Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il sorriso della natura tra Subiaco e Jenne

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E’ stato certamente il mio amore per Subiaco che mi ha spinto a fare il viaggio che da questa cittadina va a Jenne.

Mi ero spesso chiesto se la bellezza di Subiaco fosse tutta concentrata nell’area dei monasteri del Sacro Speco e di S. Scolastica,  o se proseguisse al di là dei monti Talèo e Francolano in direzione di Jenne. Ero desideroso di sapere se la valle dell’Aniene, che si insinuava tra questi due monti,  continuasse a spargere bellezza anche al di là di essi.

Mi ero posto questa domanda più volte, giacché molti sono stati i miei ritorni a Subiaco. E finalmente nell’estate del 2017, insieme al mio amico Tommaso Leone, ho fatto in auto tutto il percorso che da Subiaco va a Jenne.

Ero convinto che tra queste cittadine ci fosse una sola strada che solcasse la valle santa dell’Aniene. Ma mi sbagliavo. La strada che abbiamo imboccata era quella dei trafori, mentre esiste una strada più a valle e quindi più vicina al fiume. Anche se era questa la rotabile più suggestiva che avremmo dovuto percorrere, oramai si era in viaggio lungo un’altra più percorribile e rapida.

 

Ci sarà il tempo perché io possa entrare, come mi ero ripromesso, ancor più nel cuore della vallata. Ma qui è tutto splendido. Anche la strada dei trafori ha un suo fascino. Questa via, che collega velocemente le due cittadine laziali, gode di un paesaggio particolare.  Protagonista è una natura rigogliosa e verdeggiante, degna di essere ammirata. 

L’Aniene con la sua valle scorre poco più giù a delimitare la parte  meridionale del Parco dei Monti Simbruini.

La distanza tra Subiaco e Jenne è di circa 30 km. E’ un percorso singolare per la sua bellezza. La strada scorre comodamente e senza un grande traffico. Essa entra e esce in una serie di trafori di pietra fatti a mano, che paiono avere qualcosa di antico e che rendono più interessante il percorso. Nel momento in cui si entra in qualche più lungo traforo si ha quasi la preoccupazione di dover perdere la visione della bellezza dell’ambiente. Ma poi il timore provato si dissolve appena subito lo sguardo dall’ oscurità del traforo ritrova la luce,  che permette di rivedere lo spettacolo da poco perduto.

E’ una visione intensamente silvestre, che come un film si svolge per chilometri e chilometri dinanzi agli occhi, facendo sfoggio di un susseguirsi di contigui e splendidi boschi.

Pare entrare in un mondo infinito di alberi, non sempre uniforme, anzi dalla difformità, che rende variegato questo mare di verde. Non mancano punti in cui, la disposizione degli alberi accentua in noi una curiosità estetica più forte. Ma avvicinandosi a Jenne, quando l’orizzonte da tutti i lati  si allarga, lo spettacolo del verde diventa grandioso, se guardato anche all’indietro, per cui l’anima si sente più rapita da questo paesaggio.

Tutto ciò accade avendo la sensazione di trovarci in un mondo appartato e antico, lontano mille miglia da quello di oggi, che è all’insegna dei rumori o delle grandi costruzioni. E’ il classico sito ove pare che il tempo si sia fermato e niente ne ha potuto in qualche modo danneggiare l'originaria identità.

E’ difficile in verità trovare un luogo che così a lungo diffonde una naturale silvestre sinfonia, che pare appartenere a un mondo, che voglia soddisfare in noi il desiderio spesso inconscio del bello.

Essendo questo ambiente che va verso Jenne una continuazione di quello che si ammira a Subiaco, ho pensato che certamente S. Benedetto l’avrà, ai suoi tempi, visitato ed esplorato, pellegrino come era di contemplazione estetica e mistica.

In verità questi due atteggiamenti dello spirito sono strettamente legati, sono così fusi tra essi, che possono essere considerati un’unica cosa. Laddove c’è bellezza certamente c’è Dio. E S. Benedetto quindi, che non poteva non essere alla ricerca di luoghi incantevoli, avrà attentamente percorso il cuore della valle dell’Aniene per fondare le sue case religiose.

Subiaco, aggiungendo alla sua particolare bellezza naturale anche quella dei laghi neroniani, costituiva per il Santo di Norcia un ambiente che aveva un non so che di paradisiaco. Ma egli venne anche attratto dalla valle che da Subiaco va verso Jenne.

