Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Silvio Pellico, tra patriottismo e religiosità

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Il giovane Silvio Pellico dalla piccola Saluzzo, dove nacque il 24 giugno 1788, si trasferì  per ragioni di studio a Milano dove frequentò il Foscolo e il Monti.

Gli inizi del nuovo secolo erano rischiarati dall'ascesa dell'astro napoleonico e impregnati di rinnovate speranze patriottiche ed unitarie, dopo secoli di inerzia.

Il giovane Silvio scrisse in tale contesto di rinnovamento le sue migliori opere drammatiche Laudamia  e la più celebre Francesca da Rimini  che, rappresentata dalla Marchionni, destò grandi entusiasmi e fu replicata nei maggiori teatri italiani.

Nel 1814, caduto Napoleone, cessò anche il Regno d'Italia e con esso cessarono tante speranze di unità del paese.
In quell'anno Pellico fu assunto come educatore dei figli del Conte Porro a Milano,  nella cui casa fondò Il Conciliatore.

Il giornale divenne presto una fucina di idee patriottiche e di spiriti risorgimentali ed insieme al Pellico, vi lavorarono tra gli altri Giovanni Rasori, Ludovico di Breme, Gian Domenico Romagnosi, Federico Confalonieri e  Giovanni Berchet.

Insieme, fondarono in seguito la "Società dei Federati" che aveva come obiettivo il perseguire l'indipendenza nazionale dall'Impero asburgico.

Ma la polizia scoprì le fila dell'associazione,  soppresse Il Conciliatore ed il 13 ottobre 1820 Pellico fu arrestato insieme al Maroncelli.

Al processo, Silvio Pellico insieme a Pietro Maroncelli si difese strenuamente, ma fu condannato a morte. La pena fu poi commutata in quindici anni di carcere duro nella terribile prigione dello Spielberg in Moravia, da cui ne uscì il primo agosto 1830.

Fu durante quei lunghi anni di patimenti che scrisse Le mie prigioni, la sua opera più conosciuta che infiammò i cuori della gioventù liberale e patriottica.
Seguirono le Cantiche romantiche e I doveri degli uomini.

Ma l'esperienza del carcere e la sofferenza mutarono radicalmente il suo animo  rafforzando la fede cristiana. Diventò così segretario della pia contessa di Barolo dedicando da allora  studi e scritti ad argomenti religiosi, sempre più animato dal più rigoroso e ascetico intento di divulgare, seppur da laico, le sacre scritture.

Quando ancora tanti vedevano in lui un martire dell'indipendenza italiana, nel 1845 si recò a Roma e disapprovo' per lettera le opinioni di Vincenzo Gioberti, nei Prolegomeni e nel Gesuita Moderno attirandosi l’ostilità dei liberali.

Negli ultimi anni, lo spirito religioso si fece più profondo e si intensificarono gli scambi epistolari con la amata sorella Giuseppina.

L’inedita  lettera autografa, in francese, datata 16 febbraio 1850,  qui pubblicata ne è una testimonianza.

Nel difendere l'eroica resistenza dei vescovi e della Chiesa nei confronti di insolenti ed empi trattati, il Pellico affermò  che i fedeli dovevano seguire gli insegnamenti dei loro pastori, così come fecero gli apostoli che nella tempesta, seppur spauriti, confidarono in Gesù Cristo e non ebbero più paura neppure in tempo di persecuzioni.

Giuseppina Pellico fu Maestra e superiora al Ritiro delle Rosine di Chieri. Donna colta e religiosa, dopo la morte del fratello ne eseguì le ultime volontà e ne curò il ricordo. Molte informazioni di carattere privato sono oggi arrivate a noi grazie ad alcuni quaderni autografi da lei custoditi.

Silvio Pellico, martire dello Spielberg, morì a Torino il 31 gennaio 1854.

 

 

 

 

 

 

 

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