Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

La questione meridionale ieri e oggi

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Il Mezzogiorno deve all’Italia una, libera, costituzionale e democratica. nata il 17 marzo 1861, l’avvio e la più decisa iniziativa epocale nella sua storia millenaria di affrontare la plurisecolare questione della sua arretratezza economica e del suo abbrutimento antropologico.

Di questa arretratezza e di questo abbrutimento sono state responsabili in particolare costanti dinastie straniere (a partire dai Normanni francesi agli inizi del Mille) con le collaboranti, responsabili classi dirigenti meridionali, strutturando il regime feudale (durato formalmente fino al 1806 e sostanzialmente fino al 1860), con aggravamenti nei secoli dal Cinquecento al 1861 con la Spagna.

Quest’ultima ha rappresentato lo Stato più ostile alla modernità europea nascente nel Cinquecento, direttamente fino al Settecento, indirettamente con la dinastia spagnola  borbonica fino al 1860, e la chiesa cattolica con il suo possente apparato antropologico antimoderno, specialmente a partire dalla seconda metà del Cinquecento.

Le prime radicali soluzioni della questione meridionale si sono avute, come si è detto, dal 1861 fino al 1922, quando, con l’affermazione sempre più forte, violento, totalitario del regime fascista, essa è stata rimossa dall’agenda del paese, per offrire un’immagine unitaria e compatta nazionalistica, pur non dimenticando interventi in aree abbandonate del centro-sud (esempio la bonifica della pianura pontina e l’assunzione da parte dello Stato di un massiccio intervento nell’economia).

 

La questione meridionale, rimossa, ma non risolta in tanti suoi aspetti, si è aggravata con le distruzioni e gli effetti della seconda guerra mondiale, spesso tragici in termini di vittime civili, di crisi economica e sociale, di perdite materiali e anche culturali (tutte imputabili al fascismo, al neofascismo repubblichino, al disumano alleato nazista, mai richiamati dai vittimisti, interessati, equivoci  fascisti-neofascisti e loro stretti complici cattolici clericali, specialmente dal 1929, data infausta per l’Italia una, libera e laica).

L’Italia repubblicana dal 1946 in poi, con la sua memorabile ricostruzione, ha preso più di petto la questione meridionale, avviandola a radicali soluzioni (si pensi alla riforma agraria, alla lotta al latifondo, al miglioramento epocale delle condizioni di vita contadine e cittadine), ad opera di forze politiche più responsabili, che ponevano il Mezzogiorno al centro del loro dibattito e della loro azione.

Con la Cassa del Mezzogiorno fino agli anni Settanta si sono compiute autentiche svolte, pur con i tanti limiti, scandali e sprechi, che hanno caratterizzato l’intervento straordinario nel Sud, ponendo la basi di quella “questione morale” e di quel “senso di distacco e di stanchezza delle regioni centro-settentrionali”, che vedevano tanta dilapidazione  dell’immenso pubblico denaro,  messo a disposizione del Sud in primo luogo dal miracolo economico italiano, che aveva il suo epicentro nel triangolo Milano-Torino-Genova, pianura padana in genere.

In quella reazione di distacco e di reazione convergevano anche milioni di immigrati meridionali, che conoscevano le situazioni di partenza, i limiti, le responsabilità, le corresponsabilità, le passività, l’omertà ora imposta, ora voluta, dei loro compaesani, complici di parassitismo, di mafia e camorra, di immobilismo economico-sociale.

L’insostenibilità dell’intervento straordinario è scaturita sia ai costi di essa ed alle responsabilità dei meridionali, sia allo scenario man mano affermatosi della globalizzazione, del libero mercato europeo e mondiale, dell’ideologia ad essa collegata.

Si sono aggiunte la crisi e la fine della Repubblica dei partiti, per loro responsabilità interne di clientela, lottizzazioni, corruzioni, per cui la questione meridionale è scomparsa man mano dal dibattito politico.

È seguita la stagione, che arriva fino ad oggi, di una situazione che, invece di volgersi da parte meridionale verso una franca, lucida, responsabile autocritica sulle colpe degli stessi meridionali nell’avere i problemi che hanno, si è ridotta spesso ad un atteggiamento vittimista e falso, imputando i propri limiti e le proprie questioni alle regioni del nord.

Da lì si è sfociati nel grottesco e vergognoso atteggiamento, che resterà ad infamia dei meridionali (per fortuna minoranza estrema) che lo hanno assunto, di fronte alle future generazioni, all’Italia, all’Europa, al mondo, di nostalgie neoborboniche, di capovolgere cioè  la storia, disegnando una inesistente società. Un paradiso perduto ricco, felice, indipendente, che era nella “realtà effettuale” storicamente un regime assolutista, poliziesco, clericale, antimoderno, feudale, arretrato, sanguinario, che mandò al patibolo, al carcere orrendo, all’esilio, la migliore classe intellettuale e politica della storia del Mezzogiorno d’Italia.

Condannato dal tribunale della storia alla sua giustissima e inesorabile fine, quel regime fu negatore dei fondamentali diritti civili, politici, sociali, che definiscono una società civile e moderna, peggiore dello stesso fascismo, che ha governato di fatto alla luce di una costituzione (lo Statuto Albertino), pur costantemente offesa nella sua traduzione concreta, con organismi rappresentativi, pur espressione l’una del fascismo, la Camera, ma più libera la seconda, il Senato, essendo tutto di nomina regia, e con una divisione, pur man mano formale, del potere tra fascismo e monarchia, come non è avvenuto nel comunismo, nel nazismo, nel franchismo.

La questione meridionale è stata dagli anni Novanta in poi e resta oggi problema dei meridionali.

 Essi sono artefici del proprio destino, e devono assumersi le loro responsabilità, mettersi a lavoro con decisione, serietà, intraprendenza, dote di cui sono fortemente forniti, con spirito di onesta autocritica, sapendo guardare al passato con spirito di verità, e sapendo distinguere i veri difensori del Mezzogiorno e della sua nobiltà, che hanno dato anche la vita per la sua libertà e per il suo progresso, e i nemici e gli assassini del Mezzogiorno, temporali e cattolico-clericali, che lo hanno voluto  e lo vogliono ancora oggi mantenere nell’oppressione civile e politica, nell’arretratezza, nell’analfabetismo sostanziale e nell’incultura, nella superstizione, in balìa di criminali e di parassiti.

Quel mondo di protagonisti e di difensori nobili della più alta storia meridionale, dal Risorgimento alla Resistenza, alla Repubblica, vanno costantemente ripresi e onorati, per trarne forza, conforto ed esempi, per aprire nuove pagine di vero e duraturo progresso civile, sociale, culturale, politico, in questa era sconvolgente, straordinaria, ma anche difficile e inquietante per tanti aspetti.

 

 

 

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