Popper e la ricerca scientifica

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Secondo Karl Popper la ricerca scientifica è una lotta senza sosta con i problemi, e si diventa esperti di un problema lavorandoci sopra e tentando di risolverlo. Dopo una lunga serie di fallimenti possiamo dire di essere diventati esperti di questo particolare problema.

Saremo diventati esperti, nel senso che, ogni volta che qualcuno offre una nuova risoluzione, quest’ultima sarà o una di quelle teorie che abbiamo provato invano (cosicché saremo in grado di provare perché non funziona) o una nuova soluzione, nel qual caso potremo appurare rapidamente se superi o no almeno quelle difficoltà standard che conosciamo così bene grazie ai nostri tentativi falliti di superarle.

Popper ritiene che, anche se i nostri tentativi di risolvere il problema falliscono continuamente, avremo imparato anche per il solo fatto di esserci cimentati con esso. È ora possibile sintetizzare quanto sopra detto in alcuni punti:

1) L’idea che noi possiamo, volendolo, e in via preparatoria rispetto alla scoperta scientifica, purgare la nostra mente dai pregiudizi - cioé da idee o teorie preconcette - è ingenua e sbagliata. Soprattutto dalla ricerca scientifica impariamo che alcune delle nostre convinzioni - l’idea che la terra è piatta, o che il sole si muove - sono pregiudizi.

Scopriamo che una delle nostre credenze è un pregiudizio solo dopo che il progresso della scienza ci ha portato ad abbandonarla; non esiste infatti alcun criterio grazie al quale potremmo riconoscere i pregiudizi in anticipo rispetto a questo progresso.

 

2) La regola “purgatevi dai pregiudizi” può dunque avere il pericoloso risultato che, dopo aver fatto uno o due tentativi, pensiate di esserne finalmente liberi, e questo naturalmente significa soltanto che vi attaccherete più tenacemente ai vostri pregiudizi e ai vostri dogmi inconsci.

3) Inoltre, la regola significa “purgate la mente da tutte le teorie”. Ma la mente, così purgata, non sarà una mente pura: sarà solo una mente vuota.

4) Noi operiamo sempre con teorie, anche se spesso non ne siamo consapevoli. L’importanza di questo fatto non dovrebbe mai essere sminuita. Piuttosto dovremmo tentare, in ciascun caso, di formulare esplicitamente le teorie che sosteniamo; ciò infatti ci dà la possibilità di creare teorie alternative, e di discriminare criticamente fra due teorie.

5) L’osservazione “pura” - cioè l’osservazione priva di una componente teorica, non esiste. Tutte le osservazioni - e, specialmente, tutte le osservazioni sperimentali - sono osservazioni di fatti compiute alla luce di questa o di quella teoria.

L’osservazione e l’esperimento, pertanto, hanno una funzione decisiva: ci aiutano a eliminare le teorie più deboli, e così offrono un sostegno, anche se se solo temporaneo, alla teoria che sopravvive, cioè a quella che è stata severamente controllata ma non è stata confutata.

L’osservazione e l’esperimento sono il tribunale dell’immaginazione teorica, della fantasia creatrice di ipotesi, in quella lotta tra la natura che non si stanca di produrre e la ragione che non vuole stancarsi di capire. “Noi” - asserisce Popper - “abbiamo molti esempi di inferenze deduttivamente valide, ed anche alcuni parziali criteri di validità deduttiva; ma non esiste nessun esempio di inferenza induttiva valida”.

E “io sostengo” - afferma ancora - “che né gli animali né gli uomini usano una procedura come l’induzione, o una qualche argomentazione basata sulla ripetizione di esempi. La credenza che noi facciamo uso dell’induzione è semplicemente un errore. È una specie di illusione ottica”.

Per Popper l’induzione non esiste perché non esistono inferenze induttive, cioè argomentazioni logiche in grado di farci necessariamente passare dalle osservazioni singolari alle generalizzazioni. La realtà è che le generalizzazioni vengono inventate per risolvere problemi.

E’ un grave errore credere che la scienza proceda adoperando metodi induttivi o che la mente umana lavori induttivamente. La mente umana non è un recipiente da riempire, non è passiva: è attiva e creativa; legge la realtà attraverso una rete più o meno fitta di aspettative o teorie e interroga di continuo la realtà.

Generalmente si dice che un’inferenza è induttiva allorché si passa da asserzioni singolari, quali resoconti dei risultati di osservazioni o di esperimenti, ad asserzioni universali, quali ipotesi o teorie.

