Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Quando Boccaccio incontrò Fiammetta a Napoli

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Tre donne, Beatrice, Fiammetta e Laura, sono entrate nella storia nei secoli Duecento - Trecento per la loro grazia e virtù; amate e idealizzate da Dante, Boccaccio e Petrarca che le hanno poste al centro della loro poetica e concezione del mondo. È stata comune la folgorazione amorosa iniziale.

Così si esprimeva Dante ne La Vita Nova all’apparizione di Beatrice:

«Apparve vestita di nobilissimo colore (…). In quel punto dico veramente che lo spirito della vita, lo quale dimora nella secretissima camera del cuore, cominciò a tremare si fortemente, che apparia nelli menomi polsi orribilmente».

Boccaccio usò quasi le stesse parole per descrivere l’incontro con Fiammetta e Petrarca nel Canzoniere collegava la visione di Laura alla morte di Gesù avvenuta in quella data, il Venerdì Santo:

«Era il giorno ch'al sol si scoloraro/ per la pietà del suo Fattore i rai, / quando i' fui preso, e non me ne guardai, / ché i be' vostr'occhi, donna, mi legaro…».

Nel   percorso amoroso successivo Dante veniva accompagnato da Beatrice in Paradiso e Petrarca alla massima gloria poetica da Laura.

 

Il percorso di Boccaccio ha mostrato notevoli differenze e tratti contraddittori, non ha prodotto un mito unitario anche se Fiammetta rimase il personaggio simbolo della sua letteratura erotica.

Il saggio di Marco Santagata, Boccaccio indiscreto, il mito di Fiammetta (Il Mulino 2021),  ha gettato nuova luce su questo aspetto della vicenda amorosa del grande scrittore.

Giovanni Boccaccio nacque nel 1313 in Toscana (non è certo se a Firenze o a Certaldo), figlio naturale di un ricco mercante, Boccaccino di Chellino. Il padre lo riconobbe, lo accolse in casa propria e lo fece studiare per avviarlo al suo stesso lavoro.

Giovanni, che aveva mostrato fin dall’infanzia la passione per le lettere, anni dopo nel De geneaologia deorum gentilium scrisse: 

«Mio padre fece ogni tentativo, sin dalla mia fanciullezza, perché diventassi mercante. Mi affidò come discepolo a un grande mercante, presso il quale per sei anni nul-l’altro feci che consumare invano tempo non recuperabile».

Nel 1327 il padre decise di portare con sé il figlio quattordicenne a Napoli, città dove svolgeva il ruolo di agente di cambio per la famiglia dei Bardi, potenti banchieri fiorentini. Sperava che Giovanni, attraverso la pratica, si appassionasse al mondo della finanza, degli affari e dei commerci.  

Quando Boccaccio arrivò a Napoli trovò una realtà totalmente diversa da quella fiorentina: Firenze era una città comunale fortemente provinciale mentre Napoli era sede di una corte regale e cosmopolita, quella degli Angiò, il re Roberto D’Angiò (1277-1343),  un colto e generoso mecenate.

L’adolescenza e la giovinezza che il Boccaccio trascorse a Napoli dal 1327 al 1340, furono fondamentali per sua formazione culturale. Fu durante quegli anni che avvene in quegli anni l’incontro con Fiammetta.

Dopo sei anni di apprendistato negli uffici dei cambiavalute abbandonò l’impiego per dedicarsi a studi giuridici nell’ateneo napoletano. Tuttavia in seguito preferì dedicarsi alle letture dei classici latini e greci studiando la produzione cortese-cavalleresca, ampiamente diffusa e coltivata nella raffinata corte angioina.

Nel 1334 pubblicò la prima opera, La caccia di Diana,  un poemetto in terzine dantesche che  celebrava in chiave mitologica  sessanta gentildonne napoletane indicate per nome; ad una di esse, la più bella, ma senza nome, il poeta prometteva, come aveva fatto Dante ne La Vita Nova per Beatrice, una ulteriore migliore rappresentazione.

Questa avvenne nel Filocolo, un romanzo in prosa composto nei quattro anni successivi nel quale comparve per la prima volta il nome Fiammetta.

La donna venne presentata a Caleon, un gentiluomo fiorentino che arrivava improvvisamente a Napoli, con queste parole:

«Una donna più che altra da riverire, piena di meravigliosa bellezza e di virtù; Il suo nome è da noi qui chiamato Fiammetta… Ella è figliola dell’altissimo principe sotto il cui scettro questi paesi si reggono e a noi tutti è donna».