In verità S. Benedetto ha fatto della valle sublacense e jennese il luogo prediletto dei suoi tredici monasteri. Se ad ovest dei monti Talèo e Francolano ne furono da lui fondati sette più la casa madre di S. Clemente, ad est di essi invece vennero creati altri cinque monasteri, di cui quattro tra Subiaco e Jenne, e il quinto (Sant’Angelo, chiamato anche S. Salvatore di Comunacqua) al di là di quest’ultimo centro urbano in agro di Trevi, nei pressi della confluenza dell’Aniene con il Simbrivio.

E’ bene rilevare che alla stessa distanza tra Subiaco e Jenne,  nella valle dell’Aniene fu fondato il convento di S. Andrea “Vita Aeterna”. In verità S. Andrea è molto venerato in questi luoghi. Egli, fratello di S. Pietro, fu il primo apostolo ad accettare l’invito di Gesù a seguirlo.  S. Andrea infatti viene venerato sia a Subiaco nella concattedrale a lui dedicata, sia a Jenne nella grande chiesa parrocchiale che porta il suo nome.

Nella valle dell’Aniene S. Benedetto in verità tentò un’ esperienza di vita cristiana alternativa a quella vigente, in cui la fratellanza, la preghiera, la bellezza, il silenzio, l’operosità, la pace e la contemplazione avrebbero dovuto essere vissute nel modo più radicale e autentico, per rendere veramente dignitosa la vita umana e per iniziare a pregustare quella che sarebbe stata, dopo la morte, la vita del paradiso.

E la Chiesa di S. Andrea “Vita Aeterna” nel cuore della valle sembrava proprio lì a testimoniare  con il nome del Santo questa preparazione alla chiamata di Dio, mentre  con la denominazione “Vita Aeterna” la ricompensa del Signore a coloro che rispondono dovutamente e santamente al suo appello.

E’ probabile che tutto ciò l’avremmo meglio compreso percorrendo la strada più vicina all’Aniene, la quale si avvicina ai luoghi  più frequentati da san Benedetto.

Quando attraverso la via dei trafori si giunge a Jenne, dove c’è la sede di riferimento del Parco dei Monti Simbruini, lo sguardo rimane colpito nel vedere le sue case abbarbicate lungo lo sperone roccioso su cui si erge il Castello della Rocca, a dominio dell’alta valle dell’Aniene. Per la verità Jenne mi è apparsa come l’immagine di un presepe naturale, come un luogo di bellezza che può apparire ingenuamente in un sogno, come qualcosa di immacolato  che non ha subito violenze.

Mi sono poi balenate in mente due cose. La prima cioè la definizione che di Jenne dette il Fogazzaro nel suo romanzo “Il Santo”: la “greggia di casupole che il campanil governa”. La seconda,  cioè  “la Ripa” di Agnone, a cui ho associata la spianata jennese in cui si trova il castello della Rocca.

Accanto ad esso e più precisamente nel piazzale antistante la chiesetta della Madonna della Rocca, dal 1996 si trova solenne il busto di papa Alessandro IV (1254-1261), nato, secondo diversi studiosi, a Jenne proprio nel Castello.

Fu un papa mite, lodato per la sua pietà e bontà, non propenso a lotte o a guerre, che preferiva evitare, anche se il suo nome scelto da Papa faceva pensare a tutt’altro. Forse lo scelse per augurarsi di avere  da Dio una maggiore forza spirituale.

C’è qualcosa di comune nella storia di Subiaco e Jenne: ambedue godono della bellezza della Valle dell’Aniene, tutte e due hanno una Rocca che è stato sotto il dominio dei Borgia, tutte e due hanno avuto un papa con lo stesso nome, Alessandro VI a Subiaco, Alessandro IV a Jenne. E se si pensa al culto di Sant’Andrea che li accomuna si potrebbe dire che sono cittadine sorelle.

E’ stata più che piacevole la visita di Jenne, rendendoci conto delle attraenti caratteristiche del suo borgo antico. E’ certamente un luogo dove ci si augura di ritornare.

Poi abbiamo preso la strada in direzione di Subiaco. E mentre ripercorrevamo a ritroso la già ammirata  bellezza silvestre di questa via, rientrando e riuscendo ancora una volta dai trafori, ci si convinceva sempre più  di essere stati a contatto con un ambiente le cui immagini  andavano a collocarsi in quella parte della nostra memoria, che contiene e conserva gelosamente i ricordi più  cari e più belli.

 

 

 

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