Tuttavia, scrive Popper in Logica della scoperta scientifica, da un punto di vista logico, è tutt’altro che ovvio che si sia giustificati nell’inferire asserzioni universali da asserzioni singolari, per quanto numerose siano queste ultime; infatti qualsiasi conclusione tratta in questo modo può sempre rivelarsi falsa.

L’induzione, quindi, non giustifica alcuna conclusione, come può venir illustrato dalla storia del “tacchino induttivista” raccontata da Bertrand Russell: “Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell’allevamento dove era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino.

E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole.

Così, arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni le più disparate. Finché, la sua coscienza induttivista fu soddisfatta ed elaborò un’inferenza induttiva come questa: ‘Mi danno il cibo alle 9 del mattino’.

Purtroppo, però, questa conclusione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando invece di venir nutrito, fu sgozzato”.

Di fronte all’immagine di una scienza che procede per congetture e confutazioni e che avanza da problemi a problemi, di fronte ad una concezione della mente umana come qualcosa di essenzialmente attivo che crea e scopre problemi, inventa congetture e seleziona teorie, l’induttivista tenterà un altro assalto.

Nella scienza - egli dirà - c’è molto di costruito, ma c’è pure qualcosa di non costruito, di originario, una sorta di materia prima fornita alla mente dall’esterno: materia prima che consiste nelle percezioni o impressioni o dati sensoriali. In breve: ci sarebbero dei dati sensoriali non costruiti o elaborati dalla mente umana.

Anche qui, però, dal punto di vista popperiano l’induttivista è in errore. La sua tesi psicologica è ampiamente confutata dai fatti.

Nel cinema, ciò che viene “dato” è una sequenza di fotogrammi, ma ciò che vediamo, o osserviamo, o percepiamo, è il movimento, e non possiamo fare a meno di vedere il movimento, anche se siamo a conoscenza del fatto che stiamo guardando solo i fotogrammi, per esempio, di un cartone animato.

Il fatto è, semplicemente, che vedere o osservare o percepire è una reazione, non solo a stimoli visivi, ma anche a certe situazioni complesse, nelle quali ricoprono un ruolo non soltanto sequenze di stimoli, ma anche i nostri problemi, i nostri timori e le nostre speranze, i nostri bisogni e le nostre soddisfazioni, le nostre simpatie e antipatie.

Ciò significa, come affermano i rappresentanti della psicologia della forma (Gestalt psychologie), che anche le percezioni sono costrutti di una mente attiva e spontanea.

La nostra reazione - cioè la nostra esperienza percettiva immediata - viene influenzata da tutto questo ed anche, in larga misura, dalla nostra anteriore conoscenza; dalle nostre aspettative o anticipazioni, che forniscono una specie di struttura concettuale schematica alle nostre reazioni.

Quindi la teoria induttivista è sempre superficiale: un’analisi più ravvicinata mostra che ciò che l’induttivismo assume ingenuamente come “dato” dei nostri sensi consiste, in realtà, in un complesso processo di scambio fra l’organismo e il suo ambiente: il processo consistente nel modificare o correggere le nostre anticipazioni e nel confutare le nostre congetture, caratteristico di ogni tipo di apprendimento mediante il quale aumentiamo la nostra conoscenza.

Tutto ciò si può dire asserendo che le Gestalten sono ipotesi. Difatti, se io guardo e vedo una Gestalt, questa scaturisce dall’organo di senso stesso.

Gli elementi di percezione, le impressioni sensoriali sono il prodotto dell’elaborazione dell’organismo nell’interesse della nostra sopravvivenza, nell’interesse del nostro adattamento. E la percezione gestaltica contiene anticipazioni di quel che per noi significa l’oggetto percepito.

Quel che avviene qui corrisponde a ciò che successivamente viene detto “ipotesi” nel mondo intellettuale. In altre parole: l’interpretazione di ciò che vediamo con i nostri sensi dipende già da processi creativi del cervello.

L’induzione, affidandosi a procedimenti di routine, nega che la mente sia creativa e che la scienza sia una complessa costruzione, frutto di tentativi ed errori. Ma noi siamo creativi e nella scienza nulla vi è di dato, e tutto in essa è costruito (problemi, teorie, fatti, controlli, strumenti, presupposti metafisici). L’induttivismo e l’osservativismo sono quindi, secondo Popper, dei miti.

 

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