Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

La beatificazione di “Francischiello”: un’offesa alla verità storica

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L’iniziativa avviata da ambienti neoborbonici ed avallata da autorità religiose cattoliche di alto livello, come i vescovi campani, suscita sconcerto e preoccupazione, giacché proclamare "beato" l’ultimo sovrano borbonico significa indicarlo sostanzialmente, in una società cattolica, come “un esempio di santità di vita”, che risulta contrastante alla luce delle risultanze della più rigorosa storiografia scientifica e della coscienza civile.

Si offendono in questo modo verità storica e clima civile di una società libera, democratica, laica, fondata sui basilari diritti civili, politici, sociali, ai quali le alte sfere della chiesa cattolica oggi si riferiscono nei loro discorsi e nei loro scritti.

Se Papa Francesco, nella scia di precedenti pontefici, designa i diritti civili, politici e sociali come dimensioni necessarie della dignità di ogni essere umano e di una società umana e religiosa degna di questo nome, ed alla luce di essi critica regimi dittatoriali e società autoritarie e fanatiche, non si comprende come si possa beatificare un sovrano assolutista, clericale, legalmente antisemita, il cui regime ed i cui ordinamenti erano fondati sulla negazione di quei fondamentali diritti civili di libertà e di umana dignità, ai quali i suddetti Pontefici si riferiscono.

Gli ultimi pontefici inoltre hanno messo e mettono ben in luce che la vera religiosità non ha niente a che vedere con il formalismo bigotto e con la superstizione, che furono caratteristiche notoriamente tipiche di Francesco II.

 

Egli regnò dal 22 maggio 1859 al 13 febbraio 1861, quindi circa due anni.

Condizionato dall’esempio e dai consigli del padre Ferdinando II, passato alla storia come un sovrano non solo assolutista, clericale e antisemita, ma anche sanguinario nelle repressioni di vittime civili innocenti da Napoli a Messina, cosa per cui meritò il nome storico di ‘re bomba’, Francesco II non ebbe l’energia e la volontà di trasformare l’assolutista Regno delle Due Sicilie in un regime costituzionale, basato sulla distinzione tra Chiesa e Stato, che garantisse diritti politici, libertà di stampa e di associazione e libertà religiosa, pur nel rispetto in particolare verso il cattolicesimo egemone, dando diritto di culto ad altre confessioni religiose ed agli ebrei in particolare.

Francesco II continuò, nella scia del padre, nei confronti degli oppositori politici, la linea repressiva dell'incarcerazione nelle orrende carceri borboniche, scandalo dell’Europa civile, e dell'esilio, mantenendo intatto il codice penale con la sua disumana pena di morte pubblica e spietata, che incombeva come una minaccia costante per una libera vita civile.

Erano vigenti possentemente censura, indice dei libri proibiti ed inquisizione.

La natura ossessivamente poliziesca e arbitraria che aveva caratterizzato tutto il regime borbonico si mantenne anche durante gli appena due anni di regno di Francesco II.

Egli non mutò quindi l’ordinamento generale e le leggi particolari del Regno, pur conoscendole bene, se l’unico campo che più dominava era quello giuridico.

Poteva storicamente prendere esempio dal Regno di Sardegna e dalla dinastia dei Savoia, che avevano trasformato dal 1848 con il Re Carlo Alberto in senso costituzionale e liberale il loro Regno, concedendo libertà di culto a valdesi ed ebrei, anche per il legame di parentela. Essendo sua madre Cristina di Savoia, egli era cugino del re Vittorio Emanuele II, il re galantuomo che aveva mantenuto in vigore Statuto ed ordinamenti liberali, pur dopo l’abdicazione del padre, in seguito alla sconfitta sarda da parte degli austriaci a Novara.

Mantenne, nella passiva obbedienza verso il padre, l’alleanza con l’Austria, la principale nemica arrogante e autoritaria dell’indipendenza italiana e non mutò atteggiamento, anche quando il Regno di Sardegna, alleato con la Francia di Napoleone III, si batté per liberare il Nord lombardo-veneto dal dominio asburgico. Una discesa in campo accanto al cugino Vittorio Emanuele II avrebbe salvato l’indipendenza del Regno, dando ad esso un prestigio dinanzi alle forze liberali e nazionali, che stavano affermandosi nella vita storica italiana ed europea.

Il Risorgimento italiano avrebbe potuto avere così, con la contemporanea modifica in senso costituzionale del Regno delle Due Sicilie, un esito confederale.

Questa ultima decisione costituzionale fu da lui presa solo quando la situazione storica andava inesorabilmente in senso unitario con l’avanzata vittoriosa della spedizione di Garibaldi. Essa risultò quindi tardiva e sospetta, dati i precedenti fedifraghi della dinastia (vedasi i comportamenti di Ferdinando I nel 1820-1821 e di Ferdinando II nel 1848).

