Caiazzo. Garibaldi si ritirò verso Maddaloni e ordinò al maggiore Bronzetti di spingersi verso Vaccaria in modo da difendere la catena montuosa che si inerpica fino a Castel Morrone. Così Pasquale Altieri descrive il maggiore: «Un cavaliere di leggiadro aspetto, alto ed aitante della persona, nobile e marziale nel sembiante, precede d'un tratto d'arco la nuova armata. Cavalca un brioso destriero, veste una tunica di panno bleu oscuro, lunga ed attillata, con una fila di bottoni indorati, calzoni stretti, stivali insino alle ginocchia, il capo ha coperto d'un berretto finissimo, dal quale risaltano i gradi di Maggiore. La sua destra stringe una spada lampeggiante, avente l'impugnatura tutta rabescata in oro ed argento, sul petto gli scende una catenella d'oro puro, e porta a tracollo una borsa da viaggio (…) l'uniforme era: montura di panno verde non tanto oscuro, e di forma piuttosto larga, colletto rosso scarlatto, una bottoniera di ottone, cintura di pelle con placca di ferro, portante la croce – giberna nera e grande, berrettino rosso – i pantaloni erano di tela grezza, larghi e fermati in abasso con le uose – portavano ad armacollo una coperta grigia rossastra, al di sotto della quale pendevano la gamella, la borraccia ed il sacco a pane, le di cui corregge s'incrociavano sullo stomaco – gli ufficiali aveano poi la tunica lunga ed attillata di panno bleu oscuro, sulla quale era cinta la spada, attaccata ad un cintorino perfettamente nero.» (Pasquale Altieri, Dal 21 settembre al 1 ottobre 1860 in Castelmorrone, Marino, Caserta, 1887, pp. 15-16). Nino Bixio intanto si attestava a valle tra il monte Caro e il monte Lungano. L'esercito borbonico era accampato alla destra del Volturno dietro i monti della Palombara e della Taverna Nuova, pronto ad attaccare Garibaldi prima che giungesse il generale Cialdini coi rinforzi piemontesi. I borbonici potevano contare su oltre 300 cannoni e 40 mila soldati. Il 26 settembre un manipolo di 500 lealisti borbonici tentò una sortita nel Molise per colpire Garibaldi alle spalle ma furono fermati dal generale Ghirelli che era stato avvisato in tempo dalle alcune spie. Nella notte del 27 settembre Garibaldi tentò di attraversare il fiume con un ponte di battelli ma fu fermato dall'artiglieria borbonica. All'alba del 29 settembre i borbonici sferrarono l'attacco e avanzarono su tutta la linea del fronte fino a Santa Maria Capua a Vetere dove Afan de Rivera fu fermato dal Thurr. Il 30 settembre Ritucci ordinò a Von Michel con 8 mila uomini di attaccare a valle Nino Bixio in modo da impossessarsi della ferrovia mentre Perrone e Ruiz si arrampicavano sulle montagne. Ed è qui che avvenne lo scontro tra le parti. Il 1° ottobre 1860 sulle alture che sovrastano la valle del Volturno si affrontarono 270 garibaldini contro 6000 borbonici: “si difesero per undici ore e caddero tutti l'uno su l'altro” (Notiziario dell'Alto Adige, “Archivio per l'Alto Adige”, V, 1910, fasc. II, p. 293). I 270 volontari trentini del battaglione Bronzetti, parte della divisione Cosenz, avevano l'ordine di attestarsi su Castel Morrone e di tenere la posizione contro i borbonici in marcia da Caiazzo verso Caserta. Il paese, situato a 7 km da Caserta, era formato da nove piccoli casali adagiati nella vallata dei monti Tifatini: «Dalle logge dell'eremo si offre allo sguardo un vasto e stupendo orizzonte; l'occhio si pasce e si perde in uno spazio indefinito. Quando il cielo è sereno, si vede bello e netto il mare di Partenope coi suoi navigli.» (Pasquale Altieri, Dal 21 settembre al 1° ottobre 1860 in Castelmorrone, Marino, Caserta, 1887, p. 8). I borbonici sfruttarono l'artiglieria dei cannoni rigati per colpire il castello e intimidire i nemici. Poi si lanciarono all'assalto con la baionetta. Una prima carica fu respinta dai garibaldini che però non avevano munizioni a sufficienza e furono costretti a ritirarsi nel castello e difendersi «lungamente a colpi di pietra.» (Notiziario, p. 294). I combattimenti durarono fino alle 3 del pomeriggio ora in cui, data la soverchiante superiorità borbonica, i garibaldini furono costretti alla resa: «Il maggiore Bronzetti, volendo por termine a quella barbara carneficina, innalzava sulla punta della sciabola una bandiera bianca formata dalla tovaglia tolta all'altare del santuario, gridando ad alta voce 'prigionieri!' Un soldato borbonicò lo ferì in quel mentre di un colpo di baionetta al collo, sicché egli non vedendosi vinto, si mise a menar di sciabola a quanti gli capitavano alle mani, finché colpito da più palle in petto cadde morto.» (Mirri G., Note e memorie di un superstite. In Marra, p. 267). Le notizie sui superstiti garibaldini sono discordanti. Secondo Giuseppe