Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

La filosofia politica di Karl Raimund Popper

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Risale a 28 anni fa, nel 1994, la scomparsa di Karl Raimund Popper, uno dei più grandi filosofi del secolo scorso.

Popper era nato in quel grande crogiolo culturale che fu Vienna a cavallo tra la fine dell’800 e gli inizi del ’900. A causa del suo anti-nazismo e delle ascendenze ebraiche della sua famiglia, emigrò prima in Nuova Zelanda e poi in Inghilterra, dove insegnò per tutta la vita presso la celebre London School of Economics.

L’importanza del pensiero popperiano è testimoniata dal fatto che le sue idee ancor oggi influenzano i politici, gli economisti e gli scienziati sociali. Popper ha tra l’altro coerentemente applicato le sue vedute all’analisi della società e della politica, fino a diventare uno dei maggiori teorici contemporanei del pensiero liberale.

È opportuno sottolineare che la strategia popperiana conduce ad affermare il carattere provvisorio e controvertibile della conoscenza scientifica. In altri termini, è sempre possibile che quanto conosciamo o riteniamo vero oggi si riveli, in futuro, falso. E la storia della scienza è costellata di teorie che, ritenute vere e definitive in una certa epoca, si sono poi dimostrate fallaci.

 

Ad esempio, la teoria di Einstein ha sostituito quella di Newton, la quale aveva a sua volta soppiantato quella tolemaica. Ma niente ci autorizza a credere che la teoria einsteiniana sarà valida per sempre: prima o poi essa verrà superata come è accaduto alle precedenti.

Limitiamoci per ora ad osservare che questa strategia, secondo il nostro autore, è applicabile in ogni ramo della conoscenza, ivi incluso l’ambito di competenza della politica. Egli ha espresso in modo suggestivo questa idea con la frase “La ricerca non ha fine”, che è poi il titolo della sua autobiografia.

Venendo ora all’applicazione dell’epistemologia allo studio della società e della politica, riprendiamo l’invito popperiano a formulare le nostre teorie nel modo più chiaro possibile, così da esporle spontaneamente alla confutazione. In primo luogo, Popper rivolge le proprie critiche alla psicoanalisi e al marxismo, accusati entrambi di evadere sistematicamente la confutazione, riformulando in continuazione la teoria per evitare le prove e conservarne a tutti i costi la validità.

Concentriamoci ora sul marxismo, che è più interessante della psicoanalisi ai fini del nostro discorso. Dal marxismo si possono in effetti trarre delle predizioni sottoponibili alla procedura della falsificazione. Anzi, parecchie predizioni della teoria marxista erano già state falsificate negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, quando Popper elaborava le proprie tesi di filosofia politica.

Il problema era che i marxisti in pratica rifiutavano di accettare la falsificazione, e continuavano a modificare la propria teoria per tenere in scacco la falsificazione stessa. Le loro idee finivano insomma per assumere la certezza - non certo falsificabile - di una fede religiosa, per cui ogni controdeduzione si arenava di fronte al loro rifiuto di sottoporre la teoria a tests di falsificabilità. La cosa non avrebbe ovviamente avuto importanza alcuna se i marxisti non avessero insistito a qualificare la loro teoria come “scientifica”. E, invece, proprio questo essi facevano.

La confutazione popperiana del marxismo si trova nella sua principale opera di filosofia politica, La società aperta e i suoi nemici.

Il nostro autore la scrisse, pur pubblicandola soltanto nel 1945, negli anni ’30, e cioè mentre Hitler e Stalin sembravano non incontrare ostacoli in Europa. E’ un libro contro il totalitarismo in genere, di qualunque colore esso sia, e contiene un atto di accusa spietato nei confronti tanto della Germania nazista quanto dell’Unione Sovietica staliniana.

Per spiegare l’attrazione che il totalitarismo da sempre esercita sull’animo delle masse, Popper ricorre a concetti di tipo psicologico: la libertà comporta responsabilità, e a sua volta la responsabilità spaventa. Accettare di vivere con responsabilità significa dover compiere continuamente delle scelte; le scelte a loro volta implicano la possibilità dell’errore e, di conseguenza, si rivelano gravose. Esiste in noi un perenne elemento infantile, il quale ci fa desiderare di sfuggire a tale condizione per ricercare invece la sicurezza, non importa come conseguita. Vogliamo quindi che le decisioni gravose vengano assunte da qualcuno che riteniamo più forte di noi: il capo o il partito.

