Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Le centrali solari, i moderni “specchi ustori”

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È probabilmente una leggenda quella degli” specchi ustori” con i quali Archimede avrebbe incendiato le navi romane che assediavano Siracusa nel 212 a.C., ma come tutte le leggende conteneva un messaggio. 2500 anni più tardi le celle fotovoltaiche al silicio, i moderni “specchi ustori”, hanno catturato l’energia inviata dal sole e il satellite artificiale Vanguard I nel 1958 è stata la prima apparecchiatura di grandi dimensioni a ricavare da queste celle l’elettricità per il suo funzionamento.

Anche questa volta l’obbiettivo non era comunque del tutto pacifico facendo parte della competizione per la conquista dello spazio durante la guerra fredda tra USA e Unione Sovietica.

Gli aspetti positivi dell’energia solare sono facilmente intuibili: la fonte è inesauribile e in quantità enorme: negli anni 80 lo scienziato tedesco Gerhard Knies, calcolò come soltanto in sei ore arriva nel continente africano una quantità di energia solare pari a quella consumata nel mondo in un anno; gli impianti solari non producono emissioni inquinanti, gas serra, né scorie, non presentano problemi di sicurezza per il territorio circostante, il processo produttivo è semplice.

Lo sviluppo di questa fonte di energia è stato comunque più lento di altre come ad esempio quella dell’energia nucleare nata nello stesso periodo.

 

I reattori nucleari in funzione nel mondo sono attualmente oltre 400 mentre nel 2009 le centrali fotovoltaiche più grandi erano soltanto 50, per non citare lo scorrere inarrestabile dei fiumi di petrolio o dei carichi di carbone che hanno inondato il globo terrestre nell’ultimo secolo. Le conseguenze si vedono attualmente.

Il ritardato sviluppo ha motivazioni diverse: la bassa resa iniziale delle celle fotovoltaiche, il costo non competitivo con quello dei combustibili fossili, la “aleatorietà” della fonte energetica, dipendente dalle condizioni atmosferiche con la conseguente definizione della fonte solare come “non programmabile”; infine, per le centrali solari di notevoli dimensioni, rispetto ad altri tipi di centrali, a parità di fornitura di energia,  sono necessarie  grandi superfici con impatto negativo sul paesaggio.

Veniva portata ad esempio la Germania, fra i paesi europei più ricco di centrali solari, che nel 2008 riusciva rispondere solo allo 0,4% del proprio fabbisogno energetico con la fonte fotovoltaica.

Queste motivazioni sono attualmente superabili: la resa dei moderni apparati fotovoltaici è in continuo aumento e il costo dell’energia solare è divenuto competitivo con quello di altre fonti; si stanno sperimentando sistemi sempre più efficienti per quanto riguarda la conservazione dell’energia; per quanto riguarda lo spazio necessario per gli impianti occorre fare una distinzione tra impianti di piccole e grandi dimensioni.

Per i primi si può e si deve ricorrere rapidamente all’ utilizzo della enorme superficie dei manufatti che occupano attualmente il suolo della superficie terrestre, in particolare nei Paesi industrializzati. Nel 2014 il 7% del territorio italiano era coperto con asfalto e cemento (edifici privati e pubblici, fabbriche, depositi, insediamenti commerciali, parcheggi etc.) pari ad una superficie di circa 21.000 chilometri quadrati.

È facilmente verificabile come solo una minima parte di questa superficie sia oggi coperta da pannelli solari.

Per quelli di grandi dimensioni sarebbe assurdo e soprattutto immorale ricorrere a contesti collinari o aree vocate all'agricoltura; anche le cosiddette “terre abbandonate” devono essere recuperate per quello scopo.

Le zone desertiche del pianeta potrebbero in futuro offrire possibilità concrete. Nel mondo vi sono 20 grandi deserti, sparsi in tutti i continenti; esclusa l’Antartide per ovvi motivi, la superficie complessiva degli altri supera i 20 milioni di kmq; il Sahara ha posizione predominante con 13 milioni di kmq.

Il Sahara ci illuminerà, titolava il Corriere della Sera il 23 luglio 2008 e riportava l’opinione di Arnuf Jager Walden della European Commissions’s Institute for Energy: «basterà catturare lo 0.3% dell’energia solare che scalda il deserto del Sahara per sopperire ai bisogni energetici europei». Secondo uno studio allora commissionato dal ministro dell’ambiente tedesco, il Trans Mediteranean Interconnection Solar Power, l’energia prodotta nei Paesi del Nord Africa potrebbe essere trasportata in Europa attraverso elettrodotti; il progetto è stato abbandonato per l’instabilità politica di quei Paesi.

Come tutti i grandi impianti devono essere presi in considerazione anche eventuali effetti collaterali negativi; la costruzione di grandi dighe per produrre energia idroelettrica ha avuto effetti devastanti sui territori e sulle popolazioni circostanti; la sicurezza delle centrali nucleari e la produzione di scorie radioattive sono i problemi non risolti dell’energia nucleare.

Per quanto riguarda le centrali solari è interessante riportare i risultati di uno studio di scienziati svedesi pubblicato nel 2008 che ha mostrato come la copertura del 25% -50 % del Sahara con pannelli solari aumenterebbe la temperatura locale del deserto rispettivamente di 1.5°C e 2.5°C gradi, il riscaldamento si diffonderebbe in tutta l’atmosfera con conseguenze molto negative sul clima globale.

Attualmente sono dieci gli impianti solari costruiti nei deserti, i più grandi sono il Bhadlam solar park in India; Il Desert Sublight solar farm in USA; lo Haimanzhou solar park in Cina e il Ourzazate solar park in Marocco. La superficie complessiva di questi parchi solari rappresenta una minima parte dell’estensione totale dei deserti.

Il mega impianto solare del Marocco, uno dei più grandi al mondo, copre una superficie di 1.4 kmq. È stato calcolato che un parco solare complessivo nei deserti di soli 250 kmq, potrebbe produrre energia quanto ne consuma l’intera umanità.

Un Paese con grandi estensioni desertiche come l’Australia, politicamente stabile, avanzato dal punto di vista tecnologico, potrebbe per esempio trovare nell’energia solare l’alternativa a quella fossile, legata alla produzione del carbone; quest’ultima è talmente elevata in questo Paese da essere considerata uno dei 43 disastri planetari nel film documentario Antropocene. L’epoca umana di Baichwal e de Pencier del 2018.

La transizione dall’uso delle energie fossili a quelle rinnovabili è tutt’altro che facile, ma è anche ineludibile se si vuole evitare la catastrofe; i segni premonitori non mancano.

 

Ourzazatesolarpark, Marocco

 

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