Un finanziere nella tempesta delle leggi razziste
Fino a qualche anno fa si pensava che la Guardia di Finanza fosse stata miracolosamente risparmiata dalle leggi razziali del 1938. In effetti, come rilevato dallo storico Giovanni Cecini, che ha studiato a fondo il fenomeno dell’espulsione degli ebrei dall’Esercito, negli unici elenchi disponibili sulle radiazioni, quelli relativi agli ufficiali, nessuna Fiamma Gialla era presente. Non fu un trattamento di favore: probabilmente per ragioni di ordine numerico o di natura geografica la dirigenza del Corpo non annoverava in quel periodo nessun ebreo. I dati però erano parziali. Nessuna ricerca era mai stata fatta sui sottufficiali e militari di truppa. È stato grazie alla caparbietà di Gerardo Severino, direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza che, all’inizio degli anni Duemila, sono emersi alcuni finanzieri identificabili come israeliti che, in servizio nel 1938 e per effetto della norma contenuta nel Decreto-legge n. 2111 del 22 dicembre di quell’anno, furono costretti a lasciare i rispettivi reparti e a tornare alla vita civile. All’interno di questa difficoltosa indagine venne fuori anche la figura di un maresciallo “torinese”, che, scacciato nel 1938, avrebbe chiesto di rientrare nel Corpo nel 1944, una volta abrogata la legislazione razziale. Si trattava di Arrigo Procaccia, in realtà toscano, nato nel 1900 a Pistoia, congedato nei primi mesi del 1939 a Torino e deceduto nel 1958 a Roma. Nel 2012 ne è nato un libro, intitolato Arrigo Procaccia di religione israelita. Un finanziere nella tempesta delle leggi razziali (edizioni Chillemi). Gerardo Severino e Giovanni Cecini hanno raccontato la vicenda di Procaccia utilizzando le notizie del fascicolo personale del militare, custodito presso il Museo Storico della Guardia di Finanza, e avvalendosi dei commoventi ricordi del figlio, Giorgio Procaccia. Una storia italiana di discriminazione e di persecuzione. «Io come israelita – ha scritto Arrigo Procaccia - compresi che qualcosa si era ormai lacerato; che il peggio era lì da venire, tanto più che stava colpendo ancora di più in modo più intimo la mia stessa esistenza di cittadino. Fu ai primi di settembre che in caserma ci fu consegnato un questionario da compilare. In esso veniva chiesto di dichiarare la propria razza, quale religione professassero o avessero professato i propri genitori e tutta una serie di quesiti volti ad individuare, con un tono che giudicai invasivo, chi fosse ebreo».
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