Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

La mostruosa anomalia di Tuskegee, Alabama

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A partire dal 1932, il Servizio Sanitario Pubblico statunitense (l’USPHS), iniziò uno studio sulla sifilide nella contea di Macon, in Alabama, nella città di Tuskegee.

Originariamente, si chiamava “Studio Tuskegee sulla sifilide non trattata nel maschio negro” oggi denominato, per privare la ricerca di connotazioni razziste, “Studio sulla sifilide USPHS a Tuskegee”.

Lo studio coinvolse 600 uomini neri, 399 affetti da sifilide e 201 che non avevano la malattia, come gruppo di controllo.

Fu loro nascosto il vero obiettivo del trattamento e gli fu detto che sarebbero stati sottoposti a una cura per il cosiddetto “cattivo sangue”, un termine usato per descrivere vari disturbi, tra i quali, oltre alla sifilide, l’anemia e l’affaticamento.

In cambio della partecipazione allo studio, i soggetti ricevettero esami medici gratuiti, ossia analisi del sangue, radiografie e prelievi spinali, pasti gratuiti ed un’assicurazione sulla sepoltura.

Nessun consenso informato fu raccolto, perché semplicemente non fu sottoposto ai partecipanti al trattamento, del tutto all’oscuro, dunque, di ciò che stava per accadere loro.

 

Nel 1943, quando era ancora in corso quella che possiamo tranquillamente definire una “sperimentazione umana” condotta all’insaputa dei soggetti coinvolti, la penicillina era ormai ampiamente disponibile come trattamento per la sifilide. Essa, tuttavia, non fu mai somministrata ai partecipanti allo studio non fu mai somministrata, poiché riconoscere l’esistenza di una cura avrebbe causato la chiusura del programma.

In realtà, il vero scopo della ricerca era quello di osservare gli effetti della progressione naturale della malattia su un corpo infetto non curato, senza che essa fosse in alcun modo trattata.

Si osservava la morte dei soggetti, l’aggravarsi della malattia, ile conseguenze dei rapporti sessuali degli uomini infetti che trasmettevano la patologia alle donne le quali, rimaste incinta, trasferivano la sifilide congenita ai propri nascituri. Gli studiosi di Tuskegee continuarono, quindi, le proprie attività impedendo anche ad altri neri della città di sottoporsi alle cure con l’ausilio della penicillina e nulla fecero per impedire ad altri di ammalarsi.

Per comprendere meglio la natura crudele dell’esperimento di Tuskegee, non si può prescindere dal considerare il contesto storico e sociale nel quale esso si svolse. Ancor più atroce, risulterà, poi, il prendere consapevolezza che le agenzie governative americane ebbero la possibilità di fermare quella mostruosa sperimentazione umana, ma non lo fecero.

Nel 1865, la ratifica del Tredicesimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, aveva posto formalmente fine alla riduzione in schiavitù dei neri americani, ma al principio del ‘900, i pregiudizi razziali a carico dei neri erano ancora largamente diffusi in ogni ambito della vita civile del paese. Anzi, il cosiddetto “darwinismo” sociale era in aumento e sconfinava nel “razzismo scientifico”, null’altro che una pratica pseudoscientifica volta ad usare la scienza per rafforzare le discriminazioni razziali già molto in auge.

Essa sosteneva che esistessero delle prove empiriche a sostegno dell’inferiorità razziale dei neri, fraintendendo o distorcendo abilmente molti concetti dell’antropologia fisica, dell’antropometria, della biologia evolutiva e di altre discipline pseudo scientifiche.

In pratica, si sosteneva l’esistenza di tipologie antropologiche a sostegno della classificazione delle popolazioni umane in razze umane fisicamente distinte e gerarchicamente organizzate, alcune delle quali, dunque, da considerare inferiori o superiori alle altre.

Il razzismo scientifico è stato ampiamente usato e incredibilmente applicato anche a teorie più recenti come ad esempio, è accaduto in The Bell Curve, un libro del 1994 dello psicologo Richard J. Hernstein e del politologo Charles Murra. Tale studio sostiene che l’intelligenza umana sia sostanzialmente influenzata da fattori ereditari ed ambientali e che da essa dipendano molti risultati dell’agire personale, come ad esempio il reddito, il rendimento lavorativo, il coinvolgimento nei reati.

