Luigi Perla, un bergamasco a Dijon

Categoria principale: Storia
Categoria: Storia del Risorgimento
Creato Sabato, 02 Maggio 2020 16:00
Ultima modifica il Sabato, 02 Maggio 2020 16:04
Pubblicato Sabato, 02 Maggio 2020 16:00
Scritto da Tommaso Todaro
Visite: 1266

«L’Italia che piange un Ferraris, un Imbriani, un Perla, un Cavallotti, e Bettini e Moro e Gnecco e Rossi e tanti altri loro pari sepolti nei campi di Dijon può ripetere colla madre spartana: ho migliaia di figli come questi.»

Jessie White Mario, Lendinara, aprile 1871.

Sedan, 31 agosto - 2 settembre 1870.  La disfatta degli eserciti francesi ad opera delle armate prussiane segnò la fine dell’avventura di Napoleone III, iniziata con l’investitura alla Presidenza della Repubblica da parte dell’Assemblea Costituente, il solenne giuramento del 20 Dicembre 1848 e il colpo di stato del 2 Dicembre 1851.

Victor Hugo, che sedeva tra i banchi dell’Assemblea al momento del giuramento del Presidente, dopo il 2 Dicembre, scrisse di «un tradimento riuscito, un delitto odioso, nauseabondo, infame, inaudito, se si pensa al secolo in cui è stato commesso…»1

La guerra proseguì ben oltre la disfatta di Sedan e la cattività di Napoleone III. Il 4 settembre il telegrafo annunziava la caduta dell’impero e il ritorno della Repubblica.

In soccorso della Repubblica giungeva intanto dall’Italia, sbarcando a Marsiglia il 7 Ottobre 1870, quell’anima nobile di Giuseppe Garibaldi, «per dare alla Francia quel che resta di me».

Il 14 era a Dole e a novembre ad Autun dove stabilì il suo quartier generale, creando l’armata dei Vosgi, che sbarrò la strada ai Prussiani, impedendo loro di dilagare – come si temeva - verso Lione.

L’epopea garibaldina dei Vosgi è narrata con grande passione e calore umano da Jessie White Mario, alla sua quarta campagna con Garibaldi, che gran parte ebbe nella organizzazione dei soccorsi ai feriti.

 «Le afflizioni e i sempre crescenti malanni derivati dalla ferita di Aspromonte avevano segnata la loro impronta su quel corpo di ferro, ma la fisonomia era sempre serena e raggiante: l'amorevolezza della sua accoglienza mi toccò profondamente: - Ah! questa volta, disse, non vi aspettavo.»2

 

Intanto, mossi dall’affetto per Garibaldi, continuavano ad affluire dall’Italia numerosi gruppi di volontari, nonostante l’ingresso in Francia fosse ostacolato con ogni mezzo dalla monarchia, arrivata al punto di minacciare la perdita della cittadinanza e la pensione dei Mille ai contravventori.3

Tra i giovani arrivati sul suolo di Francese c’era un bergamasco poco più che trentenne che, imbarcatosi a Quarto coi Mille, si era coperto di gloria nei campi di battaglia siciliani e al Volturno per poi subire, dopo un eroico scontro coi francesi, nel ’67, la cocente umiliazione di Mentana.

Erano passati appena tre anni da quell’impari battaglia, il risentimento dei patrioti italiani contro i francesi era ancora vivo e incontenibile il gaudio per le recenti batoste somministrate dai prussiani ai francesi, assaporate come un risarcimento per le umiliazioni subite nel ’49 e nel ’67.

Eppure eccolo là, Garibaldi offre la sua spada al servizio della Repubblica e lui, il giovane bergamasco, accorre senza esitare, lasciando a casa la moglie con sei bambini e la vecchia madre.

Un autunno molto piovoso quello del ‘70/71 nella Bourgogne e sullo Jura, tanto da rendere le strade impraticabili per il fango.  E che freddo, in Gennaio! Un inverno così non si vedeva da tanti anni, la neve cadeva copiosa e gli zoccoli dei cavalli sdrucciolavano sulle strade ghiacciate, tanto da doverli calzare con ferri muniti di ramponi, finanche le cascate dell’Ouche erano tutte gelate.4

Quello era il campo di battaglia dell’esercito garibaldino, un pugno di uomini che tenne testa ai più famosi soldati del mondo, con azioni di guerriglia e infine in campo aperto, nella battaglia di Dijon, che vide i prussiani in rotta di fronte alle impetuose cariche alla baionetta dei prodi di Garibaldi.

