1849. Esuli napoletani e fuorusciti toscani a Londra
Livorno, 20 febbraio 1849. La città era immersa nel sonno e la calma regnava sovrana, quado alla mezzanotte si verificava il ritorno improvviso delle deputazioni da Firenze, con la lieta novella della proclamazione della Repubblica in Toscana. Il Granduca austriaco Leopoldo aveva abbandonato Siena il giorno 7, destinazione finale Gaeta, il giorno dopo Mazzini era sbarcato a Livorno, proveniente da Marsiglia e il 9, in Campidoglio, era stata proclamata la Repubblica Romana. In città, nonostante l’ora tarda, fu subito festa: bande musicali percorrevano le vie e un albero della libertà, contornato da bandiere tricolori, fu piantato come per incanto in mezzo alla piazza, tra il frastuono delle campane e le grida di Viva la Repubblica.1 In mezzo a quel vociare festante, però, alcuni avevano il cuore colmo di una tristezza infinita: era quello dei molti esuli napoletano disseminati tra la folla. «… Sì… di… traditi! - o Napoletani; noi abbiamo veduto con lo strazio dell’anima, noi poveri esuli, innalzarsi nella piazza di Livorno l’albero della libertà; - noi abbiamo intese le grida di gioja del popolo Toscano che acclamavano a quel segnacolo di redenzione universale, e fra la calca di popolo che si accalcava per salutarlo abbiamo veduto …oh le lagrime! – abbiam riconosciuto gli emigranti Napolitani, - gli emigranti di tutto quel regno, gli emigranti calabresi, e fra tanti G. la Cecilia, S. Romeo, i Plutini, e cento altri di quelle indomite regioni che piangevano sospirando la loro patria. – sospirando di vederla libera!»2 Era molto, molto amaro, per i napoletani, il pane dell’esilio, ma quella via l’avrebbero percorsa ben presto anche molti toscani mentre tanti altri sarebbero finiti nelle carceri del Granduca Leopoldo e non solo per motivi politici.
Il nuovo codice penale pubblicato il 20 giugno 1853 reintrodusse la pena di morte “da eseguirsi in pubblico mediante decapitazione” (art. 14) e la ghigliottina fu appositamente fatta venire dalla Francia. L’influenza gesuitica (e dei vassalli gesuitanti) sulla corte toscana dopo la restaurazione fu molto marcata e, come al solito, si servì del braccio secolare, anche nella stesura del nuovo codice penale, che prevedeva pene molto severe per i “delitti contro la Religione di Stato”, cui è dedicato tutto il Titolo II.3 Sorte non migliore ebbe l’educazione della gioventù toscana che, con la nuova legge sulla pubblica istruzione, ne consegnava ai Gesuiti l’educazione. Seguì un’ondata di perquisizioni, arresti, imprigionamenti, condanne ai lavori forzati, esili, vessazioni d'ogni genere, contro persone il cui solo delitto era talora, unicamente, quello di leggere la Bibbia o di frequentare ambienti non cattolici quali la cappella svizzera di Firenze. Sorgente primaria di ogni delazione erano i confessionali e le comari che origliavano malevolmente all’uscio dei vicini. Tralasciando il caso di personaggi più o meno celebri, quello più pietoso fu probabilmente quello dei coniugi Francesco e Rosa Madiai, di umile condizione, che destò subito orrore tra i protestanti d’Inghilterra, Scozia e Irlanda.4 La loro casa era conosciuta in Firenze come luogo di convegno per i cristiani e durante la perquisizione vi furono rinvenute due Bibbie. Furono brutalmente incarcerati, separati l’uno dall’altro e guardati a vista. Dopo lunghi mesi di prigionia, il 4 giugno 1852 furono condotti in tribunale. Rosa fu condannata a 42 mesi d'ergastolo e Francesco a 56 mesi di casa di forza e pubblici lavori, alle spese del processo, e a tre anni di sorveglianza della Polizia dopo l’espiazione della loro pena. I cittadini di Glasgow furono talmente commossi da quella vicenda che il 12 ottobre 1852, riuniti in pubblica assemblea, decisero di scrivere un memoriale che indirizzarono “a Sua Altezza Imperiale e Reale Leopoldo II, Granduca di Toscana”, pregandolo di mettere i due prigionieri in libertà. Numerose furono pure le deputazioni di cristiani provenienti dall’Inghilterra, Francia, Svizzera, Allemagna e Olanda che si recarono dal Granduca, ma tutto fu vano. E il venerdì 7 gennaio 1853 nel Metropolitan Hall di New York si riunì un’assemblea di circa sei mila persone, presieduta dal