Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il “Caffè” nei ricordi di Riccardo Bauer

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Riccardo BauerLe riviste e i movimenti “Il Caffe’, “Rinascita liberale”, il “Combattentismo” di Assisi ribadirono sul terreno ideologico e su quello pratico il nuovo accento della democrazia nazionale.

La ‘Rivoluzione liberale’ di Gobetti costituì anche dei gruppi legati alla rivista, ai quali aderirono giovani e decise personalità antifasciste, come i fratelli Rosselli a Firenze e Riccardo Bauer a Milano.

Proprio a quest’ultima, straordinaria figura morale, intellettuale, politica, che pochi Italiani conoscono, si deve, con Ferruccio Parri (una delle personalità più grandi della storia d’Italia), la nascita della rivista ‘Il Caffè’.

Riccardo Bauer era nato a Milano nel 1896  da Francesco, nativo della Boemia (attuale Repubblica Ceca) nel 1896 e da Giuseppina Cairoli.

Profondamente italiano, studente universitario alla Bocconi, chiese di essere volontario, ma partì con la sua leva, ufficiale di artiglieria dopo un corso all’Accademia di Torino. Fu un valoroso combattente con due ferite ed una menomazione permanente (paresi al braccio destro) e due medaglie di bronzo.

 

Laureatosi in economia e commercio dopo la guerra (non volendo fare gli esami da combattente, che erano solo una formalità) con il prof. Cabiati, conobbe attraverso il suo assistente prof. Vincenzo Porri “Rivoluzione Liberale “ di Gobetti.

Così racconta di sé e delle origini di “Il Caffè’.

«Presi a collaborarvi (con la citata ‘Rivoluzione Liberale’ di Gobetti), condividendo la posizione critica che aveva assunto contro il movimento fascista, in piena azione allora in una esaltazione nazionalistica e pseudo-rivoluzionaria, che si manifestava con ogni sorta di violenze…

La mia dimestischezza con Gobetti, che mi affascinava per la sua esplosiva intelligenza politica non disgiunta da una non dottrinale, ma pratica intenzione operosità per superare la dispersione e la superficialità caratteristiche della vita italiana, andò via via crescendo.

Ero entrato nello stesso anno 1920 all’Umanitaria (istituzione democratica e socialista), incaricato del riordino del Museo sociale… e fu lì che potetti aprirmi su un panorama politico e sociale che doveva poi completamente assorbirmi…

Il lavoro non mi impediva periodiche scappate a Torino, dove presi contatto con quel mondo di giovani forze che gravitava intorno a Gobetti, mentre organizzavo gli incontri che Gobetti stesso desiderava con amici milanesi quando, si può dire settimanalmente, era a Milano per i suoi affari editoriali…

Avevo suggerito a Gobetti la costituzione dei “Gruppi di ‘Rivoluzione Liberale”, per dare all’azione antifascista una più consistente efficacia, ed egli si buttò, con l’energia ed il giovanile impeto che lo distinguevano, nell’impresa, che poco però poteva durare: Io costituii il gruppo di Milano, introducendovi molti giovani elementi che dovevano poi dimostrarsi validissimi e costanti sostenitori delle idee di libertà e di democrazia, nonostante la tristezza dei tempi che seguirono.

Alla fine del 1823 ebbi ad osservare che “Rivoluzione Liberale” era rivista troppo colta perché potesse risultare di qualche efficacia fuori della cerchia non molto ampia del mondo intellettuale e che era ormai necessario far giungere una voce critica ad un pubblico più vasto, in quanto masse sempre più numerose andavano rapidamente adattandosi passivamente alla nuova servitù.

Gobetti assentì ed io mi misi all’opera. E fu Gobetti che mi suggerì di parlarne a Ferruccio Parri, che avrei trovato alla redazione del ‘Corriere della Sera’.

Con Parri non fu difficile intendersi sull’argomento ed egli accolse senza alcuna esitazione l’idea di un periodico agile e battagliero, proponendo un incontro preliminare con alcune persone amiche per mettere a punto l’iniziativa: Giovanni Mira, Tommaso Gallarati Scotti, Luigi Rusca, Giovanni Malvezzi, Filippo Sacchi, Giustino Arpesani, ecc.