Inoltre, i due studiosi sostengono che coloro che hanno un’intelligenza più elevata, sostanzialmente i bianchi, si stanno separando da quelli con un’intelligenza inferiore alla media in una vera e propria “élite cognitiva”.

Dunque, questa “separazione sociale” era e sarebbe ancora in atto negli Stati Uniti. Secondo gli autori, il libro intendeva mettere in guardia le autorità al fine di mitigare le possibili conseguenze nefaste che tale processo potrebbe avere sulla società americana suggerendo l’adozione di una serie di politiche sociali ad hoc.

L’opera è stata e rimane molto controversa e, secondo numerosi critici, minerebbe alle basi l’idea stessa di democrazia e il proponimento di costruire un’America multirazziale e inclusiva.

Lavori come questo, secondo molti intellettuali postulano null’altro che conclusioni razziste e prive di fondamento scientifico.

Si formulano teorie che pongono in stretta connessione razza ed intelligenza, ma senza prove sufficienti che le suffraghino.

Varie riviste segregazioniste calcano questa strada. Su tutte, spicca il Mankind Quarterly, fondata da suprematisti bianchi, considerata la pietra angolare del razzismo scientifico.

La diffusione questi sedicenti magazine divulgativi ha svolto, e purtroppo ancora svolge con vigore, un ruolo rilevante nella diffusione di ideologie e concezioni razziste ampiamente screditate da anni.

Il razzismo scientifico era d’altronde stato ampiamente utilizzato per giustificare la tratta degli schiavi per anni. Si sosteneva che gli africani erano adatti alla schiavitù perché possedevano grande forza fisica e un’intelligenza molto limitata ed erano provvisti di un sistema nervoso primitivo che faceva sì che non provassero dolore come i bianchi.

Si riteneva che gli afroamericani fossero di una specie diversa dai bianchi e che i bambini di razza mista fossero particolarmente inclini alle malattie. Molti medici, sostennero che l’abolizione della schiavitù aveva causato un grave e progressivo deterioramento fisico e mentale della popolazione nera, perché incapace di gestire una condizione di vita socialmente evoluta.

Molte altre furono le idee pseudoscientifiche particolarmente diffuse alla fine dell’800 ed al principio del ‘900, come quella, ad esempio, inerente le pulsioni sessuali e i genitali dei neri maschi. Si riteneva che, a fronte di genitali molto più sviluppati dei bianchi, corrispondesse un cervello sotto evoluto.

Era opinione diffusa che i maschi neri fossero sessualmente perversi, con un impianto intellettivo ed etico primordiale. Erano, dunque, esseri immorali e attratti, in modo quasi animalesco, dalle donne bianche.

È in questo contesto, quindi, che va letto l’atroce studio di Tuskegee. Sin parole povere, si riteneva, più o meno universalmente che tutti i neri, indipendentemente dalla loro istruzione, dal loro livello economico e personale, avrebbero rifiutato ogni cura per la sifilide, proprio a causa del loro inferiore sviluppo intellettivo ed etico. Per questo motivo, il Servizio Nazionale Pubblico americano, giustificava lo studio seppur non platealmente come un esperimento, ma come, piuttosto, la semplice ed accademica osservazione della progressione naturale della malattia all’interno di una comunità particolare che, comunque, non avrebbe mai accettato delle cure.

Liberatisi di possibili dubbi etici e assecondati dalla politica consenziente, specie negli stati del Sud, i ricercatori procedettero con il loro piano reclutando i primi pazienti di età compresa tra 25 e 60 anni.

Come detto, il pretesto fu quello di elargire cure mediche gratuite ed esami diagnostici ed in caso di decesso, autopsie. Il trattamento avrebbe dovuto durare solo sei mesi ma, come sappiamo, si protrasse invece, come anzidetto, per molti anni.

Bisogna precisare che i potenziali partecipanti maschi furono inizialmente diffidenti ad entrare nel programma medico, perché temevano che il reale scopo dell’iniziativa fosse il reclutamento alla leva militare.

Per rassicurarli, furono reclutate anche donne ed alcuni bambini come a fugare ogni dubbio o inganno recondito.

