I protocolli dei Savi del Sion

Categoria principale: Storia
Categoria: Storia Contemporanea
Creato Martedì, 29 Giugno 2021 10:16
Ultima modifica il Martedì, 29 Giugno 2021 10:34
Pubblicato Martedì, 29 Giugno 2021 10:16
Scritto da Mario Avagliano
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Negli anni Venti Adolf Hitler, a quel tempo pittore dilettante pressoché sconosciuto, scriveva che l’accanito tentativo di dimostrare la falsità dei Protocolli dei Savi di Sion ne provava l’autenticità.

Negli anni Trenta Julius Evola, nella prefazione all’edizione dei Protocolli curata da Preziosi, affermava che non era necessario accertare l’autenticità del testo, perché la realtà storica ne dimostrava la veridicità.

La veridicità o l’autenticità di un falso che, come scriverà all’alba della seconda guerra mondiale Henri Rollin, sarebbe divenuto il più diffuso nel mondo dopo la Bibbia.

Nei volumi dedicati ai Protocolli dal dopoguerra in poi si è analizzata la storia, spesso romanzata, di questa calunnia, alla ricerca, quasi sempre, di uno o più falsari in terra francese, senz’affatto spiegare in modo chiaro le origini dell’intera questione.

Rara eccezione è stata l’analisi lessicale e filologica dei Protocolli operata ne Il manoscritto inesistente da Cesare G. De Michelis, che ha firmato la prefazione anche di un interessante saggio, L’ombra del kahal. Immaginario antisemita nella Russia dell’Ottocento di Alessandro Cifariello.

 

In questo libro Cifariello ha esaminato la preistoria dei Protocolli in un ambiente russofono ed analizzato la questione ebraica in Russia e la diffusione dei miti attorno agli ebrei e alla comunità ebraica nella letteratura russa dell’Ottocento.

Cifariello si è soffermato in particolare sulla subcultura antiebraica propria della cultura russa del XIX secolo e sulla giudeofobia, ovvero quella recondita paura degli ebrei che, inizialmente sotto-testo narrativo, divenne successivamente accusa reale capace di scatenare distruzione e morte attraverso i pogrom antiebraici.

Il titolo del saggio di Cifariello ha riecheggiato quello pubblicato nel 1869 da Jacob Brafman, ebreo convertito, diventato giudeofobo, che era intitolato appunto Il libro del Kahal.

Brafman utilizzò il termine Kahal, che indicava la forma di autogoverno delle comunità ebraiche dell’Europa orientale, in modo distorto, con il significato di potenza occulta che, attraverso una cospirazione planetaria, attuava il programma di dominazione del mondo e di disgregazione fisica e morale dell’Impero russo.

Di grande interesse è stata anche la rassegna operata da Cifariello della lunga serie di testi pubblicati sulle pagine di riviste e quotidiani russi, in cui i due schieramenti contrapposti – i giudeofili e i giudeofobi (tra cui figurano personalità di spicco come Suvorin e lo stesso Dostoevskij) – si combattono a colpi d’inchiostro sul campo della questione ebraica.

Una rassegna che ha attesato il passaggio d’idee e miti della giudeofobia dalle riviste ai romanzi, e dimostrato quanto la bellettristica, ovvero la letteratura dilettantesca, sia stata parte di un più complesso sistema culturale, assieme alla pubblicistica e alla pamphlettistica reazionaria e conservatrice, e come abbia generato al proprio interno, a cominciare dagli avvenimenti storici della seconda metà degli anni settanta dell’Ottocento, un particolare genere di romanzo: quello giudeofobico, in cui il complotto ebraico viene presentato a tinte fosche, a volte persino con gli strumenti del romanzo gotico o del mistero.

Ne sono esempio le opere di cinque scrittori, oggi (fortunatamente) dimenticati, ma molto popolari nel periodo d’attività: Boleslav Michajlovič Markevič, Nikolaj Petrovič Vagner, Vsevolod Vladimirovič Krestovskij, Ieronim Ieronimovič Jasinskij, Savelij Konstantinovič Efron-Litvin.

L’ombra del Kahal  ha rappresentato, dunque, una profonda analisi letteraria sulle origini, tra storia e mito, dell’antisemitismo russo. Un’opera preziosa per indagare sulle origini dei Protocolli.

 

 

Mario Avagliano