L’attacco di Togliatti al Movimento “Giustizia e Libertà”

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Nel settembre del 1931, il Movimento‘Giustizia e Libertà’ aveva appena due anni e si stava sviluppando, quando sul periodico del Partito Comunista d’Italia Lo Stato Operaio, nell’articolo Sul movimento di “Giustizia e Libertà di Palmiro Togliatti, apparve una  requisitoria analitica e velenosa.

Fu un tentativo lucido e freddo di assassinare il neonato nella culla.

Già nello stesso anno, e sempre sul periodico di partito, Togliatti si era scagliato contro Aventiniani e Socialisti, con prime bordate contro “Giustizia e Libertà”.

 

«Giustizia e Libertà è un movimento che ha molti dei caratteri dell’Aventino e del movimento cattolico. È infatti esso pure, per quanto sia scarsamente sviluppato come organizzazione, un movimento eterogeneo, composto di elementi oggettivamente in contrasto, che si possono distinguere facilmente gli uni dagli altri.

I dirigenti all’estero sono degli ideologi reazionari, che nessuna cosa lega alla classe operaia...i pochi gruppi di base e i quadri intermedi sono composti di piccoli e medi borghesi di città, studenti, giovani! Tra cui vi sono degli antifascisti sinceri, ma ideologicamente disorientati e politicamente del tutto inesperti.

Giustizia e Libertà è, in questo amb]iente, più uno stato d’animo, che una organizzazione e un partito solidamente formato. […] I “vecchi” Treves, Turati,  Modigliani, non hanno più nessun prestigio. Sono gente che ha fallito tutta la sua vita.

I sindacali Buozzi, Caporali, ecc. sono i più corrotti, minacciati di scandali da ogni parte. I soldi degli operai italiani, di cui essi non hanno ancora reso conto, non recano loro fortuna.

L’esistenza di questa situazione critica spiega il pullulare di gruppetti con velleità di opposizione e di rinnovamento, gruppetti che appaiono e scompaiono di continuo, che vorrebbero “qualcosa” di diverso, che fanno un appello ai “giovani”. Ma ahimè che razza di gioventù.

Il primo che usa il motto ‘Giustizia e Libertà’ è Francesco Ciccotti, vecchia carogna, sentina di ogni corruzione.  Tra i ‘rinnovatori’ vi sono degli attivisti presuntuosi e ignoranti, ci è Pietro Nenni, rifiuto del fascismo, vi sono molti “generosi” provocatori, ma nel complesso, questo formicolìo è il riflesso della impotenza e della confusione concentrazioniste, è la prova di una crisi dell’antifascismo democratico, che non accenna a risolversi.»1

 

 

Dopo questa aspra critica all’antifascismo, il Togliatti passò all’attacco di “Giustizia e Libertà”, del suo maggiore esponente, Carlo Rosselli, e della proposta del socialismo liberale, argomentata nel memorabile libro rosselliano, Socialisme liberal, apparso a Parigi in francese l’anno prima (1930).

 

 

«Giustizia e Libertà rappresenta, in questa crisi, il tentativo più vasto che sino ad oggi sia stato fatto dalla intellettualità piccolo-borghese e dalla piccola borghesia radicale per darsi una posizione politica autonoma, assumendo essa la direzione di tutto il movimento antifascista.

Il problema della funzione della piccola borghesia intellettuale, che si presentò in Italia in modo acuto nel dopoguerra e agli inizi del movimento fascista, si ripresenta ancora una volta con ‘Giustizia e Libertà’.

E ancora una volta le vicende di ‘Giustizia e Libertà’ dimostrano la incapacità organica di questo gruppo sociale ad avere una sua posizione autonoma di direzione di un movimento politico ‘originale’ (come sarebbe nelle sue aspirazioni), dimostrando che, attraverso la ricerca, talora ridicola, di originalità e di autonomia, la intellettualità piccolo-borghese diventa strumento di controrivoluzione, nel campo ideologico e politico, delle soluzioni piu’ reazionarie.

Giustizia e Libertà’ ha delle pretese di originalità ideologica. Essa ha cercato di distribuire scritti di propaganda con un contenuto apparentemente più elevato, nel quale alcune formule correnti dell’antifascismo democratico, contaminate con alcuni concetti generali di natura filosofica, sono presentate in un sistema che ha delle pretese di novità.

Forse per questo è stato possibile che qualche osservatore molto superficiale avvicinasse ‘Giustizia e Libertà ad altri movimenti, embrionali, di piccola borghesia intellettuale, verso i quali il nostro partito condusse un’azione particolare,- al movimento gobettiano, ad esempio.

