Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Renè Hilaire Degas, una storia tra Napoli e Parigi

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16 ottobre 1793. Parigi si risvegliava nell'ennesima giornata uggiosa rischiarata sotto una pioggerellina leggera in quella mattina autunnale che tardava ad illuminarsi, perché si sa, da quelle parti si fa giorno più tardi.

La pioggia battente della notte aveva lasciato  sulle strade un lenzuolo scuro, viscido e uniforme di guazza e di melma.

Ma la folla incurante, fin dall'alba foscosa si era accalcata lungo i bordi della lunga rue Saint-Honoré.

Ogni cittadino che era riuscito a guadagnare la prima fila, fermo a gambe divaricate e gomiti larghi, difendeva la sua posizione come in battaglia.

Tutti sapevano la notizia, tutti attendevano in silenzio per meglio intendere il lontano cigolio delle ruote di un carro  e nessuno intendeva  mancare all'appuntamento con la storia.

Tra loro, ma in seconda fila, c’era un giovanotto di Orleans, di buona, nobile e agiata famiglia, troppo filosofo ed intellettuale per i gusti paterni e che per sfuggire alla noia della vita in  provincia, si era immerso nel clima controverso, pericoloso ed eccitato della Parigi  rivoluzionaria.

Il suo nome è René Hilaire De Gas ed è visibilmente emozionato.

Finalmente, preceduta da schizzi di fango e stridore di ruote, compariva la sinistra carretta lasciando intravedere tra la folla  l'austriaca, l'affamatrice dei francesi, l'oggetto di tanta attesa.

Era in veste bianca, in piedi tra due guardie sonnolente e dopo 67 giorni di prigione nella  Concergerie, lentamente attraversava rue Saint-Honore per terminare il suo viaggio terreno a Place de la Revolution dove l'attendeva il carnefice.

 

La folla, prima in irreale silenzio poteva ora ruggire ed esplodere  come un Vesuvio da troppo tempo addormentato.

Ogni mamma aveva qualcosa da urlare a Maria Antonietta, alla loro regina viziata, alla puttana austriaca, all'amante di suo figlio, alla traditrice della patria.

Anche René avrebbe forse voluto dirle una parola, ma quella donna minuta dallo sguardo diritto, fisso, triste non somigliava alla regina bella e imparruccata che aveva visto una volta passeggiare alle  Tuileries col delfino per mano.

Quella donna pareva sua madre, e ne ebbe pietà.

All'improvviso la voce gli proruppe alta dal petto, sprigionando un grido forte di pietà verso quella pietosa immagine inerme.

Era la  sua ribellione all'indifferenza di tutto un popolo, al fiume inestinguibile  di sangue di cui si era cibata l'esasperata Libertà.

Qualcuno lo udì e non perse tempo a denunciarlo, procurandogli un mandato di arresto da parte del temibile Tribunale Rivoluzionario.

Appena temette per la sua vita, il giovane René, pensò bene di lasciare Parigi e con essa gli ideali repubblicani in cui non aveva comunque mai creduto fino in fondo, ma  per i quali, tuttavia,  aveva imborghesito il cognome eliminando il “de” nobiliare.

René Hilaire Degas per il prosieguo della sua esistenza scelse di trasferirsi a Napoli, grande capitale europea, vivace, colorata, tutta da vivere o da immaginare, una città dipinta coi chiaroscuri di  Caravaggio o con quelli  brillanti e nostalgici di un grande pittore impressionista.

Ma al suo arrivo nel 1793, Napoli  non era più quel paradiso felice descritto nei resoconti di viaggio da artisti e studiosi che la ponevano come agognata meta del Grand Tour.

La regina Maria Carolina, sorella della sventurata Maria Antonietta, si era ritirata nel lutto più stretto, temendo per la sua persona e covando un odio profondo per i rivoluzionari.

Dell’apertura al progresso ed alla tolleranza era rimasto solo un ricordo soffocato in una torbida aria di diffidenza e sospetto.

Il re Ferdinando IV, in quell'anno, aveva ordinato l'espulsione dal Regno di tutti i francesi, salvo quelli che facessero istanza di permanere nel regno, provando di aborrire le idee malsane della rivoluzione, dimostrando fedeltà al sovrano, alla famiglia reale e alla religione di Stato.

René Degas, grazie alla soffiata di un amico era riuscito a scampare alla ghigliottina e quella fuga verso Napoli rappresentava per lui, ancora giovane, l'occasione per rifarsi una nuova esistenza, lontana dalla politica e dalla rivoluzione che lo aveva privato della sua attività  di abilissimo commerciante di granaglie alla borsa di Parigi, ma soprattutto della sua promessa sposa che non riuscì a seguirlo nella fuga e fu processata come antirivoluzionaria e condannata a morte.

Dunque rispolverò il suo antico blasone di aristocratico e quello nuovo di perseguitato politico e chiese asilo come rifugiato nel Regno di Napoli. Gli fu concesso.

Mentre l'anno dopo in una Parigi intrisa di sangue “la virtu' si difendeva col Terrore” ed a Napoli finivano giustiziati Emanuele De Deo e i primi congiurati giacobini, René riprese la sua attività di agente di cambio e di commerciante di grani, lavorando sodo e astenendosi meticolosamente dalla partecipazione alla vita politica della capitale.

Anche nel tumultuoso anno 1799 riuscì a non farsi coinvolgere da vecchie passioni repubblicane e la sua neutralità  lo preservo' dai guai accrescendo invece le sue fortune.

Il René Hilaire Degas giovane provinciale agente di cambio di Orleans si elevò a ricco banchiere napoletano.