Fu l’unica vittoria francese di tutta la guerra.

 

Luigi Perla era inquadrato col grado di maggiore nella V compagnia di Canzio, ancora in formazione ai primi di gennaio, in aggiunta alle quattro compagnie preesistenti e comandava il battaglione denominato “Cacciatori di Marsala” nel quale militavano anche gli amici Cavallotti e Rossi.

Il 20 di gennaio la giornata trascorse tranquilla e la signora White pranzò con Ricciotti, Menotti e Canzio.

I prussiani ingrossavano già da qualche giorno e, nell’imminenza della battaglia, l’ambulanza bera stata posizionata dal Dr. Musini nelle prime case di Talant, in prossimità della ferrovia di Plombières.5

Il 21 iniziò, sui campi innevati, una furiosa battaglia tra l’esercito prussiano e le schiere garibaldine. Al primo, violentissimo scontro, trovarono la morte Imbriani e Cavallotti, Gnecco fu ferito gravemente agli intestini e Rossi, colpito al polmone, respirava appena.

La morte aveva falciato in quella prima giornata di lotta, nelle forsennate cariche alla baionetta, la più bella, intrepida, appassionata gioventù italiana: Settignani, Valdata, Zerbini, Ricci, Canova, Imbriani, Crippi, Giordano, Pastoris e tanti, tanti altri, i cui nomi splendono come astri nel firmamento.

Leonardi, che aveva ricevuto una gravissima ferita al basso ventre, era rimasto parecchie ore intirizzito sulla neve.

Di Bossak, ritrovato cadavere dopo tre giorni, accasciato sulla strada da Darois agli estremi avamposti verso Prenois, non si avevano ancora notizie.6

Ferraris, morto su un carro durante il trasporto, aveva ricevuto una palla nella guancia che era uscita dalla nuca.

La giornata fu riassunta da Garibaldi in un telegramma a Teresita, che aveva appena partorito il settimo figliolo di Canzio, in questi termini: «Ieri attaccati vigorosamente dal nemico l’abbiamo obbligato a battere in ritirata dopo dodici ore di aspro combattimento. L’esercito dei Vosgi ancora una volta ha bene meritato della Repubblica.»

I feriti, trasportati sotto una gragnuola di palle all’ambulanza di Talant, furono deposti, in mancanza di paglia e di coperte, sulla nuda terra.

La palla alla nuca ricevuta da Perla ne provocò la paralisi delle membra inferiori e Jessie White lo visitò nella casa dov’era stato condotto anche Rossi.

I morti furono tutti tradotti in Dijon e cominciava anche il trasporto dei feriti ma Perla, ritenuto intrasportabile da Musini, tanto supplicò che vi fu tradotto su un carro pieno di paglia.

Il 23 la White accompagnava Musini in visita ai feriti. La salute di Gnecco precipitava, De Nobile, prode calabrese, amico intimo di Menotti, era già in cancrena, il maggiore Priebs si avvicinava alla morte dopo l’amputazione di una coscia.

In una di queste peregrinazioni, sul far della sera, all’uscita da Dijon, incontrò la processione funebre di Ferraris, composta da carabinieri genovesi. «Né croce la precedeva, né prete la seguiva».

Nel frattempo Parigi, sotto assedio sin dall’inizio della guerra e stremata dalla fame, il 28 si sobbarcò a un armistizio che escludeva però il teatro in cui operava l’esercito del Nord: la Cote d’or, il Jura e il Doubs.

Bourbaki che lo comandava, avviluppato dal nemico e presagendo la sicura disfatta, si tolse la vita e le truppe, circa 100 mila soldati, incalzati dai prussiani che li bersagliavano alle spalle, si rifugiarono in Svizzera dopo una disastrosa ritirata nella neve alta e tra i ghiacci che ricordava quella di Russia.

Intanto cinquantamila tedeschi in tre colonne avanzavano verso Garibaldi e ci volle tutta la sua abilità per far defilare le sue truppe senza danni ma la signora White rimase a Dijon, dov’erano entrati i Prussiani, tra i suoi feriti.