La donna ideale, veniva quindi indicata in Maria, figlia naturale di Roberto d’Angiò, re di Napoli. Sposata giovanissima a un conte d’Aquino, per la bellezza e per il carattere brillante fu al centro della vita mondana della corte di Napoli, anche se nessun documento ne attesta la sua reale esistenza.

Il primo incontro con Maria-Fiammetta avvenne nel 1336 di sabato sera alla «quarta ora del giorno» nella chiesa di San Lorenzo Maggiore.

All’inizio del Filocolo il poeta prometteva di dedicarlo a Fiammetta, promessa mantenuta alla fine dell’opera nella quale veniva più volte sottolineato che la passione amorosa era unilaterale, presente solo da parte di Boccaccio.

Il nome Fiammetta, come quello di Laura per il Petrarca, è un senhal, ossia un nome fittizio usato nella poesia provenzale, dietro il quale veniva celata la persona a cui era rivolto l'omaggio o la dedica.

Boccaccio potrebbe aver ricavato il nome da Flamenca, il titolo di un romanzo in lingua occitanica evocativo di “fiamma e “splendore”.

A 27 anni, nel 1340 dovette lasciare improvvisamente Napoli probabilmente per problemi economici, interrompendo gli studi universitari.

Il suo orizzonte da allora cambiò totalmente: divenne insofferente verso la vita troppo ristretta e provinciale di Firenze, sopraffatto dalla nostalgia della città partenopea considerata un paradiso perduto.

La figura di Fiammetta, assente nella produzione letteraria per due anni, ricomparve negli scritti fiorentini La Commedia delle Ninfe Fiorentine (1341-42), L’amorosa visione (1341-43), Il Ninfale fiesolano (1344-46), ma in versioni del tutto diverse da quelle del Filocolo.  

Nella Commedia veniva addirittura raccontata come un’adultera che si concedeva sia al marito che all’amante; gli incontri con Caleone, personaggio allegorico identificabile con Boccaccio, vennero descritti con un erotismo talmente esplicito da preoccupare lo stesso autore di una possibile censura da parte delle autorità ecclesiastiche.

Boccaccio perseguì comunque un obbiettivo preciso: certificare che la “reale” Maria d’Aquino, l’immaginaria Fiammetta descritta nel Filocolo a Napoli e quella nelle opere fiorentine erano due diverse morfologie della stessa figura femminile.

Con L’Elegia di madonna Fiammetta, scritta nel 1943-1944 nella quale un giovane fiorentino Panfilo, abbandonava e tradiva Fiammetta, dama napoletana, il rapporto s’invertiva e l’addio al personaggio mitico diveniva definitivo.

Fiammetta ricomparve molto più tardi nel Decameron ma solo come una “reina”, tra i personaggi che stabilivano il tema delle novelle nelle dieci giornate.

L’infatuazione giovanile, entusiastica ed ingenua del Filocolo, opera letteraria presentata alla corte di Napoli da un figlio di mercante come segno di elevazione sociale, poco apprezzata e probabilmente osteggiata dalla nobiltà, venne riformulata a Firenze, costruendo successivamente il mito erotico, una probabile rivalsa rispetto ad un fallimento precedente.

Nel Decameron, elaborato durante la “peste nera” 1347 e completato probabilmente nel 1351, Boccaccio si liberò degli apparati retorici, allegorici ed eruditi delle opere precedenti.

Nel grande affresco narrativo dell’opera un realismo libero, ricco e magistrale dominava personaggi ed eventi. La donna, da idolo remoto e irraggiungibile e oggetto di culto, qual era nella tradizione cortese, divenne oggetto di un legittimo desiderio maschile, ma anche soggetto di legittimo desiderio carnale.

Un contributo fondamentale veniva dalla descrizione delle diverse componenti sociali: nobiltà, borghesia e popolo frutto dell’osservazione attenta della varia umanità durante il soggiorno napoletano, come pure trovarono spazio le fiabe e le avventure dei mercanti che ascoltavano mentre prestavano servizio al banco commerciale di Capua. Giovanni Boccaccio morì a Certaldo dove fu sepolto il 21 dicembre1374.

 

 

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