sindaco Ambrose Kingsland, per discutere del caso Madiai. Uno dei tanti fuorusciti dal Granducato per motivi religiosi fu Damiano Bolognini, la cui fuga miracolosa fu personalmente narrata su L’eco di Savonarola, un foglio mensile in italiano e in inglese fondato da Camillo Mapei, pubblicato a Londra e del quale il Bolognini ne divenne presto assiduo collaboratore.5 Quel foglio finì da subito oggetto della censura ecclesiastica che, con decreto del 29 novembre 1847, lo considerò eretico e annoverato nell’Index librorum prohibitorum. Dopo la morte del Mapei, avvenuta in Dublino nel 1853, alla direzione del giornale, dove scrivevano anche penne molto famose quali quella di Gabriele Rossetti (altro rifugiato napoletano della precedente ondata, per avere appoggio agli insorti dei moti liberali del 1820)6, succedette Salvatore Ferretti, un altro illustre esule fiorentino. È da pochi giorni trascorsa la festività dell’8 Dicembre, festa della Immacolata Concezione, il cui dogma, proclamato da Pio IX l’8 dicembre 1854, dichiarò Maria concepita senza peccato originale. La proclamazione chiudeva la trilogia della deificazione di Maria: Madre di Dio (Efeso, 431), Sempre Vergine (prima, durante e dopo il parto, Costantinopoli, 553), concepita senza peccato (Roma, 1854). Un’appendice al processo di deificazione di Maria, tanto caro e così fortemente perseguito dai Gesuiti, si ebbe con Pio XII (1950) che con altro dogma ne proclamò l’assunzione in cielo e, quindi, senza passare attraverso la morte. Ovviamente tali dogmi, imposti ai credenti come articoli di fede nel collaudato stile del Vaticano, non hanno la benché minima base scritturale. Maria, madre di Gesù, era ebrea, figlia di ebrei, originaria di Betlemme e discendente in linea retta da quell’altro Ebreo storico che fu Davide, il quale regnò su Giuda, da Hebron, per 7 anni e 6 mesi e su tutto Israele e Giuda, da Gerusalemme, per 33 anni (II Sam. 5:4-5), ma la sua ebraicità (di Maria) è magicamente sparita dalla teologia cattolica. Era la più umile delle donne «Ecco, io sono la serva del Signore, mi sia fatto secondo la tua parola» (Luca 1:38), consapevole dei suoi destini sin dalla giovinezza «e a te stessa una spada trapasserà l’anima» (Luca 2:35) ma dal coraggio indomito, al punto da assistere all’esecuzione del Figlio che dal profondo della sofferenza ebbe lo spirito di affidarla a Giovanni, «e da quel momento, il discepolo la prese in casa sua» (Giovanni 19:27). Correva l’anno 1854, la notizia della proclamazione del dogma arrivò a Londra e proprio l’esule Damiano Bolognini, buon conoscitore delle Scritture, pubblicò su L’eco di Savonarola un forte articolo di indignazione sulla novità, dal titolo Un nuovo dogma nella Chiesa Romana”.7 Pio IX aveva ormai tutto il tempo di occuparsi di vicende teologico-favolistiche, avendo risolto quelle politiche. La Repubblica Romana era stata soffocata nel sangue, il suo amico Luigi Napoleone, in Francia, con un colpo di mano aveva assassinato la Repubblica (2 dicembre 1851), Ferdinando II regnava felicemente in Napoli, il Granduca Leopoldo II in Toscana, in Austria il cattolicissimo Francesco Giuseppe, a Modena il sommesso Duca Francesco V, a Parma e Piacenza l’obbediente Duca Ferdinando Carlo III. E meglio per quel Papa non poteva andare, ma i tempi erano oramai maturi per i popoli in terra d’Italia, irresistibilmente vocati ad essere uomini liberi e non greggi di pecore da tosare.
Note L’immagine di copertina è tratta da Pietro Martini, Diario livornese. Ultimo periodo della rivoluzione del 1849, Livorno, Tipografia della Gazzetta Livornese, 1892 2. Livorno, 1° marzo 1849, in Teodorico Rossetti: Ferdinando Borbone, il Regno di Napoli e la guerra dell’indipendenza, Tip. di Francesco Lao, Palermo, 1849. 3. Codice penale pel granducato di Toscana, Firenze, Stamperia Granducale, 1853. 4. Biografia di Rosa Madiai per Teodorico Pietrocòla Rosseti, Firenze, stabilimento G. Pellas, 1871 5. L’Eco di Savonarola, n. 4, Aprile 1852. 6. La biografia è brevemente tracciata dal nipote, anch’egli patriota ed esule napoletano a Londra. Teodorico Pietrocòla Rossetti, Gabriele Rossetti, Unione Tipografica Editrice, Torino, 1861 |
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