Le gambe corte delle menzogne filoborboniche

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Categoria: Storia del Risorgimento
Creato Martedì, 23 Agosto 2022 11:48
Ultima modifica il Domenica, 28 Agosto 2022 15:39
Pubblicato Martedì, 23 Agosto 2022 11:48
Scritto da Anna Poerio Riverso
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Nel continuo tentativo di gettare cattiva luce sui protagonisti del Risorgimento Italiano, sulla pagina Facebook Terroni curata da Pino Aprile, il 19 agosto 2022 è stato pubblicato un articolo che pretende di smentire le presunte “menzogne” della storiografia “ufficiale”.

Tuttavia bisogna rilevare che l’articolo in oggetto non fa altro che propinare vere e proprie fandonie divulgate costantemente dalla propaganda filoborbonica.

L’autore si sofferma sulle famose Due lettere al conte di Aberdeen sui processi politici del governo napoletano, scritte da W.E. Gladstone nel 1851.

Innanzitutto l’autore dell’articolo afferma che Gladstone si recò a Napoli per un viaggio di piacere di tre giorni.

Questa è la prima menzogna.

Gladstone giunse a Napoli verso la fine di ottobre 1850 e vi rimase fino alla fine del mese di marzo 1851. Egli, che conosceva bene l’italiano, ebbe modo sia di assistere al processo contro i liberali napoletani, sia di fare visita clandestinamente, nel mese di febbraio, a Carlo Poerio nel carcere di Nisida.

Per quanto riguarda la famosa frase che definiva il Regno delle Due Sicilie «la negazione di Dio eretta a sistema di governo», bisogna ricordare, come lo stesso Gladstone scrisse nella prima Lettera e come successivamente è stato evidenziato da B. Zumbini (W.E. Gladstone nelle sue relazioni con l’Italia, 1910, p.4), che la frase non fu foggiata personalmente dall’uomo politico inglese, ma questi l’aveva acquisita dallo stesso popolo italiano.

 

Passiamo ora alla seconda falsa asserzione dell’autore dell’articolo:

 

«Più di trent’anni dopo Gladstone tornò a Napoli per un congresso del partito liberale e confessò candidamente di aver scritto quella lettera dietro ordine del Primo Ministro inglese dell’epoca, Lord Palmerston, “il grande fratello” massone, e che tutto quello che descriveva di quell’abominevole Regno, lui, in realtà, non lo aveva mai visto, glielo avevano dettato i “patrioti” italiani.»

 

Tale affermazione è una vera e propria fake news (continuamente citata dai filoborbonici) pubblicata nel 1914 da Domenico Razzano nell’opuscolo “La biografia che Luigi Settembrini scrisse di Ferdinando II, e ampiamente smentita da Raffaele Cotugno nel volume Tra Reazioni e Rivoluzioni. Contributo alla storia dei Borboni di Napoli dal 1849 al 1860, (p. 112):

 

«Razzano (ndr) osa affermare fatti e circostanze che, se fossero veri, offenderebbero gravemente la stima e l’onore di Gladstone e di Palmeston.»

 

I filoborbonici farebbero bene a studiare non solo il volume di Raffaele Cotugno, ma anche le memorie dei prigionieri politici del Regno delle Due Sicilie (come ad esempio Carceri e galere politiche di Sigismondo Castromediano), così il libro Carlo Poerio e William Gladstone. Le due Lettere al Conte di Aberdeen sui processi politici del governo napoletano (1851), I documenti dell’Archivio di Stato di Napoli, a cura di Anna Poerio Riverso, con una introduzione di Renata De Lorenzo, Rubbettino Editore, 2020.

Un documento fondamentale, che fa chiarezza sulla genesi delle Due Lettere è custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli. Profondamente sconvolto da ciò che aveva visto, quando tornò a Londra nel mese di aprile 1851, Gladstone si recò dal Primo Ministro Lord Aberdeen con la speranza che questi potesse in qualche modo intervenire diplomaticamente affinché il governo napoletano mitigasse le pene dei prigionieri politici napoletani.

Lo stesso Lord Aberdeen, in una lettera del 19 settembre 1851 indirizzata al Principe di Castelcicala e al governo napoletano scriveva:

 

«Allorché il Sig. Gladstone nella passata primavera fece ritorno da Napoli mi espresse in forti termini quanto altamente era egli rimasto colpito da tutto ciò che aveva veduto ed inteso, intorno al modo come son trattati colà i compromessi politici, il che inducevalo a credere che i principî di giustizia e di umanità erano stati ugualmente oltraggiati. Egli propose di sottoporre l’affare al Parlamento, o di farne un appello al pubblico col mezzo della stampa.

Mi mostrai vivamente avverso ad un tal procedimento; dopodiché mi parve che lungi dall’esser utile alle persone che voleansi tutelare, avrebbe probabilmente aggravato le loro sofferenze.

Credetti pure che siffatta denunzia per parte di un conservatore uomo di Stato e amico degli Stabili Governi, avrebbe dato grande incoraggiamento ai progetti dei rivoltosi a danno della causa della Monarchia in Italia ed in tutta Europa.

