Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Imre Lakatos e la filosofia della matematica

Condividi

Alla domanda se sia proprio vero che la matematica ha perso la sua tradizionale “certezza”, alcuni autori contemporanei danno una risposta completamente positiva (aggiungendo, però, che la matematica non è mai stata “certa” come i più hanno solitamente ritenuto).

I sostenitori di questa tesi, che attribuisce alla matematica un carattere fallibile, sono i rappresentanti di quella corrente dell’odierna filosofia della matematica che viene definita “post-empirista”.

Il suo maggiore rappresentante è Imre Lakatos, filosofo e matematico ungherese scomparso prematuramente nel 1974.

Egli è stato, a cavallo tra gli anni ’60 e i primi anni ’70 del secolo scorso, il protagonista di una vera e propria svolta registratasi nella filosofia della matematica.

Fuggito dall’Ungheria dopo la rivolta anti-sovietica del 1956, lavorò con il filosofo della scienza Karl R. Popper e in seguito ottenne una cattedra presso la London School of Economics, centro d’irradiazione delle idee popperiane.

La sua opera principale è Dimostrazioni e confutazioni: la logica della scoperta matematica (1976, pubblicata postuma).

Se esaminiamo la storia della matematica, possiamo facilmente individuare alcuni momenti in cui essa sembrava aver perso parte della sua “certezza”: basti pensare alla scoperta delle geometrie non-euclidee, o a quella delle antinomie.

Tuttavia, ciò che ha sempre contraddistinto l’atteggiamento dei matematici di fronte a queste “crisi” è stato il tentativo di eliminare le fonti di incertezza, al fine di salvaguardare, nell’ambito di una tradizione mai messa in discussione, il carattere assoluto e incontrovertibile della conoscenza matematica.

La grande novità della posizione post-empirista consiste, invece, proprio nel rifiuto di questo genere di reazione, cui viene contrapposta una concezione “fallibilista” del sapere matematico di stampo popperiano (anche se occorre notare che lo stesso Popper ha applicato le proprie analisi alle scienze naturali e a quelle storico-sociali, e non alla matematica).

 

Occorre allora chiedersi come si è giunti a tesi radicali di questo tipo. Rispondere che Lakatos è il portavoce di Popper sul terreno della filosofia della matematica non spiega gran che, se prima non cerchiamo di capire perché il pensatore ungherese abbia finito con l’adottare un punto di vista così anti-tradizionale. Ed è proprio la matematica stessa a prestare in un certo senso il fianco all’attacco, per la sorte delle vicende fondazionali che culminano con il teorema di Gödel.

Alcune anticipazioni del punto di vista post-empirista sono contenute nel celebre saggio di Willard V. Quine “Due dogmi dell'empirismo” (1951), nel quale il filosofo americano dichiara sostanzialmente rivedibili anche gli enunciati della matematica (e della logica). Il volume di Lakatos prima citato, tuttavia, va ben più a fondo.

Esso è un attacco senza remore al formalismo, inteso non come la concezione hilbertiana della matematica ma, più in generale, come il metodo che identifica le dimostrazioni con le dimostrazioni “formali”; detto metodo rappresenta, agli occhi di Lakatos, “l’ultimo anello della lunga catena delle filosofie dogmatiche della matematica”.

Al concetto di dimostrazione formale viene contrapposto quello delle dimostrazioni intese come esperimenti mentali che scompongono la congettura originale in sotto-congetture; l’attenzione si sposta dunque verso la “logica della scoperta” che ha un valore euristico, attribuendo minore importanza alla classica logica deduttiva.

Non solo: alla matematica formalizzata viene contrapposta quella informale, che procede - popperianamente - per tentativi e per errori, per “dimostrazioni e confutazioni”. Ne consegue che l’intero lavoro di Lakatos può essere visto come un originale tentativo di restituire legittimità, dal punto di vista filosofico, alla matematica informale e a una filosofia della matematica che non abbia quale unico obiettivo dichiarato l’indagine sui fondamenti.

Dimostrazioni e confutazioni è un dialogo immaginario tra un docente e i suoi allievi, impegnati a discutere la congettura di Eulero sul rapporto che intercorre fra il numero dei vertici V, quello degli spigoli S e quello delle facce F di un poliedro.

Il punto di partenza è un problema: sussiste fra V, S ed F una relazione in qualche modo analoga a quella banale (V = S) fra i vertici e i lati di un poligono?