Mirri dei 283 soldati presenti a Castel Morrone se ne salvarono 198 di cui 97 furono trasportati in infermeria (Mirri G., op. cit., p. 269). Domenico Nicoletti riferì di 10 morti, 30 feriti e 220 prigionieri (Rapporto del maggiore Domenico Nicoletti a Francesco Casella, 13 ottobre 1860. In Marra, p. 270). Pietro De Francesco, maggiore dell'esercito napoletano, affermò di aver catturato 208 prigionieri (Rapporto del maggiore Pietro De Francesco comandante delle frazioni del 2° di linea. In Marra, p. 270). Su quei luoghi oggi c'è una lapide che testimonia il luogo del martirio:«Pilade Bronzetti da Mantova magnanimamente combattendo a Castel Morrone cadde con quindi compagni il primo ottobre 1860 nella vittoria dell'esercito meridionale trionfando piegò la spada confortato nel pensiero che il sangue fraterno sparso suggelli patto di concordia imperitura nella fede della patria una redenta.» (Mariano D'Ayala, Vite degli italiani benemeriti della libertà e della patria, Cellini, Firenze, 1868, p. 100). Ruiz dopo estenuanti combattimenti alla baionetta riuscì a conquistare la posizione e ad avanzare verso Caserta Vecchia venendo poi in seguito fermato dal maggiore Luigi Soldo, da Milbiz e Thurr con gli ussari della legione ungherese. Il 2 ottobre la battaglia del Volturno poteva dirsi conclusa. Il 12 giugno 1861 Vittorio Emanuele II conferì a Pilade Bronzetti la medaglia d'oro al valor militare. Nel 1887 fu eretto a Castel Morrone, nei pressi della chiesa, un monumento con le spoglie dei caduti trentini: «A Pilade Bronzetti da Mantova magnanimamente combattendo in Castelmorrone cadde con 15 compagni il dì 1° ottobre MDCCCLX nella vittoria dell'esercito meridionale trionfando piegò la spada confortato nel pensiero che il sangue fraterno sparso suggelli patto di concordia imperitura nella fede della patria una redenta.» Sulla sua tomba di Pilade, ubicata nel cimitero di Trento, si legge: «1° ottobre 1860. Pilade Bronzetti consacrava col sangue Castelmorrone rimprovero ai viventi in nome dell'ideale per cui cadde le sue ossa chiedono. Trento.» Secondo Alessandro Marra, ricercatore dell'Istituto italiano per gli studi filosofici, la battaglia di Castel Morrone, anche se persa, fu determinate per le sorti finali del conflitto in quanto consentì al colonnello Ruiz di ritardare l'avanzata su Caserta Vecchia e impedire che i rinforzi potessero raggiungere il generale Von Mechel. Un ex garibaldino Francesco Piccardi così lo ricorda: “alto, magro, rosso di viso, vivacissimo, era simpatico a tutti per la sua bontà, modestia, valore” (Notiziario, 54, 1911, p. 1). Dopo la sua morte la figura di Pilade Bronzetti cadde nell'oblio per trent'anni allorquando fu pubblicato un articolo sul giornale romano La Nazione Italiana in cui si denunciava «quella grave nebbia che togli agli occhi degli italiani e confonde o travisa ogni condizione di fatto ed ogni argomento storico dell'italianità.» (La Nazione Italiana, 5 ottobre 1890. In Marra, p. 5). Il 1° giugno 1890 si tenne una seduta della Reale Accademia virgiliana di Mantova in cui fu letta una commemorazione dei fratelli Bronzetti. Nel 1907 Gabriele d'Annunzio scrisse una Memoria di Narciso e Pilade Bronzetti contenuta nelle sue Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi. Nel 1911 lo storico trentino Bruno Emmert pubblicò un saggio bibliografico sui due fratelli. Il 27 settembre 1921 le spoglie di Pilade fecero finalmente ritorno in Trentino per essere poi tumulate nel famedio cittadino. Ogni anno l'associazione “Casa Betania” organizza un itinerario di trekking sui luoghi della battaglia del Volturno che si conclude a Castel Morrone.
Luigi Badolati
Bibliografia
AAVV, Pilade Bronzetti o la difesa di Castel Morrone, Gattinoni, Milano, 1893. P. Altieri, Dal 21 settembre al 1° ottobre 1860 in Castelmorrone, Marino, Caserta, 1887. G. Ansiglioni, Memoria della battaglia del Volturno del 1 e 2 ottobre 1860, Zoppis Marino, Torino, 1864. C. Ciampoli, (a cura di), Scritti politici e militari di Giuseppe Garibaldi, Enrico Voghera, Roma, 1907. M. D'Ayala, Vite degli italiani benemeriti della libertà e della patria, Cellini, Firenze, 1868. E. Gaiani, Garibaldi e i cacciatori delle Alpi, Lapi, Città di Castello, 1909. A. Marra, Pilade Bronzetti un bersagliere per l'Unità d'Italia, Angeli, Milano, 1999. Notiziario dell'Alto Adige, «Archivio per l'Alto Adige», V, 1910, fasc. II, pp. 286-296. Università degli studi di Napoli, Pilade, Narciso e Oreste Bronzetti eroi del Risorgimento italiano, Tesi di laurea in Storia contemporanea per la Facoltà di scienze politiche, Candidato Alessandro Marra, Relatore Simona Colanzi, AA 1991-92.
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