Il Sig.r Gladstone convenne meco di sospendere qualunque pubblica nozione del soggetto, purché mi fossi provato ad ottenere dal Governo napolitano una favorevole considerazione delle attuali condizioni degl’individui di cui è parola, a fine di migliorarne prontamente la sorte […]

Non avendo alcuna cognizione delle circostanze, pregai il Sig.r Gladstone, nel di cui onore e lealtà io aveva piena fede, di compilare una sposizione di fatti, ma di quelli soltanto ch’egli poteva attestare, affinché avessi potuto valermene nel modo più valido per ottenere l’obbietto in veduta. Di qui potrete scorgere che le lettere, può dirsi essere state scritte a mia richiesta.»

 

Lord Aberdeen, quindi, metteva in chiaro che il pamphlet di Gladstone era frutto di ciò che egli aveva personalmente constatato in riferimento alle terribili pene sofferte dai prigionieri politici napoletani.

Egli ribadiva che Gladstone, oltre a essere uno degli uomini più coscienziosi, era incapace di asserire cose della cui verità non era pienamente convinto.

Lord Aberdeen inviò quindi una copia della prima lettera di Gladstone al Castelcicala, il quale, a sua volta la inviò a Giustino Fortunato.

In risposta a questa lettera Giustino Fortunato inviò a Lord Aberdeen un dispaccio con il quale tentava di smentire le affermazioni di Gladstone.

Ma lo stesso Aberdeen nella lettera del 19 settembre affermava che

 

«Quel dispaccio quantunque contraddicesse e rettificasse le affermazioni del Sig.r Gladstone su diversi importanti punti, specialmente su quello del numero de’ detenuti politici, non negava il modo di trattamento da quello descritto, né mostrava che data si fosse qualche disposizione per migliorarlo.

Mi mostrai desideroso di fare per di lei mezzo un’altra rimostranza al Governo Napolitano; perciocché non poteva indurmi a credere che la stessa autorità che aveva umanamente risparmiato la vita di persone condannate a morte dalla Legge, volesse deliberatamente infliggere l’orribile punizione d’incatenare insieme, di giorno e di notte, pel rimanente di lor vita, due signori di coltivato spirito, ed avvezzi a raffinate abitudini.»

 

Gladstone attese per qualche mese una risposta dal governo borbonico, ma non avendo ottenuto il risultato sperato, l'11 luglio 1851 decise di pubblicare la prima lettera, la quale fu seguita dalla pubblicazione di una seconda lettera, con approfondimenti e chiarimenti, che andò in stampa il 14 luglio.

Qui è bene precisare che, dai documenti custoditi presso l’Archivio di Stato di Napoli, emergono molti dettagli chiarificatori che evidenziano l’inconfutabilità delle Lettere di Gladstone. Inoltre, si evince che il Governo borbonico si servì della corruzione per controbattere il pamphlet di Gladstone.

L’autore dell’articolo pubblicato sulla pagina Facebook Terroni di Pino Aprile, infine, si sofferma su Carlo Poerio (di cui certamente non conosce né la biografia e soprattutto la statura morale) osando affermare, senza riferire ovviamente fonti e documenti, che il Patriota napoletano avrebbe sparso menzogne sui giornali che auspicavano l’abbattimento del Regno del Sud e cita Ferdinando Petruccelli della Gattina, il quale nel volume satirico I moribondi del Palazzo Carignano affermò che «Poerio è un’invenzione convenzionale della stampa anglo-francese.»

A questo punto è bene ricordare che Petruccelli della Gattina era un mazziniano, mentre Carlo Poerio era un liberal moderato.

Quindi le parole di Petruccelli della Gattina miravano semplicemente a sminuire la figura dell’avversario politico, che a Londra si rifiutò di incontrare e prendere accordi con i mazziniani, tra i quali vi era anche Ferdinando Petruccelli della Gattina.

Le pene subite da Carlo Poerio sono ampiamente dimostrate e documentate. Tuttavia, è bene ancora ricordare che la difesa della Costituzione, firmata e rinnegata da Ferdinando II di Borbone (seguendo la tradizione di famiglia), fece sì che Carlo Poerio venisse preso di mira dal Governo borbonico e sottoposto a vera e propria persecuzione.

Il falso testimone Luigi Jervolino fu pagato (scandalosa usanza del Regno della Due Sicilie) per accusare Carlo Poerio di appartenere alla Setta l’Unità Italiana.

Ebbene, se si legge la sentenza finale della Gran Corte Speciale di Napoli nella Causa della setta l’Unità Italiana si può chiaramente constatare l’innocenza di Carlo Poerio:

 

«La Gran Corte Speciale […] A voti uniformi ha dichiarato: non consta che Carlo Poerio abbia col mezzo di scritti stampati provocato gli abitanti del Regno a commettere attentato contro la sicurezza interna dello Stato.» (Decisione della Gran Corte Speciale, Napoli, Stamperia del Fibreno, 1851, p.121).

 

Dunque, il processo contro Carlo Poerio si basò esclusivamente sull’accusa di un falso testimone, così come fu giustamente evidenziato da Gladstone.

L’autore dell’articolo conclude affermando che «quelli che hanno voluto l’Unità d’Italia hanno preso sul serio la massima di Voltaire: «Calunniate, calunniate: qualcosa rimarrà.»

Ma a quanto pare questa massima calza a meraviglia per i filoborbonici, seguaci e fedeli ad una dinastia dedita alla calunnia ed alla corruzione.