Gli amici furono convocati e nell’incontro-era con me anche Ettore Maria Margadonna-fu convenuto di dar vita ad un quindicinale di facile lettura che, largamente diffuso, insegnasse dignità di comportamento ed intransigenza contro l’asfissiante opera di coazione e di diseducazione civile che il regime andava conducendo con la complicità di troppe forze liberali e popolari, quale si era manifestata nelle elezioni dell’aprile 1924…

Mentre così durava l’incubazione dell’iniziativa, che gli espertissimi Parri e Sacchi volevano giustamente priva dei difetti dell’improvvisazione, scoppiò la grande crisi del delitto Matteotti…il tragico evento ci indusse a passare all’azione.

Parri ed io ci assumemmo l’incarico della redazione e così il 1 luglio uscì il primo numero di ‘Il Caffè’.

Nelle nostre sedute preparatorie era affiorato il desiderio di una pubblicazione in cui si riflettesse vivacemente una esigenza di concretezza, di cui vedevamo un cospicuo, anche se lontano esempio, in quel caratteristicamente lombardo gruppo di illuministi che sulla fine del Settecento si era stretto intorno a Petro Verri e che diede vita appunto alla pubblicazione di un periodico ‘Il Caffè’ di non piccolo significato nella evoluzione moderna del pensiero politico italiano.

Quel mondo era da noi sentito come congeniale- nella caratteristica atmosfera milanese così ricca di positive virtù-ed in particolare da Parri, personalità preminente nel gruppo, per natura sua tendente alla proposizione di problemi in termini realistici meglio che a suscitare appassionati consensi. Da quel settecentesco modello riprendemmo anche la inconfondibile testata.”(pp.28-31).

Esso dal primo numero fino all’ultimo dell’aprile 1925 fu oggetto di interventi e sequestri della polizia, pur se con accorgimenti fu fatto circolare fino a cinquemila copie a numero. L’Associazione lombarda dei giornalista era ormai intimorita e assoggettata e quindi il gruppo fu isolato e costretto a chiudere l’esperienza.  Ma ogni attività legale antifascista era ormai diventata impossibile.

Bauer fu licenziato dall’Umanitaria nel 1924 per il suo antifascismo ed ebbe ostacoli nelle sue altre attività lavorative.

Fu arrestato più volte e, nel 1927, confinato a Ustica e a Lipari.

Tornato libero nel 1928, riprese l'attività clandestina e, con Ernesto Rossi e altri, aderì al movimento ‘Giustizia e Libertà’, fondato a Parigi nell'agosto del 1929 da Carlo Rosselli.

Dopo altri arresti, nel 1931 Bauer venne condannato definitivamente dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato a venti anni di reclusione. Si trattò della prima sentenza contro il movimento "Giustizia e Libertà" e i suoi massimi dirigenti.

Nel 1939 uscì dal carcere e venne inviato al confino di Ventotene. Liberato nel 1943, alla caduta del fascismo, partecipò al congresso clandestino del Partito d'Azione (Firenze, 5-6 settembre 1943), nel quale fu nominato responsabile militare per il Centro-Sud, in previsione di una lotta popolare armata contro le divisioni tedesche che già erano scese in Italia attraverso il confine del Brennero.

A Roma, dopo l'8 settembre, come dirigente e capo della Giunta militare del Partito d'Azione, fu tra i principali organizzatori della Resistenza. Fu membro del Comitato centrale di liberazione nazionale e del più ristretto comitato militare, con Luigi Longo e Sandro Pertini.

Nel 1944 fondò e diresse fino al 1946 la rivista “Realtà Politica”. Dopo la Liberazione fu nominato componente della Consulta Nazionale (1945).

Con la fine del Partito d’Azione, Bauer, deluso, lasciò la politica. Tornò all’Umanitaria, di cui divenne anche presidente, esercitando fino alla morte nel 1982 un ruolo prezioso di raro educatore civile democratico in senso profondo e serio.

 

 

 

Da Riccardo Bauer, Quello che ho fatto. Trent’anni di lotte e di ricordi, Cariplo-Laterza, Roma -Bari, 1987.

 

 

 

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