Ma le due cose sono ben distinte!

Un avvicinamento di Piero Gobetti a Carlo Rosselli (nominato la prima volta, dopo quattro pagine e mezzo), che è FORSE il capo più in vista di ‘Giustizia e Libertà’ e si picca di essere l’ideologo piu’ in vista del movimento, non solo non è impossibile, ma e’ un assurdo.

Per la sua posizione sociale, innanzi a tutto, perché Gobetti era un intellettuale povero, mentre Rosselli e’ un ricco, legato oggettivamente e personalmente a sfere dirigenti capitalistiche.

Ma la vera differenza sta nell’orientamento ideologico.

Nel confronto bisogna tenere conto che Gobetti era uno studioso, un appassionato delle idee e un ingegno originale, mentre Rosselli e’ un dilettante dappoco, privo di ogni formazione teroica seria.

L’indirizzo del pensiero di Gobetti, poi, era un indirizzo rivoluzionario. Egli era riuscito a dissolvere la ideologia delle classi dirigenti italiane nei suoi elementi oggettivi, di classe, e la sua opera era un’opera di liberazione della intellettualità piccolo-borghese dai miti reazionari che coprono la difesa di determinate posizioni politiche ed economiche di classe.

Sembra fatto apposta, ma Rosselli (per cio’ che puo’ contare la sua attivita’ nel campo delle idee) e, in genere, tutta la propaganda di ‘Giustizia e Libertà’ tendono a raggiungere un obiettivo che è precisamente l’opposto di questo.

Prendiamo il libro dove Carlo Rosselli ha consegnato le sue quattro idee (Carlo Rosselli, Socialisme liberal, Paris, 1930, ndr).

Stupisce in questo libro, innanzi a tutto, la enorme, insopportabile prosopopea, la pretesa di dare fondo, in 200 pagine e con l’aiuto di quattro formule, ai massimi problemi dell’universo e ai minimi problemi di vita politica, di fondare qualcosa di nuovo e di profondo: una concezione della storia, una dottrina sociale, una dottrina politica, una interpretazione della storia moderna d’Italia e della politica attuale italiana, e altro ancora.

Tutto questo non puo’ essere ottenuto, se non a patto di una superficialita’ sconsolante.

Simili pretese e siffatta superficialita’ scoprono immediatamente l’intellettuale dilettante, il piccolo borghese presuntuoso, che alla disciplina della ricerca scientifica sostituisce il gioco vano delle idee generali masticate a vuoto, dei pseudosistemi filosofici costituiti sopra una frase, una formula, una cominazione di parole.

Il libro, che vorrebbe essere di revisione del marxismo, e’ da porre, quindi, tra i prodotti piu’ scadenti della letteratura politica degli ultimi anni.

Esso ricorda, da un lato, gli scritti piu’ banali del piu’ banale tra i revisionismi, che fu proprio quello italiano, frutto di un ceto di intellettuali socialisti che non solo non avevano mai capito, ma non avevano nemmeno mai avvicinato le dottrine del marxismo.

Dall’altro lato, il libro si ricollega in modo diretto alla letteratura politica fascista.

Esso ha in comune con una gran parte della letteratura politica fascista non solamente la superficialita, ma la derivazione o pretesa derivazione dalla filosofia idealistica, la pretesa di essere una traduzione di questa filosofia in termini di dottrina sociale, di catechismo politico e di programma di azione.

Carlo Rosselli non solo tenta di rivedere, ma pretende di liquidare il marxismo.

Benedetto Croce un tempo ci si provò; ma dopo aver cercato invano di intaccare le dottrine di Carlo Marx su questo o quel punto particolare, finì per dire che, in sostanza, la sua critica per lui era questa, che egli non ci credeva.

E poiché si era nell’anteguerra, in un periodo in cui il movimento operaio aveva perduto il suo slancio rivoluzionario e il mondo capitalistico godeva di una congiuntura favorevole, questo suo giudizio poté sembrare a molti una cosa seria, fondata e definitiva, qualche cosa più di un lazzo partenopeo.

Ma oggi la realtà di una conferma non solo delle concezioni generali del marxismo, ma di tutte le sue tesi, e in primo luogo di quelle che maggiormente furono contestate dagli scienziati borghesi.

Il terzo volume del Capitale, questo bersaglio dei revisionisti, brilla, oggi, nell’opera di Marx, della luce più viva. Ogni sua tesi, ogni sua pagina, appare scolpita sulla realtà delle vicende attuali del mondo capitalistico, sulla realtà della guerra, del dopoguerra, della crisi mondiale, dei suoi aspetti catastrofici, del suo corso inesorabili.