I trattamenti ricevuti erano a base di medicinali contenenti mercurio o arsenico, per convincere i pazienti malati di essere in cura, e talvolta si trattava solo dei placebo.

I pazienti, tuttavia, col tempo iniziarono a disertare le visite di controllo e l’USPHS assunse un’infermiera di nome Eunice Rivers per accompagnarli ai loro appuntamenti, invogliandoli con pasti caldi e medicine o presunte tali, beni particolarmente agognati in tempi difficili come quelli della Grande depressione americana. Per garantirsi la possibilità di poter effettuare le autopsie a fin scientifici, promisero loro di coprire le spese funebri in caso di decesso.

È dimostrato da molti documenti militari che i ricercatori, durante la sperimentazione, si assicurarono che i soggetti non ricevessero cure per la sifilide. In molti casi, gli uomini coinvolti nel progetto vennero arruolati e, solo quando furono sottoposti alle consuete visite mediche di ammissione, scoprirono di essere ammalati e che nulla era stato mai fatto per curarli durante il programma ai quali avevano aderito.

Questi soggetti furono poi immediatamente congedati e rimossi dall’esercito, pur di non curare la loro affezione.

Con il passare del tempo, iniziava, quindi, ad emergere la terribile natura dello studio di Tuskegee: si erano reclutate tante persone mediante menzogna (si era detto loro che sarebbero stati curati) e addirittura si era impedito di salvare la loro vita quando il male di cui soffrivano era diventato via via più aggressivo. È importante ribadire che già dal 1947, la penicillina era diventato ufficialmente il farmaco standard per trattare la malattia e moltissimi americani venivano curati in centri appositi creati dal governo. Contemporaneamente, però, si impediva deliberatamente a moltissime persone di accedere a quelle stesse cure che avrebbero loro salvato la vita.

Nella prima metà degli anni ’50, solo il 30% dei partecipanti, infatti, aveva ricevuto un trattamento di penicillina, mentre gli altri venivano lasciati al proprio destino.

La versione ufficiale continuava ad essere la stessa: i neri non accettavano il trattamento il che era vero, in fondo.

Essi, infatti, credevano di essere già in cura, perché avrebbero dovuto chiedere altre cure?

Nel 1965, la versione diventò un’altra. I soggetti si trovavano ad uno stadio della malattia troppo avanzato ed ogni tentativo di cura con penicillina non sarebbe servito ormai a nulla.

Tale versione, risulta ancora più odiosa se si sottolinea che la medicina ufficiale sosteneva che il farmaco era raccomandato in tutti gli stadi della sifilide e quindi avrebbe potuto frenare la progressione della malattia nei pazienti di Tuskegee. Evidentemente, non era così importante applicare tali dettami ai neri.

I responsabili dello studio, d’altronde, non furono minimamente scalfiti né dal Codice di Norimberga del 1948 né dalla Dichiarazione di Helsinki del 1964 che erano stati redatti, nel frattempo, allo scopo di definire i principi etici che dovevano regolare la sperimentazione umana.

Gli studi proseguirono, infatti, fino al 1969 e fu solo il coraggio di Peter Buxtun a porre fine a quello scempio. Buxtun era un assistente sociale ed epidemiologo di 27 anni che lavorava sulle malattie sessualmente trasmissibili.

Nel corso del suo lavoro, apprese dell’esperimento di Tuskgee da alcuni colleghi e ne rimase sconvolto. Presentò, per questo motivo, una protesta ufficiale alla Divisione delle Malattie Veneree del Servizio Sanitario Pubblico, ma la sua istanza fu respinta.

Ciononostante, non si arrese e presentò un’altra protesta qualche mese dopo l’omicidio del dottor Martin Luther King jr., insinuando che ci fosse una qualche motivazione politica dietro lo studio in atto in Alabama, ma ancora una volta i dubbi sollevati dal giovane studioso, furono ritenute irrilevanti.

Fu nel 1972 che Buxtun decise di far trapelare le sue informazioni alla stampa. Ne parò con Jean Heller, una scrittrice e giornalista investigativa che scrisse un articolo per il New York Times che finì in prima pagina, il 16 novembre 1972.

