Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il “caso Carlo Poerio” nella documentazione dell’Archivio di Stato di Napoli

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La cospicua corrispondenza diplomatica di Giustino Fortunato, Ministro degli Affari Esteri del Regno delle Due Sicilie, relativa alla pubblicazione delle Lettere di Gladstone (comprendenti anche lettere inedite di William Gladstone, di Lord Aberdeen e di Lord Palmerston indirizzate al principe di Castelcicala, ambasciatore delle Due Sicilie a Londra), fa pienamente luce  sulla questione della sincerità e bontà delle rimostranze di Gladstone alla corte borbonica riguardo alla maniera di intentare i  processi politici nel Regno delle Due Sicilie, e respingono decisamente e definitivamente le tesi negazioniste sul “caso Carlo Poerio”.

Tale corposa documentazione, reperita presso l’Archivio di Stato di Napoli, è stata curata da Anna Poerio nel suo recente testo Carlo Poerio e William Gladstone. Le lettere al conte di Aberdeen sui processi politici del governo napoletano. I documenti dell’Archivio di Stato di Napoli, edito da Rubbettino, con una introduzione di Renata De Lorenzo.

 

Ciò che avrebbe dato luogo al “caso Poerio” ebbe inizio dopo che il 13 maggio 1849, con decreto del sovrano, le Camere furono definitivamente sciolte, ponendo fine all’esperienza costituzionale del 1848.

La risposta rivoluzionaria del 15 maggio rappresentò il momento determinante dello scontro tra l’assolutismo dell’Antico Regime e i patrioti, difensori della libertà e dei diritti costituzionali. Eppure in quel frangente importante il mite Carlo Poerio era il rappresentante delle posizioni più moderate che confidavano nel re e nel Parlamento.

Come scriveva, infatti, l’8 giugno 1848 allo zio Raffaele «le barricate del 15 maggio furono una imperdonabile imprudenza ed una provocazione intempestiva, un’ostinazione colpevole», scagliandosi in maniera dura contro i “furiosi” patrioti di orientamento democratico e radicale.

Il 12 luglio Carlo scriveva al fratello Alessandro, affermando di aver fiducia nel proseguimento dell’esperienza costituzionale, accusando specificamente i patrioti radicali calabresi per la loro condotta “funesta”. Benedetto Croce, nella sua Storia del Regno di Napoli ha evidenziato che la rivoluzione del 1848 e la conseguente vittoria della reazione portarono in piena luce il carattere totalmente anacronistico dell’assolutismo borbonico.

La reazione, dopo il definitivo scioglimento delle Camere nel 1849,  fu spietata e il potere passò completamente nelle mani della polizia che, iniziando a perseguitare gli uomini più eminenti del liberalismo, prese di mira proprio Carlo Poerio, il più mite, moderato e più vicino al re Ferdinando II, con i quale era stato in buoni rapporti tanto da convincerlo ad evitare la pena di morte per Giacomo Longo e Marino Delli Franci, che avevano partecipato all’insurrezione calabrese del giugno 1848. D’altronde, da quando il re aveva concesso la Costituzione, Carlo Poerio era diventato il più devoto tra i Ministri del Parlamento, e aveva difeso Ferdinando II contro coloro che rivendicavano un assetto costituzionale più democratico e radicale.  

A tal riguardo si mostra illuminante l’osservazione di Renata De Lorenzo nell’introduzione al testo di Anna Poerio, quando scrive che Carlo Poerio «promosse nel 1859 un estremo tentativo di trattati con il re delle Due Sicilie Francesco II, cercando di conciliare la linea politica di Cavour con l’autonomia del meridione nel nuovo assetto costituzionale».

Nonostante ciò, il sovrano invitava anche Poerio ad allontanarsi dal Regno, ma lui preferì “un sacrificio volontario”, rimettendosi ai suoi avversari per la libertà e i diritti costituzionali.

Non temeva di andare in carcere. In una lettera indirizzata a Felice Barone del 13 luglio 1848, aveva scritto che in una situazione di regime assolutistico, senza la libertà e senza diritti costituzionali, nel Regno delle Due Sicilie «i soli condannati politici avevano la gloria di potersi chiamare uomini liberi».

