Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Hegel e la geografia come storia

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L’affermazione hegeliana del fondamento geografico dei processi storici, contenuta nella seconda edizione della Enciclopedia, è comprensibile solo facendo riferimento all’opera di Ritter e alla situazione della scienza geografica a cavallo tra Settecento e Ottocento. Si tratta di un periodo decisivo per il sorgere della geografia moderna.

In quegli anni i risultati di oltre un secolo di esplorazioni, di misurazioni, di studi geologici e meteorologici, di ricerca etnografica confluiscono in una serie di opere sistematiche. I viaggi e gli scritti di Johann Rheinhold Forster e del figlio Johann Georg (che parteciparono, tra l’altro, alla seconda spedizione di Cook), le lezioni kantiane sulla geografia fisica, le raccolte di Alexander von Humboldt, segnano le tappe principali di questo sviluppo.

Per quanto in un certo senso complementari, l’opera di Humboldt e quella di Ritter rappresentano due direzioni ben distinte della scienza geografica all’inizio dell’Ottocento.

L’interesse di Humboldt è diretto soprattutto verso la geografia fisica: la composizione geologica e mineralogica del terreno, le catene montane e i sistemi idrografici, l’atmosfera e le componenti del clima, il rapporto tra i diversi tipi di ambiente e la vegetazione hanno costituito l’oggetto principale delle sue numerose esplorazioni, condotte dapprima nella regione alpina, poi nell'America meridionale (Colombia, Venezuela, bacino dell’Orinoco, Ecuador, Perù) e centrale (Messico e Cuba).

 

Per Ritter, invece, la geografia è essenzialmente una disciplina storica, la quale ha il proprio centro nello studio dei rapporti tra ambiente naturale e sviluppo dei popoli. La sua opera fornisce un quadro dettagliato della struttura orografica e idrografica del continente africano e di quello asiatico.

Ma esso è in funzione dello sforzo di determinare le possibilità di vita che l’ambiente offre ai popoli che si sono insediati nelle varie regioni di questi continenti, l’influenza che questo rapporto ha avuto sulle loro vicende storiche e, viceversa, l’azione modificatrice dell'uomo sulle condizioni naturali.

A questa differenza di impostazione se ne accompagna un’altra di metodo. Humboldt era soprattutto un geografo-esploratore, e i suoi scritti sono resoconti di viaggi, raccolte di osservazioni dirette.

Al di là dell'impianto descrittivo l’intento di Humboldt è però quello di accertare - e in ciò consiste la sua importanza per il sorgere della geografia moderna – i rapporti di interdipendenza tra i vari fenomeni e le leggi della loro distribuzione spaziale. L’impostazione naturalistica si salda così all’impiego del metodo comparativo, fornendo una base precisa all’inquadramento sistematico di ogni fenomeno.

Ritter era invece un geografo teorico, e la sua è stata in primo luogo un’opera di coordinamento e di sintesi di una vastissima letteratura geografica.

Tra Humboldt e Ritter, tra un’impostazione naturalistica e un’impostazione storica della geografia, Hegel ha decisamente optato per la seconda.

Egli ha utilizzato gli scritti di Alexander von Humboldt, soprattutto quelli sulla meteorologia, sul magnetismo e sul galvanismo. Però, pur avvalendosi di questi contributi specifici all’interpretazione di certi fenomeni, Hegel è sempre rimasto estraneo al naturalismo di Humboldt, alla sua concezione della geografia come “descrizione fisica del mondo”, alla sua ricerca di un principio unitario capace di assicurare l’armonia tra i molteplici fenomeni che costituiscono il cosmo.

Entrambi erano ben consapevoli della distanza che li separava.

Quando nel 1827 Humboldt, di ritorno a Berlino dopo la ventennale permanenza nella capitale francese, terrà un celebre e affollato corso di geografia fisica, egli qualificherà la sua concezione della natura come “metafisica priva di conoscenza e di esperienza”. Anni dopo, egli rinnoverà la critica a Hegel, pur senza nominarlo esplicitamente.

Nei confronti di Ritter, invece, il giudizio positivo di Hegel rivela fin dall’inizio una sostanziale adesione. E proprio nella Erdkande si possono ritrovare gli elementi della prospettiva geografica enunciata nella seconda (e nella terza) edizione della Enciclopedia, e più ampiamente sviluppata nelle Lezioni sulla filosofia della storia.

