Segnali di reazione al pensiero unico negli Usa
Alcuni segnali recenti indicano che, forse, negli Stati Uniti sta prendendo corpo una reazione ai danni causati da cancel culture, wokismo e dagli eccessi del politically correct. Tale reazione non poteva che partire dal mondo accademico, il più colpito – assieme a quello editoriale – dalla prevalenza di un “pensiero unico” comune nelle nazioni governate da regimi dittatoriali, ma che in America rappresenta invece l’antitesi dei principi stessi sui quali è basata la democrazia liberale statunitense. La molla scatenante della reazione è un episodio verificatosi nella “Stanford Law School”, dove alcuni studenti hanno pesantemente insultato e minacciato Kyle Duncan, giudice della Corte d’appello Usa, noto per le sue posizioni conservatrici. Questa volta, però, insulti e minacce non sono rimasti impuniti. Mentre il preside della Facoltà ha approvato l’azione degli studenti, il rettore dell’Ateneo è subito intervenuto scrivendo una lettera di scuse al giudice e sollevando il preside dal suo incarico. Sembrerebbe una cosa normale, ma non lo è affatto. Nei sempre più numerosi episodi analoghi, infatti, quasi sempre i rettori hanno preferito evitare guai, a volte addirittura licenziando i docenti che non si adeguano alle regole del “politicamente corretto”. Si noti, tra l’altro, che i gruppi studenteschi protagonisti di aggressioni (a volte fisiche) si arrogano il diritto di decidere quali sono le norme della correttezza politica senza chiedere il permesso a nessuno, nemmeno agli studenti che hanno opinioni diverse dalle loro.
In questa occasione Stanford ha solo aperta la strada. Subito dopo, infatti, anche la Cornell University ha emanato un severo monito a tutti coloro che praticano la censura preventiva, impedendo di fatto la libera espressione del pensiero e, di conseguenza, la libertà di parola. Ha preso posizione anche l’Università di Harvard, la più antica degli Stati Uniti, molto colpita negli ultimi anni dalle intimidazioni dei seguaci della cancel culture. Il celebre linguista e scienziato cognitivo Steven Pinker, che insegna proprio a Harvard, ha scritto un articolo sul Boston Globe lanciando un’organizzazione per la tutela della libertà di parola e di pensiero. L’iniziativa ha avuto immediato successo con l’adesione di molti esponenti prestigiosi del mondo accademico. Può sembrare assurdo che negli Stati Uniti qualcuno si preoccupi di salvaguardare il free speech. Eppure le degenerazioni della cancel culture hanno avuto una tale impennata da costringere Pinker e altri a correre ai ripari. Anche per evitare che gli Usa diventino come la Cina di Mao Zedong dove le Guardie Rosse, incoraggiate dallo stesso Mao, decidevano cosa si poteva dire. Una breve riflessione fa capire che se la autorità accademiche si fossero mosse per tempo, invece di adottare quasi sempre la posizione di Ponzio Pilato, non si sarebbe giunti a questo punto. Le grandi università americane hanno perduto, a causa della situazione dianzi accennata, buona parte del prestigio di cui godevano nel mondo. Una rinnovata consapevolezza dei rettori può probabilmente invertire la tendenza e restituire gli atenei Usa la leadership culturale di cui beneficiavano anche tanti studenti stranieri.
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