Un antico canto popolare per S. Giovanni

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Categoria: Storia e Letteratura - Miscellanea
Creato Domenica, 23 Giugno 2019 09:59
Ultima modifica il Domenica, 23 Giugno 2019 10:08
Pubblicato Domenica, 23 Giugno 2019 09:59
Scritto da Giuseppe Pio Capogrosso
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Per la ricorrenza di San Giovanni Battista, che si festeggia il 24 Giugno, riporto un nuovo canto in dialetto manduriano che, tra i vari generi della poesia popolare, si colloca in quello delle storie religiose rappresentate dai cantastorie nelle piazze di paese, durante le feste di santi importanti.1 

Il testo che é più breve e lacunoso rispetto ad un altro noto, raccolto a Lecce, tratta in chiave moraleggiante il tema del comparatico al quale, un tempo, veniva attribuito carattere di sacralità.2

Il rapporto, che si veniva a creare fra le famiglie legate dal padrinaggio, era considerato speciale ed era equiparato, anche dal diritto canonico, ai legami di parentela: sul suo rispetto vigilava San Giovanni Battista, pronto a punire, pure duramente, chi avesse tradito la fiducia delle persone unite dal vincolo.3

L’accostamento alla figura del protettore era talmente forte che alla relazione, che legava i padrini e le madrine ai figliocci, veniva dato addirittura il nome del santo: infatti, nel linguaggio popolare, per dire che fra due famiglie vi era il comparatico, soprattutto di battesimo, si usava dire fino a pochi anni addietro: «‘Nc’eti lu San Giuanni.» 4

 

Un grave tipo di tradimento della speciale “parentela spirituale” era quello amoroso-sentimentale che, forse anche per la sua frequenza, suscitava lo sdegno e la riprovazione dell’opinione pubblica del tempo: è appunto questo l’argomento della storia raccolta.

Nella scena è la donna che, con fare sfacciato ed insinuante, prende l’iniziativa nei confronti dell’uomo che ne aveva tenuto a battesimo il figlio (il compare). Questi resiste al tentativo di seduzione ma, come il casto Giuseppe citato nella Bibbia, é vittima della vendetta della donna che, sentendosi offesa perché respinta, lo accusa, davanti al marito, di averla aggredita.

A questo punto del racconto irrompe la figura di San Giovanni, in veste di giustiziere, il quale rivela l’inganno al coniuge e castìga la comare facendola ardere in un fuoco purificatore.

La storia si chiude con l’impressionante immagine della donna che, ormai dannata nelle fiamme dell’inferno, si pente invano dell’errore commesso, disconosciuta perfino dal figlioletto nato da tre giorni che, prodigiosamente, prende la parola contro di lei. 

Il canto salentino, ora noto anche nella lezione mandurina, è molto vicino ad una versione siciliana raccolta nel 1871 da Giuseppe Pitrè, medico e studioso di tradizioni popolari, a Catalvuturo (Palermo), tratta sempre dai racconti dei cantastorie.

In quella, però, la scena si incentra solo sul dialogo fra la comare tentatrice e il giovane compare, e si chiude con le parole del secondo che, respinte le insane proposte della donna, la ammonisce sulla sacralità del vincolo di comparatico e sul rispetto dovuto al santo che a questo sovraintende:«Si vui a San Giuvanni ‘un rispittati, quarchi gghiurnata vi nn’adduniriti.» (Se voi non rispettate San Giovanni, qualche giorno ve ne accorgerete).    Mancano, invece, le parti in cui il compare viene calunniato dalla donna e in cui quest’ultima è punita dal santo.5

Anche la storia locale ha origine nel canzoniere dei cantastorie.

La nostra narratrice, dopo averla appresa da una fonte (un’amica?) che a sua volta, molto probabilmente, l’aveva letta nei foglietti a stampa distribuiti dopo la “cantata” (o esibizione dell’artista), nelle sagre di paese, lo avrà arricchito con apporti personali, introducendo aggiunte, apportando modifiche e operando tagli.

«Nessun cantore mai ripete senza innovare» commentava la nota studiosa che ha raccolto la lezione leccese del canto.6

E, in effetti, nel nostro caso perfino l’intitolazione sembra essere stata cambiata, essendo assai più probabile che, all’origine, il titolo del canto fosse dato da quel proverbio noto in tutt’Italia, «San Giovanni non vuole inganni.»

Con ciò si intendeva dire, soprattutto nelle regioni meridionali, che il santo punisce chi non rispetta la fiducia delle persone che partecipano al comparatico o le inganna.7

Quanto poi alle origini del canto, Pitrè considerava la versione siciliana «non posteriore al XVII», ritenendo decisivo per la datazione il riferimento a Maometto, che viene citato nella storia come tentatore della donna, al posto del demonio.8

Per la lezione salentina, invece, è difficile dare una collocazione temporale precisa, anche perché entrambi i testi noti (quello odierno, raccolto a Manduria, e il precedente proveniente da Lecce) non contengono alcuna indicazione utile.9

  

San Giovanni, falsi inganni

(trasmessa oralmente alla sig.ra My Immacolata, nata a Manduria nel 1930, da una sua amica)

 

Ci ulìti, sintìti li fauzi inganni

ti piccoli zitelli, tutti quanti.

Da ‘nc’era ‘nna cummari ti San Giuanni,

gravida scìa ti ‘nnu pargolettu.

Ti nanti si lu ‘ccontra ‘nnu giovinettu.

“Cumpari, ce mi faci lu San Giuanni?”.

Iddu si ota cu moti affanni

e tici: “Cummari, no’ si nega lu San Giuanni”.

“Timmi, cumpari mia, quannu ti spettu?”.