Ma che cosa ha tratto precisamente Hegel dall’opera di Ritter?

In primo luogo, egli ha accolto la concezione generale della geografia come disciplina storica che deve avere come proprio oggetto il rapporto uomo-natura. In secondo luogo, Hegel ha tratto dalla Erdkande la maggior parte del proprio materiale di informazione, soprattutto a proposito dell’Africa e dell’Asia.

Oltre a ciò, Hegel ha derivato dalla Erdkande una serie di principi interpretativi di cui si è servito per la determinazione della struttura fisica dei continenti e delle possibilità che essi offrono allo sviluppo storico dell'umanità.

Questi principi sono, in breve, la considerazione dei continenti come “individui geografici”, l’importanza fondamentale del rapporto tra forme solide e forme fluide (cioè tra i continenti e il mare), la rilevanza storico-geografica del rapporto tra oriente e occidente, la correlazione inversa tra grado di dipendenza dalla natura e grado di civiltà.

La concezione geografica di Ritter può essere qualificata, in generale, come il tentativo di applicare allo studio della terra e delle sue parti lo schema organicistico elaborato da Herder (e applicato anche allo sviluppo geologico e biologico da Herder stesso).

Nell’introduzione alla Erdkande la terra viene definita come un organismo in continuo divenire, in un processo di sviluppo dominato da due opposizioni fondamentali - quella tra Nord e Sud e quella tra Oriente e Occidente. Il mondo fisico costituisce una totalità che ha trovato la sua esistenza in una certa tensione reciproca delle forze tra un Nord e un Sud, un Oriente e un Occidente.

Non soltanto la terra nel suo insieme, bensì anche le sue principali partizioni, vale a dire i continenti, sono «totalità più o meno separate dalla natura, che possiamo qui considerare, in generale, come i grandi individui della terra».

Il compito della geografia risulta pertanto quello di studiare i singoli continenti nella loro individualità, muovendo dalla ricerca della loro formazione originaria e procedendo a quella della loro posizione nel mondo, in tal modo assegnata dalla natura stessa.

I continenti rappresentano “forme solide” circondate e penetrate da “forme fluide” come l’acqua, l’aria e il fuoco - le quali sono portatrici di un principio di uniformità, in opposizione all’individualità dei continenti stessi.

Proprio il modo in cui le varie parti della terra sono in rapporto con l’acqua, la più importante tra le forme fluide, è decisivo per caratterizzarne la struttura fisica: l’acqua è infatti un elemento mobile, e costituisce perciò il mezzo che unisce l’uno all’altro diversi elementi organici e inorganici.

Come i sistemi idrografici congiungono tra loro le montagne, gli altipiani e le pianure, così il mare congiunge i continenti. Lungi dall’essere un fattore di separazione, l’acqua è elemento connettivo per eccellenza.

Dalla relazione col mare deriva la configurazione dei singoli continenti.

«L’Africa forma, in virtù del fatto di esser circondata tutt’intorno dal mare, una totalità isolata, e si avvicina il più possibile a una formazione terrestre completamente chiusa in sé. L’Asia, circondata decisamente su tre lati dal mare, costituisce per così dire un tronco comune insieme all’Europa, che è separata da essa assai meno dell’Africa.

Tuttavia l’Europa è divisa al suo interno in molte parti dalla conformazione delle coste e dalle insenature del mare in dentro e all’infuori, più di qualsiasi altra parte della terra, e lo è invero tanto più quanto si allontana dalla sua ampia connessione con l’Asia.

L’Africa appare come un tronco senza membra, l’Asia si mostra ramificata su tre lati, ma con prevalenza del tronco, mentre l’Europa si mostra suddivisa in tutte le direzioni, con prevalenza delle membra sul tronco compatto del continente».

Analogamente, il corso e le dimensioni dei fiumi rappresentano un elemento decisivo per la configurazione interna di ogni continente, per la sua divisione in regioni distinte e per la possibilità di comunicazione tra queste.

La differente fisionomia dei continenti non soltanto ne determina la struttura geologica e mineralogica, la flora e la fauna, ma incide anche sulla vita storica dell’uomo. «L’elemento caratterizzante della natura geografica si collega così immediatamente a ciò che di essenziale c’è nella natura storica di questi continenti, e l’una e l’altra coincidono perciò in maniera unitaria, e non accidentalmente, sul teatro della storia e del vecchio mondo a costituire un medesimo fondamento».