Il 29 trovò l’atletico Rastelli, ferito alle due cosce la notte del 21, scheletrito e spirante, dopo otto giorni di spasimi infernali.

Si accertò che Gnecco e De Nobile avessero ricevuto una degna sepoltura, visitò le tombe di Ferraris e Bossak e si avviò alla casa dove Perla e Rossi, agonizzanti, combattevano ancora con la morte.

Quivi era anche il maggiore Zauli, trafitto a un polmone e con un piede congelato, essendo rimasto ventiquattr’ore nella neve.

Perla «Mi parlò con angoscia straziante della madre ottuagenaria, della moglie, di sei figli, il maggiore dei quali non superava i nove anni; e il misero non s’illudeva punto colla speranza di rivederli».

La mattina del sei, com’era sua abitudine, la signora White visitò Perla e lo trovò ch’era morto. Ordinò una doppia cassa di quercia e di zinco, ma seppe che il municipio aveva fatto altrettanto. Rossi, che era ancora vivo, riferì che l’amico, in occasione di una malattia contratta in Lione, gli aveva ingiunto di non permettere che prete al mondo si avvicinasse al suo letto e che non bisognava violare le più profonde convinzioni del defunto.

Neppure in questo era da meno del suo Generale, dai cui scritti esala un anticlericalismo a tutto campo. 7

«Consultati tutti gli amici suoi ebbi riconferma di questo detto e in pari tempo domandai ed ottenni gli onori militari all’eroico nemico del comando prussiano il quale promise di mandare anche la banda».

Perla fu deposto nella cassa mentre dabbasso stavano schierati più di duecento prussiani in assetto di guerra. Al passaggio del carro funebre, scortato dai prussiani e dallo loro banda che intonava la marcia funebre di Rossini, assisteva l’intera popolazione di Dijon, commossa e a capo scoperto. Nessuna esequie funebre fu permessa ai preti che, sebbene interdetti, seguirono il feretro in coda al corteo.

Mentre si calava la bara nella fossa i “nemici cortesi” si erano rispettosamente fermati a venti passi di distanza, a capo scoperto. Quando tutto fu finito e le prime zolle gettate nella fossa, spararono tre cariche d’onore e ripresero a suonare la marcia funebre.

Perla, quindi, non morì a Talant il 21 gennaio, come scrivono tutti e anche Wikipedia ma a Dijon il 6 febbraio, «nel palazzo di una dama ricca, aristocratica e bigotta», dopo una lunga e straziante agonia.

Di ritorno ai frères da Rossi e Moro, White vi trovò una vecchia signora, la madre di Perla che, avuta notizia del ferimento del figlio, benché ottuagenaria, era partita dalla sua città natale per poterlo assistere.

Appresi i particolari dalla voce della sua ospite, e delle solenni esequie tributategli dal nemico, trovò finalmente riposo.

Molti, troppi italiani, caduti per la Francia, i più senza un nome sulla tomba, vennero seppelliti nel cimitero di Dijon.

L’8 febbraio Jessie White partì da Digione, in compagnia della madre di Perla e giunti a Châlons avvenne il commuovente incontro con Garibaldi.

«Garibaldi accolse la madre di Perla con manifesta commozione e con tenerezza di figlio. Piangea dirottamente la misera ed ei pur pianse al suo pianto; la consolò, l’aiutò e affidolla che i figli del prode soldato non sarebbero dimenticati». Dopo di che la donna, separatasi dalla White, ripartì in treno verso la frontiera.

Quello era Garibaldi, una vita spesa per la santa causa dell’unificazione nazionale, eroe indomito, seppure ripetutamente umiliato, anche da quei francesi che era corso ad aiutare, capace di familiarizzare coi patimenti di tutti al punto di commuoversi alle lacrime.

Quello era anche il grande cuore di Jessie White Mario, fervida amante della causa repubblicana d’Italia, che non mancò mai al capezzale dei feriti e dei moribondi delle battaglie garibaldine.

E quella era la migliore gioventù d’Italia, animata dal più profondo amor di patria, che non esitò a dare la vita finanche in difesa del suolo di Francia.

Che abissale contrasto con l’Italia di oggi, che ripudia gli eroi, fomenta divisioni e ama gli avventurieri senza idealità che non sia il denaro, i raffinati piaceri della vita, la vanagloria e il potere, da conquistare con l’arroganza più sfrontata e senza esclusione di colpi, perennemente in attesa dell’uomo della provvidenza di turno che si affacci al balcone, magari quello di palazzo Venezia.