Alla formulazione del problema, e alla considerazione di un certo numero di casi particolari, fa seguito la congettura che valga la relazione V - S + F = 2. A questo punto viene presa in considerazione una dimostrazione (intesa come “esperimento mentale”), la cui idea risale a Cauchy, la quale consiste nel rimuovere una faccia del poliedro, “stendere” ciò che rimane del poliedro in un piano triangolare, dividere mediante il tracciamento di diagonali le regioni poligonali così ottenute, e togliere uno ad uno i triangoli (mantenendo in questo modo V - S + F costante); alla fine di questo procedimento si ottiene un triangolo, per il quale evidentemente vale V - S + F = l; aggiungendo la faccia rimossa all’inizio, si ottiene allora il risultato voluto.

È proprio questo tipo di dimostrazioni informali che Lakatos intende difendere. Esse non possono, a suo avviso, essere definite con precisione; per esse non esiste alcun procedimento di verifica, mentre c’è un metodo di falsificazione inteso in senso popperiano.

Nella discussione contenuta in Dimostrazioni e confutazioni, ad esempio, si scopre che alcuni dei lemmi sui quali si basa la dimostrazione proposta possono essere falsificati da controesempi; se il controesempio falsifica il lemma, ma non la congettura originaria, si tratta di un controesempio “locale”, altrimenti di un controesempio “globale”.

Le critiche mosse alla dimostrazione vengono comunque considerate costruttive, in quanto servono a migliorare la congettura, e uno degli slogan adottati da Lakatos è proprio “migliorare dimostrando”.

La “pressione” esercitata dai controesempi serve per l’appunto a migliorare tanto la congettura iniziale quanto la dimostrazione, e si dovrebbe infine arrivare ad una formulazione della congettura - e ad una sua dimostrazione - per le quali non sembrano esservi controesempi. Anche in questo caso, tuttavia, esiste sempre la possibilità di imbattersi in qualche controesempio non ancora considerato.

Si potrebbe ovviamente obiettare che, una volta formalizzata la teoria, sarebbe possibile pervenire al risultato con una dimostrazione formale, che risulterebbe verificabile e in un certo senso definitiva.

Lakatos, tuttavia, ha una risposta anche a questo genere di obiezione: è vero che le dimostrazioni formali sono affidabili, ma è anche vero che si è ugualmente esposti al rischio di controesempi, sia nel senso di vere e proprie contraddizioni (se il sistema formale risultasse contraddittorio), sia in quello di un mancato rispecchiamento, da parte del sistema formale, della corrispondente teoria informale.

Le ricerche sui fondamenti partivano dall’assunto che la matematica fosse una scienza “puramente deduttiva”, e volevano dimostrare che essa poggiava su basi sicure. Secondo i post-empiristi si deve prendere atto, invece, dell’insuccesso di queste ricerche, e in particolare dei tentativi volti ad assicurare la non contraddittorietà delle teorie matematiche.

La non contraddittorietà della maggior parte dei nostri sistemi formali viene da essi vista come un fatto empirico, al pari dell’accettabilità delle tecniche meta-matematiche usate nelle dimostrazioni. L'atteggiamento è quello di “stare a vedere” se un giorno o l’altro si troverà una contraddizione, disposti in tal caso a modificare convenientemente gli assiomi, più o meno come si fa per gli assiomi delle teorie empiriche.

Dal che si arguisce la necessità di ammettere che la matematica, come tutte le altre scienze, è in ultima analisi basata sulla pratica, e deve essere verificata dal punto di vista pratico.

Del resto - sostengono i post-empiristi - molte discipline scientifiche hanno una reputazione eccellente senza pretendere di essere scienze puramente deduttive. Inoltre, sostenere che la matematica è una scienza che ha un background empirico non significa affatto escludere l’utilità dei metodi deduttivi: si tratta semplicemente di adottare - anche in matematica - metodi induttivi che non si ha alcuna ragione di rifiutare.

È del tutto evidente, tuttavia, che la matematica non è empirica nel senso delle scienze sperimentali, dato che i suoi asserti non sono di natura spazio-temporale. Lakatos propone allora di attribuirle un carattere “quasi-empirico”, contrapponendolo al carattere euclideo che l’ha caratterizzata per due millenni; la distinzione è importante perché è alla base della metodologia lakatosiana, ma occorre pure rilevare che Lakatos non ne ha mai dato una formulazione chiara.

L’impostazione risente evidentemente delle idee di Popper, il quale tuttavia non ha trattato il caso della matematica.