Gli anni difficili erano ormai alle spalle e anche a Napoli la bufera era passata, era tornata la Corte e molte famiglie aristocratiche, i Morvilli, i Carafa, i Bellelli erano divenuti clienti del banchiere Degas.

Il 1804 fu per lui un anno fondamentale, gli affari andavano a gonfie vele ed era tempo di mettere su famiglia.

Conobbe allora  una giovane livornese con ascendenze napoletane, Aurora Freppa, se ne innamorò perdutamente e la sposò.

Nello stesso anno acquistò l'intero palazzo Pignatelli di Monteleone in Calata Trinità Maggiore, adiacente alla scenografica  piazza del Gesù. E qui visse con la sua sposa ed ebbe sede la sua banca

René ed Aurora si amarono molto e dal loro matrimonio nacquero sette figli, quattro maschi e tre femmine, tutti rigorosamente napoletani e tutti legati, fino al loro ultimo giorno, alla loro città di nascita, tant'è che tutti, anche i maschi che vissero le loro vite a Parigi, vi tornarono per trascorrervi gli ultimi anni.

La famiglia Degas mantenne sempre vivi i legami con Napoli ed il padre ben presto cambiò la ragione sociale della sua banca in “Degas pere et fils”.

Di tutti questi figli di René ne seguiamo uno in particolare Lorenzo Auguste che forse di tutti e sette fu quello che più gli assomigliò.

Auguste nacque nel 1809, nel periodo migliore per gli affari di famiglia.

A Napoli regnava Re Gioacchino Murat, francese di provincia, come René e trai due si stabilì  immediatamente un forte legame di simpatia e soprattutto di sinergie.

La banca Degas divenne la banca del regno di Napoli e René il banchiere personale del sovrano.

Il giovane Lorenzo Auguste, crescendo, mise a frutto gli insegnamenti del padre che lo nominò direttore della filiale parigina della banca Degas.

Uomo sensibile e di grande cultura non solo in materia economica,  Auguste si trasferì nella capitale dell'impero napoleonico, lavorò duramente, entrò in contatto  con la migliore borghesia del tempo di Carlo X e poi di Napoleone il piccolo, si sposò con una giovane di nome Célestine, che purtroppo lo lasciò presto vedovo con dei figli. Auguste sperò che almeno uno dei suoi discendenti da grande diventasse magistrato. Visse quasi tutta la sua vita  a Parigi, ma non ebbe giudici in famiglia.

Desiderò trascorrere gli ultimi momenti della sua vita a  Napoli, che ancora sentiva come la sua città. Non se ne staccò mai più e vi morì nel 1879.

Nel 1856 René ormai stanco e vecchio, quasi ottantasettenne, trascorse tanti momenti della sua giornata affacciato alla finestra di quell’immenso palazzo giallo, popolarmente noto come “o palazzo d'o gas”, forse per l’innovativa illuminazione a gas dei lampioni, o più semplicemente dal cognome della famiglia Degas pronunciato nel gergo locale.

Lo sguardo del vetusto René incontrava tutti i giorni quell'enorme costruzione barocca della guglia dell'Immacolata.

Non la sopportava più, il vederla così spesso, così incombente gli creava disagio e riportava il suo pensiero al 1793, a quella altissima ghigliottina insanguinata, issata nella Place de la Concorde e gli pareva di udire ancora il ruggito delle donne contro colei che era stata la loro regina: «puttana, puttana, nemica del popolo.»

E allora preferiva trascorrere le torridi estati napoletane nella frescura della tenuta in collina, a San Rocco di Capodimonte.

Quel 17 luglio, era un giorno particolare. L’anziano René era ansioso, euforico e impartiva disposizioni ai famigliari, come un nocchiero mezzo  ubriaco alla ciurma.

Stava per ricevere una visita importante e gli avevano appena annunciato che l'ospite era innanzi al portone.

Edgar DegasHilaire René si vide davanti un giovanotto di ventidue ventitré anni, alto e  ben vestito che sorridendo gli andava all’incontro.

Non lo aveva mai visto prima, ma era il suo stesso sangue, era Hilaire Edgar Degas, il figlio di Auguste, il giudice mancato.

Suo nipote era venuto da Parigi per trascorrere qualche tempo col nonno e conoscere la  città del padre e della sua famiglia.

Il giovane Edgar entrò da subito in simbiosi con quella terra e non passò un mese che già parlava correntemente il napoletano.

Dicevano in giro che era un pittore e andava su e giù per il vallone di Capodimonte  per dipingerlo con Castel Sant'Elmo sullo sfondo.

Il nonno guardava i suoi quadri, ma non li capiva fino in fondo.

In quei dipinti le cose erano e non erano, apparivano, grazie all'uso del colore e svanivano  nella essenzialita' del disegno.

René approvava e gli sorrideva, ma nella sua testa già  immaginava per lui un posto in banca. Il problema era il come dirglielo.

Un giorno il nipote gli chiese di posare per un ritratto e solo per affetto il vecchio acconsentì.

Prese il suo solito bastone da passeggio, si sedette e mentre il nipote dipingeva veloce lui lo guardava, immaginando il risultato astratto dell'opera, un ritratto in cui avrebbe avuto giusto l'impressione di rivedersi, ma senza riconoscersi.

Degas ritrasse Degas. Trascorse qualche ora e l’opera era finita.

Quando il nipote gliela mostrò, il vetusto banchiere sgranò gli occhi, sopraffatto dall’emozione pianse nel riconoscere se stesso immortalato sulla tela di un grande artista.

Ebbe solo la forza di dire: «ora posso pure morire!»

 

 

 

 

 

 

 

Cambiali della banca Degas Pere et Fils con autografo di René Degas

 

 

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