La denuncia della giovane giornalista fu durissima e anni dopo lei stessa definì la storia come «una delle più grossolane violazioni dei diritti umani che si possa immaginare.»

Dopo pochi giorni, il senatore Edward Kennedy convocò il Congresso americano per un’udienza durante la quale furono ascoltati sia Peter Buxtun che vari funzionari del Dipartimento della Salute, dell’Istruzione e del Benessere degli Stati Uniti. Dopo poco, il mostruoso esperimento di Tuskegee fu interrotto.

A quel punto, solo 74 dei soggetti del test erano ancora vivi.128 pazienti erano morti di sifilide o di complicazioni ad essa connesse. 40 donne, mogli di soggetti sottoposti al test, risultavano infettate e 19 dei loro figli contrassero la malattia in modo congenito.

Nel paese vi fu un’ondata di indignazione di massa. Quei metodi ricordavano molto le sperimentazioni avvenute durante il nazismo per il quale molti tra medici ed ufficiali tedeschi, erano stati processati a Norimberga e subito pene molto pesanti.

Il senatore democratico William Proxmire, membro della sottomissione per gli stanziamenti del Senato che sovrintende ai budget del servizio sanitario pubblico, definì lo studio «un incubo morale ed etico.»

La National Association for the Advancement of Colored People, avviò un’azione legale collettiva contro il Servizio Sanitario Pubblico e dopo due anni, il giudice decise di condannare l’ente al pagamento di dieci milioni di dollari per le cure mediche da destinarsi ai sopravvissuti al test e ai loro famigliari, l’ultimo dei quali morì nel 1999.

Lo scandalo di Tuskegee, ha avuto delle conseguenze importanti, almeno dal punto di vista formale. Il Congresso americano, infatti, approvò il National Research Act nel 1974 e l’Office for Human Research Protections.

Il consenso informato dei partecipanti ai test, è diventato obbligatorio così come la supervisione dell’Institutional Review Boards nelle università e negli ospedali.

L’IRB è una commissione indipendente che vigila sulle sperimentazioni per assicurare che siano tutelati i diritti, la sicurezza e il benessere dei soggetti coinvolti. Resta, ancora oggi, l’incredulità e l’amarezza di fronte al fatto che nessuno sia stato ufficialmente perseguito come responsabile o connivente di quello che può essere considerato il massacro deliberato di Tuskegee.

Nessuna condanna è stata inflitta per aver consapevolmente destinato alla morte e alla malattia tante persone ignare.

Dopo dieci anni dall’inizio dello studio, si era scoperto che la penicillina poteva curare efficacemente la sifilide, eppure il farmaco fu negato ai soggetti coinvolti.

I 399 uomini di Tuskegee, Alabama, furono semplicemente trattati come topi da laboratorio da scienziati e politici bianchi, molti dei quali conoscevano la natura mostruosa di quello studio e lo appoggiarono grazie ad un’odiosa sottocultura razzista che induceva a considerare i neri come individui sacrificabili per un bene superiore, quello dei bianchi. Una mostruosa anomalia del sistema democratico americano, dunque.

Un’onta tremenda per una società, quella occidentale ed opulenta, autoproclamatasi civilizzata.

Si spera che il sacrificio di tanti esseri umani che non hanno avuto la possibilità di operare scelte ponderate riguardo alle proprie esistenze, perché ingannati da quelle che erano ritenute delle menzogne necessarie a scopi scientifici, non venga dimenticato.

Anzi, il massacro silenzioso di Tuskegee deve essere un monito ed uno sprone incessante affinché non si reiterino più ripugnanti errori dettati da pregiudizi radicati in certi oscuri anfratti della cultura occidentale e difficili da estirpare. Errori come quello di Tuskegee, Alabama.

 

 

FONTI:

Syphilis Victims in U.S. Study Went Untreated for 40 Years

Brandt, Allan M. “Racism and Research: The Case of the Tuskegee Syphilis Study.” The Hastings Center Report 8, no. 6 (1978).

U.S.Public Health Service 1958

Jean Heller, “Syphilis Victims in U.S. Study Went Untreated for 40 Years,” New York Times, July 26, 1972.

 

 

 

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