La sera del 18 luglio 1849, come lui stesso ha riportato nelle sue Memorie, venne a fargli visita il domestico, recapitandogli una lettera da parte di una persona ignota, che gli raccomandava di fuggire da Napoli. Il giorno successivo fu prelevato dalla sua casa e tradotto nel carcere di San Francesco.

In seguito, con altri 41 patrioti, fu processato con l’accusa di far parte della setta dell’Unità d’Italia, il cui intento era quello di «distruggere il governo, proclamare la repubblica, e riunire il Regno di Napoli col resto dell’Italia in una lega nazionale».

Il dibattimento si svolse dal 1° giugno 1850 al 31 gennaio 1851. Le accuse formulate contro Poerio, per le quali fu condannato a ventiquattro anni di carcere, si rivelarono talmente assurde da attirare l’attenzione degli esponenti monarchici costituzionali europei, in particolare inglesi. Incolpare Poerio di proporsi obiettivi politici che andavano oltre il suo credo politico monarchico costituzionale e moderato, si rivelava un atto di accusa inconcepibile. Era noto che lui avversava i patrioti mazziniani e repubblicani e aveva conservato sempre la sua mite posizione moderata di una richiesta di monarchia borbonica costituzionale.

Nel testo dedicato alla famiglia Poerio, Benedetto Croce osservò che tra i liberali e alcuni stessi familiari di Carlo Poerio, vi erano coloro che, conoscendo bene l’inaffidabilità delle promesse del sovrano, non condividevano le sue illusorie speranze.

Eppure a quel tempo il moderato monarchico costituzionale Poerio considerava l’unica condizione per la monarchia borbonica di non isolarsi dal contesto europeo liberale.   

Secondo Croce «al liberalismo napoletano pareva condizione indispensabile la monarchia, e di monarchia non esisteva allora altra realtà e altra possibilità che quella borbonica» e Carlo Poerio persisteva in questa speranza. 

Tuttavia, condannato a ventiquattro anni di ferri per aver fatto parte della variegata setta dell’Unità d’Italia, accusa che il Poerio respinse in quanto assolutamente falsa, ne trascorse otto nei bagni penali di Nisida, Ischia, Montefusco e Montesarchio.

E’ in tale contesto che bisogna considerare le lettere del 1851 di W.E.Gladstone al Primo Ministro, conte di Aberdeen, sui processi politici  e sulle dure condizioni carcerarie dei prigionieri politici nel Regno delle Due Sicilie, questione da sempre storicamente dibattuta.

Infatti, già nel 1851 videro la luce le Confutazioni alle Lettere del Signor Gladstone e La Terreur dans le Royame de Naples- Lettre au Right Honorable W.E.Gladstone, membre du Parlement britannique, en réponse à ses deux lettres a Lord Aberdeen, scritte da Jules Gordon, mentre nello stesso anno Alfonso Balleydier scriveva La verité sur les affaires de Naples- Réfutation des lettres de M. Gladstone. 

Come riporta Anna Poerio «da una nota del 26 settembre 1851 e da una lettera del 5 novembre 1851, custodite entrambe nell’Archivio di Napoli, scritte dal barone Antonini e indirizzate al marchese Giustino Fortunato, risulta che sia Alfonso Balleydier che Jules Gordon furono ben ricompensati, l’uno dall’imperatore d’Austria, l’altro per conto del sovrano del Regno delle Due Sicilie, per avere scritto le confutazioni alle Lettere di Gladstone.»  

Come ha evidenziato Renata De Lorenzo, «la corrispondenza che fa da sfondo alla decisione della pubblicazione contribuisce a far comprendere le opposte valutazioni, tra chi sottolineava gli aspetti umanitari dell’iniziativa e chi ne evidenziava la finalità politica».

