Aristocrazia e potere a Bisanzio

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La maggior parte delle famiglie aristocratiche bizantine raggiunse potere e prestigio per mezzo degli eserciti. Poi esse consolidarono la loro posizione con una espansione economica che fu in gran parte, comunque non esclusivamente, basata sull’acquisizione di grandi patrimoni fondiari. Questi magnati, in virtù del loro  controllo degli eserciti provinciali, ebbero un grande potere.

Uno dei fenomeni critici nella storia dell’Anatolia fu l’evoluzione delle grandi famiglie fondiarie le cui azioni permeano le cronache e la letteratura legale del X e XI secolo. Essendo in possesso di vaste proprietà e di un’alta posizione burocratica nell’amministrazione provinciale e militare, esse furono responsabili dello sviluppo socio-economico e politico in Asia Minore  anteriormente alle invasioni dei Turchi Selgiuchidi.

Molto spesso l’esercizio della “strategeia” in una particolare provincia tendeva a divenire semi ereditario in una particolare famiglia, come nel caso dei Focas e del tema di Cappadocia.

A parte il controllo di questi eserciti tematici, le grandi proprietà dell’aristocrazia li misero in grado di mantenere grandi corpi di truppe private. Fin quando il governo fu capace di controllare i loro abusi politici ed economici, questa aristocrazia provinciale contribuì alla difesa e all’espansione di Bisanzio nell’est.

Nell’ XI  secolo, comunque, questa potente classe giocò un ruolo cruciale nel declino dello Stato.

 

Dal 1025 nell’Impero bizantino si avvertì una diminuzione degli effettivi dell’esercito, compensata dall’accrescimento dei mercenari: meno contingenti nazionali, troppo legati ai loro capi feudali, più soldati stranieri, meno nelle mani dei loro generali che in quelle dell’imperatore che li pagava bene e la cui devozione sembrava assicurata dal  loro interesse.

Era un ritorno alla situazione precedente all’imperatore Eraclio, quando l’esercito bizantino era costituito dai Goti  sostituiti ora dagli Scandinavi  Vareghi e Russi.

Riduzioni molto importanti ricaddero sul bilancio militare. Si pretendeva di praticare una politica risolutamente pacifica e questo contrasto manifesto con le tradizioni dei precedenti regni attesta chiaramente la diffidenza che si provava al riguardo dell’esercito e dei suoi capi.

Per la maggior parte, durante gli anni 1025-1081, il potere finì nelle mani di governanti   non  competenti a occuparsi di materie militari.

I magnati latifondisti  vedevano le frontiere  contrarsi in Italia, nei Balcani e quasi tutte nei territori orientali. Essi erano stati duramente colpiti  e indeboliti dall’ostilità e dalle confische di Basilio II. Era perciò questione vitale e urgente per essi impadronirsi del governo e predisporre adeguate  misure  per la difesa imperiale.

Da questo momento, data la rigidità dell’alterna lotta durante il periodo tra la morte di Basilio II e l’accesso di Alessio I nel 1081, e mentre l’aristocrazia civile e militare era impegnata a sbranarsi, era impossibile  dedicarsi a consolidare le frontiere.

Di fronte a questa elite militare si formò un partito civile, che, sotto il governo di Zoe e dei suoi mariti successivi, acquistò molto presto una grande importanza.

Sempre di più cresceva all’interno dell’entourage del principe l’influenza degli eunuchi di palazzo, degli alti funzionari della corte e dell’innumerevole personale della burocrazia e tutto questo mondo costituiva un grande partito, unicamente composto da civili e molto ostile all’esercito al quale non si perdonava d’avere, sotto gli imperatori militari, un privilegio pressoché esclusivo di belle paghe, di dotazioni, d’influenza.

Esso si appoggiava sul Senato, che sembrava aver ripreso a questo momento un’importanza assai grande nella condotta degli affari ed era veramente la testa di questo partito civile.

E sotto questa influenza, i grandi generali del precedente regno, questi che sotto Basilio II  avevano reso allo Stato servizi eclatanti, erano respinti dalla corte e tenuti in sospetto.

L’imperatore, eccezion fatta per l’infelice spedizione che Romano III condusse in Siria nel 1030  e per l’attività di Michele IV  per reprimere la rivolta bulgara, cessò di apparire alla testa degli eserciti e questo fu ancora un segno che il governo si disinteressava delle faccende militari e non aveva più per il soldato la sollecitudine precedente.  