E il passo che Lakatos tenta di compiere è proprio questo: l’adattamento della metodologia popperiana alla matematica. Si è allora notato a più riprese che, per applicare questa concezione alla matematica, il problema da risolvere è quello dei cosiddetti falsificatori potenziali: quali sono, in altri termini, i falsificatori potenziali delle teorie matematiche?

Lakatos, in effetti, non dà una risposta soddisfacente a questo interrogativo. Egli distingue fra teorie formali e teorie informali; le prime hanno due tipi di falsificatori potenziali: quelli di tipo logico, vale a dire le contraddizioni, e quelli di tipo euristico, ossia teoremi delle teorie informali che contraddicono teoremi “corrispondenti” delle teorie formali.

Il vero problema, tuttavia, non è quello dei falsificatori potenziali per le teorie formali, bensì quello dei falsificatori potenziali per le teorie informali; e in questo caso Lakatos non offre alcun tipo di risposta plausibile.

Resta quindi senza risposta una questione fondamentale per l’impostazione quasi-empirica, la quale costituisce fra l’altro la ri-proposizione in termini nuovi di vecchie domande filosofiche come: “di cosa si occupa la matematica?”, “quali sono i suoi oggetti?”.

Il progressivo distacco di Lakatos dalla filosofia della matematica, per dedicarsi a questioni più generali di filosofia della scienza, e la sua morte prematura, non ci permettono di sapere se avrebbe prima o poi trovato una soluzione soddisfacente a questi interrogativi, ai quali neppure gli altri esponenti post-empiristi hanno risposto.

Dal canto suo, Thomas S. Kuhn, altro esponente di spicco del post-empirismo, afferma che “dubbi e accomodamenti sono una parte standard della ricerca empirica, e gli accomodamenti svolgono un ruolo dominante anche nella matematica informale”.

Va comunque sottolineato che la prospettiva post-empirista è, oggi, assai popolare (certamente più di quella wittgensteiniana). Parecchi studiosi, infatti, concordano con la tesi che il fallimento delle varie proposte fondazionali classiche (logicismo, formalismo e intuizionismo) ha determinato la fine del fondazionalismo e delle varie correnti di filosofia della matematica ad esso associate; la filosofia della matematica - tradizionalmente intesa - sarebbe quindi inadeguata a rendere conto del “fenomeno” matematica.

Altri autori, d’altra parte, sottolineano la “schizofrenia filosofica” del matematico di professione, che sarebbe platonista nei giorni feriali e formalista la domenica, per eludere le domande indiscrete dei filosofi. Per superare le difficoltà occorrerebbe, allora, abbandonare il presupposto comune alle indagini fondazionali, ossia la tesi che bisogna dare alla matematica una fondazione assolutamente sicura, rifiutando al contempo il dogma che la matematica possegga una certezza assoluta.

Si punta quindi sul fatto che la filosofia della matematica dovrebbe rispecchiare la pratica matematica, e cioè l’atteggiamento quotidiano dei matematici di professione di fronte alla loro disciplina. Poiché anche i più grandi matematici fanno errori, talvolta gravi, occorre riconoscere onestamente che la conoscenza matematica è fallibile, e da questo punto di vista essa risulta del tutto simile alle altre forme di conoscenza umana.

Ma bisogna anche sottolineare che il successo del post-empirismo ha determinato una rinascita di interesse per la filosofia della matematica, dopo il tramonto delle correnti filosofiche associate alle ricerche fondazionali classiche.

Si è fatta strada l’idea di un “nuovo inizio”, ed appare a molti ragionevole la tesi che la filosofia della matematica debba in qualche misura tener conto della reale pratica matematica, della matematica “nel suo farsi”, della “logica della scoperta”, aspetti questi forse troppo trascurati fino ad oggi.

Le idee di Lakatos sono da diversi punti di vista attraenti, ma non permettono ancora di rispondere a domande che esse stesse pongono sulla natura della matematica.

Quand’anche si limiti l’obiettivo alla spiegazione del progresso in matematica, il modello proposto da Lakatos non sembra costituire l’unico modo di crescita della matematica. Da ciò alcuni studiosi hanno tratto spunto per ribadire - anche se i post-empiristi non sono d’accordo - che la matematica ha comunque caratteristiche sue proprie, che la differenziano dalle altre discipline scientifiche.

 

 

 

 

Statistiche

Utenti registrati
136
Articoli
3167
Web Links
6
Visite agli articoli
15188622

(La registrazione degli utenti è riservata solo ai redattori) Visitatori on line

Abbiamo 531 visitatori e nessun utente online