Grazie siano rese a Napoli che ha dato all’Italia eroi dello stampo di Imbriani, a Brescia che ha sacrificato all’altare della patria la vita di giovani valorosi come Perla e ad ogni altra contrada della nostra penisola, senza distinzione di campanile, età e condizione sociale, tutti affratellati nell’entusiastico amore per la patria e la libertà.

Per tutte quelle giovani vite spezzate va l’ode che scrisse Felice Cavallotti in memoria del fratello Giovanni, di cui riporto pochi versi.8

 

Voce arcana, che mesta mi chiami,

Ombra cara del morto fratello,

Dimmi, dimmi ove posa l’avello

Che raccolse il tuo povero fral!

Dì se ancora oltre l’urna tu m’ami,

Se un ricordo là ancor ti conforti,

Se un sorriso v’è ancora pei morti,

Fra le brume del sonno feral.

 

 

Note

1. Victor Hugo, Napoleone il Piccolo ossia il colpo di stato del 2 Dicembre 1851, Londra,1852.

2. Jessie White Mario, I Garibaldini in Francia, Roma, 1871, scaricabile da internet (https://archive.org/details/igaribaldiniinf00marigoog/page/n249/mode/2up)

Il libro è sfornito della tabella che mi ha gentilmente fornito la Biblioteca Archiginnasio di Bologna, allegata a questo articolo.

3. Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 294 del 25.10.1870. «Nel mentre dalle autorità del Regno si fa quanto è loro dovere, perché gli obblighi di neutralità nella guerra franco-germanica sieno strettamente osservati, parecchi giovani non cessano di far pratiche per recarsi in Francia, onde prender parte alla guerra che ivi si combatte. Epperò il Governo crede opportuno, per quei che riuscissero (come è già riuscito ad alcuni) ad eludere la vigilanza dell'autorità, di ricordare (oltre gli articoli 174 e 175 del Codice penale italiano) la prescrizione seguente del Codice civile: «Art. 11. La cittadinanza si perde § 3. Da colui che, senza permissione del Governo, abbia accettato impiego da un Governo estero, o sia entrato al servizio militare di potenza estera.»

4. Un’idea della rigidità del clima ce la dà, oltre alla White Mario, Sebastiano De Albertis nel suo quadro (olio su tela, circa anno 1871) dal titolo “Garibaldi in Dijon” e Achille Bizzoni nelle “Impressioni di un volontario all’esercito dei Vosgi”– Sonzogno, Milano, 1874, gratuitamente scaricabile da Google libri.

5. L’ambulanza era l’ospedale ambulante o volante che seguiva i corpi combattenti dell’armata.

6.  Count Józef Hauke-Bosak, 19 marzo 1834 -21 gennaio 1871, Generale polacco, comandante della prima brigata di stanza ad Autun.

7. V. in particolare: Giuseppe Garibaldi, Scritti politici e militari, Roma, E. Voghera, 1907. In previsione dell’anticoncilio di Napoli indetto per il 9 dicembre 1869, scrisse una lettera con apprezzamenti pesantissimi nei confronti di Pio IX (pag.  523 a 525) https://archive.org/search.php?query=giuseppe%20garibaldi%2C%20scritti%20politici%20e%20militari

8. Felice Cavalloti, In morte di mio fratello Giovanni, Poesie, Milano, 1873

 

 Didascalie immagini

Il disegno di copertina, di  Edoardo Matania, raffigura Perla sul letto di morte (da Jessie White Mario, Garibaldi e i suoi tempi, Milano, Treves, 1905.

Immagine 1: Carte de détail pour les operation de l’armee du Sud - tratta da: Hermann de Wartensleben, Opérations del l’armee du Sud pendant les mois de janvier et féfrer 1871, traduit de l’allemand par Alfred Dumaine, Paris, 1872.

Immagine 2: Sebastiano De Albertis: Garibaldi in Dijon, circa anno 1871, olio su tela

Immagine 3: Tabella in appendice al libro della White dal titolo: Quadro effettivo delle truppe il 24 dicembre 1870, gentilmente fornita dalla biblioteca Archiginnasio di Bologna.