Il regno di Costantino Monomaco doveva dare a questa politica la sua consacrazione e la cosa si spiega tanto per il carattere stesso del sovrano che per i gravi avvenimenti che marcarono l’inizio del suo regno. E non per caso, all’avvento di Costantino, scoppiarono ben due rivolte militari.

L’imperatore Costantino IX  Monomaco apparteneva alla grande nobiltà ed era  appoggiato dal Senato.     

Costantino  IX  era del tutto ignorante delle faccende militari, ma tanto generoso che tutti ottennero frutti dalla sua  benignità.

Costui era del ceto dei nobili e nato da famiglia di rango senatoriale e a stento conosceva l’alfabeto e tuttavia degnava di grande interesse le lettere.

Del resto era di costumi pigri e dissoluti, dedito alle gioie e ai piaceri, schiavo anche delle lusinghe d’amore. Conferiva ciecamente cariche a uomini volgari e senza merito, dilapidava anche il pubblico danaro dell’erario con un lusso sfrenato e stolido che non avvantaggiava  la  potenza romana né accresceva il potere dell’Impero.

Contro questo imperatore si sollevò l’esercito di  Maniace. Così la sollevazione dello stratego divenne una giusta reazione contro quella che fu ritenuta la pessima conduzione militare, politica e finanziaria dell’Impero bizantino.

Costantino Monomaco spendeva senza controllo e senza freni. Le  sue amanti, le sue amnistie indiscriminate, il suo costoso programma edilizio contribuirono a dissestare il tesoro.

Le cariche superflue e l’espansione della burocrazia, segno dell’ascesa della fazione civile, comportarono anch’esse un aumento delle spese. Il suo regno, come quello di Michele IV, fu caratterizzato da una svalutazione del nomisma .  

La situazione politica, economica e finanziaria dell’Impero bizantino all’inizio degli anni quaranta dell’ XI  secolo non era pessima, benché già fossero apparsi i segni  precursori della crisi che si fece sentire con forza nella seconda metà del secolo.  Basilio II  morì nel 1025, ammassò nel tesoro dello Stato una somma di 200000 libbre d’oro.

La situazione sotto i successori di Basilio II non fu più così brillante perché la moltiplicazione da parte di Romano III Argiro dei privilegi accordati ai grandi proprietari fondiari  e la crisi della piccola proprietà contadina riducevano le entrate fiscali dello Stato .

Lo stato delle finanze dell’Impero si degradò anche per i frequenti cataclismi negli anni Trenta e all’inizio degli anni Quaranta dell’ XI  secolo:  siccità, cattivi raccolti, terremoti, epidemie.

A dispetto di tutte queste difficoltà le riserve del fisco bizantino non dovevano essere trascurabili, giacché il nobilissimo Costantino, zio dell’imperatore Michele V  il Calafata ( dicembre 1041-aprile 1042 ) riuscì ad appropriarsi di 5300  libbre d’oro appartenenti al tesoro.

La situazione finanziaria che trovò Costantino Monomaco al suo avvento al trono nel 1042 non fu molto facile.

Nel mese di aprile del 1042  il tesoro del palazzo fu saccheggiato e una parte dei catasti distrutta. Le operazioni militari in Sicilia e in Italia meridionale comportarono delle spese finanziarie.

Nell’autunno del 1042, allorché la ribellione di Maniace scoppiò in Italia, le spese non poterono che aumentare; soprattutto bisognò organizzare e pagare delle nuove armate, da cui dipendevano le sorti dell’Impero.  

Le imposte vennero aumentate. Si procedette anche a confische. Dopo la morte del patriarca Alessio Studita, il 20 febbraio 1043, si confiscò il tesoro ecclesiastico di 2500 libbre d’oro.

Questa misura fu adottata al momento di un pericolo imminente, allorché Maniace sbarcò a Durazzo e si ebbe bisogno del danaro soprattutto per mettere in piedi un esercito combattente.

La vittoria stessa, il trionfo nella capitale e i donativi all’armata vittoriosa comportarono delle nuove spese.

Nel luglio 1043 l’eunuco sebastoforo Stefano, il trionfatore che proveniva proprio allora dal ricevere dall’imperatore Costantino IX  gli allori per la sua vittoria su Maniace, fu accusato d’ordire un complotto mirante a portare al trono Leone Lampros, stratego di Melitene. Lampros fu accecato e Stefano deportato in un monastero.

 

        

 

 

Riferimenti bibliografici

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