Tra le mani del boia, l’ultimo libro di Antonella Orefice
Con la sua ben nota passione storica e filologica, l’autrice tratta un tema tuttora attuale e molto dibattuto: la pena di morte. Sbaglia chi lo considera argomento ormai datato e obsoleto. Vi sono, infatti, ancora 53 nazioni in cui la pena di morte viene comminata, inclusi molti stati degli USA. Come notavo poc’anzi, il dibattito è vivo e vede la partecipazione di due schieramenti contrapposti. Da un lato chi considera la pena capitale inutile e inumana, seguendo le tesi di classici come Cesare Beccaria, autore del famoso Dei delitti e delle Pene. Dall’altro vi sono coloro (ai nostri tempi in diminuzione) che sostengono il ricorso alla pena di morte quale strumento di deterrenza contro la criminalità, in particolare quando si tratta di delitti efferati.
L’Italia non ancora unificata può vantare, da questo punto di vista, un notevole primato. Il primo Stato al mondo ad abolire la pena capitale fu, infatti, il Granducato di Toscana nel 1786, per ordine del granduca Pietro Leopoldo, influenzato dalle idee di Cesare Beccaria. L’attenzione di Antonella Orefice si concentra sul contesto storico-sociale che lei predilige e al quale ha già dedicato altri lavori, vale a dire il regno delle Due Sicilie, e in particolare la fase della dinastia dei Borboni. I veri protagonisti dell’opera, oltre ai condannati a morte, sono i membri della Compagnia dei Bianchi della Giustizia, poco conosciuti al di fuori di una ristretta cerchia di specialisti. Fondata a Napoli nel 1473 con l’intento di prestare assistenza e conforto ai condannati a morte, i confratelli della Compagnia svolsero per secoli un lavoro meritorio, cercando di rendere più umano il percorso finale di tante persone destinate a perdere la vita per mano del boia. E vi riuscivano quasi sempre, aprendo spiragli di luce in un cammino altrimenti caratterizzato da un buio profondo. Per fortuna i membri della Compagnia avevano l’abitudine di registrare minuziosamente i nomi dei condannati, la loro posizione sociale e la data dell’esecuzione capitale. Tali documenti sono conservati nella sede dell’Archivio Storico Diocesano di Napoli, e a essi l’autrice ha attinto per scrivere la sua opera. Attentissima come sempre ai dettagli e svolgendo un lavoro davvero certosino. Il libro copre l’intero periodo in cui i confratelli prestarono assistenza ai condannati. Dal 1556, primo anno di disponibilità dei registri, fino all’ultimo registro datato 1862. L’autrice segnala inoltre un fatto inquietante. Spesso le esecuzioni capitali venivano eseguite in luoghi pubblici, e diventavano così veri e propri “spettacoli” cui la folla assisteva senza molta pietà e insultando i poveri condannati. Fatto, del resto, molto comune anche in altri contesti. Si pensi, per fare due soli esempi, alle tumultuose esecuzioni durante la Rivoluzione Francese, oppure a quelle, teoricamente dovute alla stregoneria, che si svolsero a Salem, nello Stato americano del Massachusetts, nel 1692. Nel calderone della macchina delle esecuzioni finirono anche dei seguaci del celebre filosofo Tommaso Campanella, autore dell’opera utopica La città del Sole, accusato di eresia. L’autrice, tuttavia, non fa distinzione tra celebrità e persone umili, giudicandole tutte accomunate da un tragico destino che le avrebbe condotte alla morte per mano del boia. Il volume è corredato da un imponente apparato di note e dagli elenchi dei condannati a morte tratti dai registri disponibili della Compagnia. La storia, infatti, si fa con i documenti. Non si può però trascurare il valore anche etico e filosofico dell’opera, poiché essa ci fa riflettere sull’opportunità o meno che qualcuno si arroghi il diritto de decretare la morte di un proprio simile. Mi auguro che Antonella Orefice prosegua le sue ricerche, donandoci presto un altro libro. |
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