“Spettimi quannu aisti lu sciuscettu”.10

Li ottu no’ feci e si lu mannou a chiamari.

“Ce hai cummari sta chiamata prestu,

ca tantu prestu aisti lu sciuscettu?”.

“No, cumpari”  tissi edda

“questa è ‘nn’accusa c’aggià truata,

ca lu maritu mia è sciutu fori terra”.

Mò ai alla cascia e zzicca a cacciari

cupeta e cosi tuci pi manciari.

“Oh, tissi iddu, cummari

no sacciu ti ce motu t’aggia ringraziari”.

“Eh” tissi edda

“ulia iastèmu lu fusu e la cunocchia,

puru ‘nna notti cu tei mi vulia curcari”.

“Oh cummari, sta cosa no’ la putìmu fari,

ca ‘nc’è lu San Giuanni pi li mienzi.

Stasera vieni lu tuo marito

e ti ccuntenta ti ogni modu fari”.

“Ce n’aggià fari, ti lu mio maritu,

ca è becchiu e tuttu sannisciatu.11

A mei ‘nci ulìa ‘nnu giovani zitu

bellu comu a tei, bellu e ‘ngarbatu”.

“Cilestri Cielu ci la sta sintìti,

pi destimonia ‘nci mentu li Santi.

Ci la toccu, cu mueru tannatu,

ci no cu rraggiu e bbou a Santu Itu”.12

La sera enni lu suo maritu

e tuttu diversu li vozzi cuntari.

“No sai, maritu mia, cce m’ha ccappatu?

Ca m’onnu fatta donna di partitu”.

Edda la bocca a risa li facia.

“Forse è statu lu nostru cumpari?”

La sera retu alla porta lu vozzi ‘mpustari.

Mò ai lu cumpari nettu e schiettu,

ai pì visitari lu sciuscettu.

Quannu arriòu allu limmitari,13

tutto di fuecu si eti brusciari.

Mò risponni San Giovanni ti lu limmitari:

“Aspetta, aspetta cani traditori:

te l’è saputa beni riguardari

e t’è datu la stima e l’onori,

ca mò eni na schiera di diavoli

e bi ni porta anima e cuerpu”.

Mò risponni lu piccinnu ti tre giurni natu:

“Ani, ani mamma ddo’ si cundannata”.

“Oh Diu, pi na buscìa ca già mmiscata,

mi trou all’infiernu e tutta ‘ncatinata! ”.  

 

 

Note

1) Ringrazio per la trascrizione fedele del canto, da me solo in parte riveduta e corretta, l’ing. Giuseppe Capogrosso, mio cugino, che lo ha raccolto dalla voce narrante della madre Immacolata My in Capogrosso.

2) Giuseppe Pitrè, Canti popolari siciliani vol.II, pag.393, “La comare e il compare”, canto raccolto a Catalvuturo,  1871- Palermo.

3) Il nuovo Codice di diritto canonico promulgato da Papa Giovanni Paolo II nel 1983, al canone 872 e seguenti, non prevede più la “parentela spirituale” tra padrino (o madrina) e figliocci, stabilita dal precedente codice del 1917 e fondata su un’antica tradizione della Chiesa cattolica. Il legame, ora abolito nel diritto latino, in precedenza costituiva un impedimento alla celebrazione del matrimonio tra i padrini (o le madrine) e i figliocci.

4) Sulla denominazione “Sangiovanni” data al comparatico, vedi anche Enciclopedia Treccani, voce Comparatico a cura di Raffaele Corso, 1931.

5) I. M. Malecore, La poesia popolare nel Salento. Storia di S.Giovanni, raccolta a Lecce, Firenze, Olschki Editore, 1967, pag.233.

6) Malecore, cit.

7) Curioso è il significato che al proverbio veniva attribuito a Firenze: S.Giovanni, protettore della città, era anche riprodotto sulle monete coniate (fiorino). Tale presenza era ritenuta garanzia di affidabilità della moneta fiorentina, in quanto il Battista avrebbe punito evenutali falsari e contraffattori.

8) Pitrè, cit.

9) Un altro uso attestato a Manduria e legato al culto di S.Giovanni Battista è l’invocazione contro i temporali.

Così scriveva lo studioso mandurino Giuseppe Gigli nel suo volume Superstizioni, pregiudizi e tradizioni in Terra d’Otranto:

«Bellissimo mi pare il seguente uso, che è praticato dai contadini del Tarentino: all'appressarsi delle nubi nere, pronube di grandine o di tempesta, le donne espongono in mezzo alla strada un bambino o una bambina di non più di sette anni, e gli fanno gettare in aria, a destra, a manca e di fronte, tre piccoli pezzi di pane, ripetendo con voce alta e supplicante alcune parole a mo' di versi, che nel dialetto di Manduria dicono cosi:

Oziti, San Giovanni, e no durmiri,

ca sta vesciu tre nnuuli viniri,

una d’acqua, una di jentu, una di malitiempu.

Dò lu purtamu stu malitiempu?

Sotta a na crotta scura,

dò no canta jaddu,

dò no luci luna,

cu no fazza mail a me, e a nudda criatura.»

10) Figlioccio.

11) Termine insolito, probabilmente usato nel senso di sdentato o anche di persona con i denti sporgenti. In dialetto manduriano «li sanni», femminile plurale, sono i denti incisivi.

12) San Vito era considerato protettore contro l’idrofobia (in dialetto «la raggia»).

13) Quest’ultima parte del testo appare un po’ lacunosa. Probabilmente il santo interviene per fermare la vendetta del marito, al quale rivela la menzogna, e punisce la donna facendola ardere nel fuoco. «Limmitari», maschile singolare, era detto l’uscio della casa ed anche la soglia.