La terra è infatti «il teatro complessivo dell’attività» degli uomini, e la configurazione delle sue varie parti condiziona il destino dei popoli.

Da questo punto di vista assume un'importanza decisiva il rapporto tra Oriente e Occidente. Nell’ambito del vecchio mondo, l’antitesi tra i due termini si esprime nella distinzione tra l’Asia e l’Europa, tra la terra delle origini e la terra del mutamento, tra il continente in cui predomina l’attaccamento tradizionale al passato e quello in cui prevale invece il movimento verso il futuro.

Non si tratta soltanto di una differenza fisica, ma anche di una contrapposizione antropologica: infatti “«e voci di tutti 1 popoli la esprimono nel cammino storico della loro cultura, nei loro canti, nelle loro religioni, nelle loro filosofie, nelle loro lingue».

In mezzo, tra questi due continenti si colloca l’Africa, la terra dell’uniformità, in cui si manifesta l’immobilità di un presente non sorretto dalla tradizione né anelante al mutamento.

Lo sviluppo storico ripete quindi il cammino del sole: come il sole sorge a Oriente e descrive, nel suo corso regale, un arco luminoso attraverso il mezzogiorno fino al lontano Occidente, così l’umanità ha avuto nell’Oriente la sua culla, e si è in seguito sviluppata in direzione dell’Occidente. E proprio la scoperta dell’America, rivelando l’esistenza di un nuovo mondo oltre l’Occidente fino allora conosciuto, ha consentito di comprendere la rilevanza storico-geografica del rapporto tra Oriente e Occidente.

Affermando la dipendenza del processo storico dalla struttura fisica e dalla collocazione reciproca dei continenti, Ritter non ha però inteso dare alle proprie formulazioni un significato deterministico. La natura esercita un’influenza sui popoli, e in un grado ancora più elevato che sui singoli uomini.

La storia umana si svolge in un ambiente che è preesistente all’uomo, e quindi indipendente da esso. I popoli stanno tutti sotto la stessa influenza della natura, e quand’anche sembri esprimersi, o si sia espressa, soltanto in questo o quel punto, tuttavia è certo che essa ha operato nascostamente ovunque e in tutti i tempi.

Il grado di dipendenza dell’uomo dalla natura non è però costante, né il rapporto è unidirezionale. Infatti, «da una parte si manifesta una dipendenza ineluttabile da essa, la quale è tanto più vincolante quanto più «uomo è vicino allo stato privo di coscienza e i popoli vivono come orde; dall’altra, a1 contrario, si manifesta un processo di liberazione progressiva dei popoli civili dalle condizioni dei propri ambienti naturali, i quali vengono a rivestire, in misura corrispondente, un peso sempre minore».

A un certo grado di sviluppo storico, anzi, i popoli «si svincolano completamente dalla natura», e il rapporto tra natura e uomo tende a rovesciarsi: alla dipendenza dalle condizioni geografiche subentra lo sforzo di trasformare l’ambiente naturale in conformità alle esigenze dell’uomo. In questo modo la dipendenza dalla natura e la libertà umana, lungi dall’essere termini incompatibili, possono coesistere nello sviluppo storico dell’umanità.

Di questi principi interpretativi, nonché della loro applicazione concreta nel corso dello studio del continente africano e del continente asiatico, Hegel si è largamente avvalso nelle Lezioni sulla filosofia della storia.

L'opera di Ritter offriva a un Hegel che aveva ormai fissato le linee fondamentali del proprio “sistema”, e impegnato nell’elaborazione della filosofia della storia, una concezione della terra come Teatro dello sviluppo storico dell’umanità che si richiamava alla medesima matrice herderiana da cui aveva preso le mosse, un trentennio prima, la sua riflessione sul significato storico della vita dei popoli.

L’interpretazione dei continenti come “individui geografici” appariva perfettamente in linea con la concezione dello “spirito del popolo” come principio unitario delle manifestazioni di vita di ogni popolo.

Il parallelismo tra la marcia del sole e il cammino della storia umana definiva anche sotto il profilo spaziale il “senso” del processo storico. L’affermazione del rapporto inverso tra dipendenza dalla natura e civiltà veniva a coincidere con la visione hegeliana del progredire dello “spirito del mondo” verso l’autocoscienza razionale, cioè verso la libertà.

In questo modo l’edificio concettuale della filosofia della storia di Hegel si arricchiva di una nuova e fondamentale dimensione, quella geografica.

 

 

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