È interessante notare come Popper giudichi in realtà assai simili, specialmente con riguardo agli effetti che producono, le idee reazionarie e quelle utopiche (come quelle di Marx). In entrambi i casi, la società nel suo stato attuale viene rifiutata; il pensiero reazionario afferma che una società perfetta esisteva in passato, quello utopico che una società ideale esisterà nel futuro. Tanto i reazionari che gli utopisti non disdegnano l’uso della violenza.

Mentre i primi vogliono bloccare i processi di mutamento della società, i secondi, che si considerano chiamati a costruire la società perfetta del futuro, cercano, quando a loro parere è stata realizzata, di renderla immobile e perpetua. Come negare che il risultato, pur perseguito con fini diversi, sia il medesimo, e cioè il blocco del mutamento sociale? Popper, tuttavia, si rende ben conto che le conseguenze aberranti non possono far ritenere che il desiderio di costruire una società perfetta sia esso stesso perverso. Anzi, sono di solito proprio gli uomini intelligenti e generosi che più si battono per la società ideale, e molti orrori compiuti nel corso della storia si possono far risalire ad un insaziabile desiderio di giustizia sociale e di perfezione morale. Marx viene visto da Popper quale esempio paradigmatico del filosofo geniale la cui teoria politica progetta un futuro perfetto e, nel valutare le tesi marxiane, egli adotta un metodo desunto dai suoi princìpi epistemologici: individuare il lato più resistente delle idee dell’avversario sferrando proprio contro di esso l’attacco.

Contrariamente ai marxisti, il filosofo austriaco afferma che nessuna entità è in grado di prevedere il futuro in modo scientifico, e ciò vale sia per gli scienziati che per le macchine: se potessimo prevedere le scoperte del futuro, verrebbe annullata la stessa differenza tra futuro e presente.

Le società - rileva Popper - non possono mai venir del tutto spazzate via per essere sostituite da qualcosa di totalmente nuovo. Si deve sempre partire dal punto in cui ci si trova: tanto in campo politico che in ambito scientifico non si parte mai da zero, e qualsiasi mutamento reale non si produce nel vuoto, bensì in circostanze ben determinate.

Rivendicare la razionalità di progetti illimitati che si propongono di modificare in modo totale la società significa presuppore un grado di conoscenza elevatissimo, che noi mai potremo possedere a causa dei nostri limiti naturali. Si noti, comunque, che una società libera non può imporre che tutti condividano gli stessi scopi, mentre un governo che si basi su un programma di tipo utopistico è costretto ad andare esattamente in quella direzione per mantenersi fedele ai propri obiettivi primari. Autoritarismo ed utopia sono insomma abbinati sin dalle origini (e poco importa, ai fini pratici, che tale autoritarismo venga perseguito per ottenere il massimo della giustizia e della felicità).

Veniamo infine ad un concetto fondamentale della filosofia politica popperiana: quello di “società aperta”. Il nostro autore considera la vita come un processo in cui gli esseri animati sono senza posa impegnati a risolvere problemi, ed una società sarà dunque aperta se reca dei contributi alla soluzione di detti problemi.

Ma come risolverli? Azzardando dei tentativi di soluzione, ai quali fa seguito la critica e l’eliminazione degli errori eventualmente commessi; ecco quindi Popper auspicare forme di società che permettano di avanzare liberamente molte proposte, ognuna delle quali deve poi essere sottoposta al vaglio critico. E, a tale proposito, una società è destinata a conseguire maggiori successi sul piano materiale se possiede istituzioni libere piuttosto che ordinamenti autoritari. In questo senso, un indirizzo politico è una “ipotesi” che può essere equiparata a quelle scientifiche: deve essere messa alla prova nella realtà e corretta alla luce dell’esperienza. L’indagine critica consente di scoprire gli errori nascosti e di innestare procedure di correzione, prima che essi possano causare troppi danni. La vigilanza critica, in queste condizioni, si può esercitare con successo, mentre le autorità politiche che impediscono che i propri indirizzi vengano sottoposti ad analisi critica sono condannate a commettere molti errori.

 

 

 

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