Nel 1860, di fronte alla prevedibile caduta del Regno, invece di seguire il saggio consiglio storico dello zio Leopoldo di Borbone di porre fine con responsabilità, dignità e umanità al Regno delle Due Sicilie, come avevano fatto in Toscana e nei Ducati altri regnanti legati da parentele coi Borbone, Francesco II si comportò in modo protervo e irresponsabile, lasciando una scia di guerra civile e di sangue fratricida e rendendosi colpevole di ciò di fronte alla storia.

Pur ormai abbandonato dalle popolazioni meridionali, passate alla prospettiva unitaria, e dalla maggioranza dell’esercito borbonico sconfitto o che si arrendeva dalla Sicilia a Napoli, scelse l'ormai inutile scontro al Volturno, sperando in massima parte nel valore delle truppe mercenarie bavaresi e svizzere, che nulla potevano contro la forza travolgente dell’Esercito Meridionale, e chiudendosi poi irresponsabilmente nella fortezza di Gaeta, esponendo la città e i pochi militari fedeli alla rovina e alla morte, rovina e morti, che pesano storicamente tutte sulla coscienza irresponsabile e non cristiana di Francesco II.

Quando dovette  ritirarsi  a Roma, capitale di uno Stato Cristiano-Cattolico, da non coinvolgere in corresponsabilità storiche di guerra civile, si ostinò in modo sfrontato e disumano a fare della Città Santa l’epicentro organizzativo dei briganti meridionali, da lui anche finanziati, che si segnalarono dinnanzi all’opinione pubblica italiana ed europea per rapine e saccheggi, per assassini di innocenti, con casi persino di cannibalismo, come avvenne per i fratelli La Gala, il cui processo si tenne davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, richiamando con raccapriccio quello che avevano compiuto i fanatici della cosiddetta ‘Santa Fede’ nel 1799.

Da quell’anno inizia, per valutazione comune della storiografia scientifica, il processo della caduta storica dell’assolutista, clericale, antisemita Regno meridionale, contro le stesse voci di riforma, che venivano da ambienti di tutti i ceti meridionali (non solo del ceto medio, in particolare gli intellettuali, ma anche di parte del ceto aristocratico ed ecclesiastico).

Essi pagarono anche sul patibolo e nelle carceri orrende e nell’esilio quel monito storico.

E non si possono non ricordare le nobili figure dei vescovi riformatori come Giovanni Andrea Serrao, vescovo di Potenza, e Michele Natale, vescovo di Vico Equense, che pagarono atrocemente con la vita questa funzione profetica di un cattolicesimo riconciliato con gli ideali di libertà e di democrazia, di cui oggi la chiesa di Papa Francesco si gloria di richiamare costantemente, esaltandone la necessità e la nobiltà etico-politica, dando prestigio alla chiesa cattolica nel mondo civile.

Beatificati dovrebbero e devono essere i vescovi Martiri Giovanni Andrea Serrao e Michele Natale e non l’ultimo re Borbone, che determinò la fine storica del Regno delle Due Sicilie nei bagliori del sangue e del fratricidio, dell’assassinio fino al cannibalismo.

La nostra cara Italia, figlia del Risorgimento, costato lacrime e sangue di popolo, é una e indivisibile, libera e democratica, rispettosa dei diritti di libertà religiosa da assicurare a tutti i cittadini, in primis a quelli di religione cattolica, e ha già fatto molto per un rispetto di umana pietà verso Francesco II, suo nemico storico tenace, colpevole di rovine, di vittime innocenti e di fratricidio, ed ha permesso nel 1984 che le sue spoglie fossero portate nella sontuosa cappella dei Borboni nella monumentale Chiesa di Santa Chiara, che è di proprietà pubblica, non della chiesa cattolica, in quanto lo Stato ora Repubblicano è responsabile dal punto di vista economico e di salvaguardia artistico-culturale.

Già questo dovrebbe bastare, se pensiamo alla parallela, incomprensibile e inaccettabile negligenza pubblica nel dare un minimo di solenne riconoscimento ai suoi precursori, i Martiri Repubblicani del 1799, che giacciono in modo indegno abbandonati nel fango del pronao della Chiesa del Carmine presso Piazza Mercato, luogo triste di Martirio. E si tenga presente che, come S. Chiara, anche la Chiesa del Carmine è ora di proprietà della Repubblica Italiana e non della Chiesa cattolica di Napoli.

Questa iniziativa della proposta di beatificazione di Francesco II è una inaccettabile provocazione, che si colloca dentro una perversa campagna di attacco contro la memoria fondante dell’identità dell’Italia Moderna, quale è quella del Risorgimento, dell’Unità e della Libertà.

Occorre che le Istituzioni laiche, lo stesso mondo cattolico illuminato e liberale, il mondo della società civile, a partire dal vasto mondo degli intellettuali e degli operatori culturali e dell’informazione, si ribellino ed abbiano uno scatto di dignità civile e di rispetto della verità storica.

 

 

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