Il recente rinvenimento corrispondenza diplomatica (per il quale Anna Poerio ha ringraziato l’archivista Gaetano Damiano che si è adoperato nella ricerca) conferma la veridicità della visita di Gladstone a Carlo Poerio nel carcere di Nisida, respingendo le tesi revisioniste che arbitrariamente  sostengono una ritrattazione di Gladstone nell’anno 1889. A tal riguardo, la lettera del 15 ottobre 1850, indirizzata dal principe di Calstelcicala a Gladstone, e quella del 23 ottobre 1850, indirizzata dal Castelcicala a Giustino Fortunato, costituiscono entrambe la testimonianza inoppugnabile che la visita ebbe luogo.

La nuova documentazione dimostra che risulta altresì falsa la tesi di Raffaele De Cesare secondo cui gli avvisi di Lord Aberdeen non furono comunicati al re.  

Come rileva Anna Poerio, «diversamente da come asserisce  De Cesare, dalla lettura dei documenti custoditi presso l’Archivio di Stato di Napoli si desume che Giustino Fortunato non rimase indifferente a ciò che gli era stato comunicato. Infatti, subito dopo aver ricevuto la missiva di Castelcicala, egli si attivò a preparare una smentita di ciò che aveva recentemente scritto Gladstone e ritenne opportuno informare i rappresentanti dei vari governi europei.»

Ciò diede luogo ad una serie di scambi epistolari delle personalità interessate al problema sollevato da Gladstone sulla deplorevole conduzione dei processi politici e sul trattamento riservato agli stessi prigionieri politici nelle carceri del Regno delle Due Sicilie, e in particolare al prigioniero Carlo Poerio, le cui posizioni di monarchico costituzionale moderato erano le più vicine al modello politico inglese. L’iniziativa di Gladstone si poneva in un’ottica di affinità ideali con Carlo Poerio, anche perché entrambi erano preoccupati per le cospirazioni mazziniane d’impronta politica repubblicana.  

Quindi la corposa documentazione dell’Archivio di Napoli avvalora la veridicità delle Lettere di Gladstone; particolarmente importante è una lunga e preziosa lettera del 19 settembre 1851, indirizzata dallo stesso Lord Aberdeen all’ambasciatore del Regno delle Due Sicilie a Londra, principe di Castelcicala. In essa Lord Aberdeen testimoniava che quanto scritto da Gladstone fosse assolutamente conseguenza e risultato di quello che egli aveva personalmente avuto modo di constatare, senza alcuna interferenza:

«Allorché il Sign. Gladstone nella passata primavera fece ritorno da Napoli mi espresse in forti termini quanto altamente era egli rimasto colpito da tutto ciò che aveva veduto e inteso, intorno al modo come son trattati colà i compromessi politici, il che inducevalo a credere che i princìpi di giustizia e di umanità erano stati ugualmente oltraggiati.»

L’unico scopo che egli si propose - continuava Lord Aberdeen – era di «ottenere dal Governo napolitano una favorevole considerazione delle attuali condizioni degl’individui di cui è a parola, a fine di migliorarne la sorte.»

Lord Aberdeen ribadiva che Gladstone era «uno degli uomini più coscienziosi ed è incapace di asserire cose della cui verità non sia prima convinto», riaffermando ancora che «il Sig. Gladstone si recò a Napoli senza ostili sentimenti.»

Aberdeen concludeva: «Non farò scuse per averle scritto sì lunga lettera sul proposito, né tema di curare se la prego di aver la bontà di recare queste osservazioni a cognizione del Re.»

I nuovi e recenti documenti dell’Archivio di Napoli si rivelano, dunque, particolarmente preziosi, perché non solo dimostrano l’infondatezza delle tesi revisionistiche, ma rilanciano il valore umano di un uomo monarchico e moderato, colpevole solo di aver rivendicato nella sua vita i diritti costituzionali.

 

Bibliografia:

B. Croce, Una famiglia di patrioti, Adelphi, Milano, 2010.

A. Poerio, Carlo Poerio. Una vita per l’Unità d’Italia, MR Editori, Caserta, 2017.

Carlo Poerio e William Gladstone- Le due lettere al Conte di Aberdeen sui processi politici del governo napoletano (1851). I documenti dell’Archivio di Stato di Napoli, a cura di A. Poerio Riverso- Introduzione di R. De Lorenzo, Rubettino Editore, Catanzaro, 2020.

 

 

 

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