Ma Carlo Rosselli se la sbriga molto in fretta. la sua critica del marxismo ha questo di ‘originale’:

1) che essa ignora le dottrine del marxismo, ma di una ignoranza fondamentale, che confina con la malafede;

2) che essa ignora la rivoluzione russa e la realtà della costruzione economica socialista in Russia;

3) che essa ignora la realtà del mondo capitalistico di oggi, i fatti che, senza sforzo alcuno, puo’ osservare oggi ogni uomo che passa per la strada.

La sua critica e’ quella del pensiero reazionario di cinquanta o sesanta anni fa, e’ la critica del sistema “che sopprime ogni funzione della volontà umana”, la critica del sistema che “vuole abbattere ma non può costruire (e il piano dei cinque anni?), è l’affermazione che il proletariato non ha la ‘capacità’ di ricostruire, è la esaltazione dei ‘valori eterni dello spirito’(sic) in opposizione al ‘materialismo’ dagli orizzonti limitati, è la protesta perché il marxismo trova ’una gioia particolare a spegnere in germe le velleità idealiste’ e così via.

Ma che cosa e’ questa critica del marxismo, se non una critica fascista?

Da che cosa hanno preso le mosse i fascisti, agli inizi della loro lotta violenta contro il movimento socialista, se non da una polemica di questo genere ?

Che cosa si legge oggi negli articoli che la stampa fascista dedica alla propaganda controrivoluzionaria tra le masse, se non una continua ripetizione , sino alla nausea, di tali argomenti?

Partito dalla scoperta di una sua nuova e originale concezione del socialismo, questo intellettuale democratico non riesce ad altro che ad aggiungere un anello-fragile anello, peraltro- alla catena con la quale in tutto il mondo le classi dominati si sforzano di tenere ideologicamente schiave le classi lavoratrici.

Il suo ‘revisionismo’ finisce nei luoghi comuni della propaganda reazionaria.

Il suo libro-mascherato di tutti gli orpelli di un gergo filosofico- e’ un magro libello antisociaista e niente piu’.»2

 

Da una lettura integrale dell’attacco critico frontale di Palmiro Togliatti (Genova, 1893 - Yalta, Russia, 1964) contro il Movimento ‘Giustizia e Libertà’, se ne esce turbati per la requisitoria analitica, velenosa, offensiva, aggressiva, insospettabile e inimmaginabile.

E siamo solo nel settembre del 1931, quando ‘Giustizia e Libertà’ aveva appena due anni e si stava sviluppando.

Si era sentito parlare da esponenti giellisti e azionisti di una critica dura di Togliatti al libro ‘Socialismo liberale’ del 1930 di Rosselli, ma lo si considerava un giudizio di passaggio, e senza avere conoscenza del contesto.

Ma da una lettura più approfondita dell’articolo-saggio sulla rivista Stato operaio, pur solo in antologia, si squaderna uno scenario, inimmaginabile per durezza e aggressività e si cominciano a comprendere le vere origini dell’atteggiamento storico costante comunista verso “Giustizia e Libertà”, il Partito d’Azione, il giellismo e l’azionismo.

Qui si trova la miniera, dove hanno attinto tutti i nemici aggressivi, settari, inquietanti nei decenni successivi.

Tutto ciò invita a rivedere mille cose degli atteggiamenti finora noti, sul perchè di queste omissioni, di queste rimozioni, di queste dimenticanze.

Insomma, una grossa tragica matassa da svolgere.

Ed una profonda amarezza umana sale a pensare poi al tragico destino di Carlo Rosselli, Martire e Maestro.

 

 

Note

1. Lo Stato Operaio, settembre 1931, edizione antologica a cura di Franco Ferri, Editori Riuniti, Roma, 1964, Vol. I, pp.463-476.

Francesco Ciccotti (Palazzo San Gervaso, Potenza, 1880 - Buenos Aires, 1937), è stato giornalista e dirigente socialista riformista, che fu anche deputato e appoggió il governo Nitti nel 1919-1920. Ebbe un famoso duello con Mussolini. Costretto ad emigrare per le aggressioni fasciste, fu uno degli esponenti del socialismo democratico e fece parte della Lega Internazionale dei Diritti dell’Uomo e della Concentrazione Antifascista. Esule in Argentina, collaboró a giornali socialisti, morendo in esilio.

2. Lo Stato Operaio, cit. pp.463-476.

 

 

 

 

 

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