Vincenzo Viccari patriota risorgimentale per l’Italia una e libera

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«Voi lo sapete che si dice di noi Napoletani? Si dice che siamo un popolo di molto soliloquio e di nessuna azione, si dice che da noi si critica, si ragiona, si irride, ma che non si opera mai, che quasi tutte le nostre cose, belle che siano, rimangono vani e non effettuati progetti.  Perció bisogna uscire dalle nebbie del tedio e, senza lusingare, senza dare alle popolari illusioni fatale nutrimento, operare subito ed energicamente.

Operare senza infiacchire il bene col tormentoso desiderio dell’ottimo, col desiderio di approdare all’isola dell’utopia. L’età dell’oro è un delirio, o Signori. Operare nel limiti del possibile, dell’attuabile.»

E proponeva concretamente una Banca Mutua-Popolare, di cui si offriva come primo, generoso sottoscrittore, essendo un grande, ma operoso, proprietario terriero, che si era laureato in giurisprudenza all’Universita di Napoli ed aveva una rara cultura a tutto campo, classica e moderna, letteraria, filosofica e insieme economica e politica.

E proponeva Viccari anche altro, come la valorizzazione delle Terme di Suio e la unificazione dei due Comuni di Castelforte e di Santi Cosma e Damiano, (così uniti urbanisticamente da non accorgersene ancora oggi, percorrendoli, della loro divisione amministrativa, con municipi distanti nemmeno un chilometro in linea d’aria, e stretti da secolari, per non dire millenari rapporti di parentela, di comuni storie e memorie, come si riscontra in tanti altri casi in Italia).

 

E scriveva ancora: «L’Italia è fatta, come diceva Massimo d’Azegio, ma gli Italiani sono da fare.Difatti ancora non si è in noi cancellato quel marchio di servitù, che con ferro rovente hanno impresso sulla nostra fronte stranieri e tiranni. Ancora non ci siamo temperati a liberi costumi. Ancora non possiamo dire con Monsignor Della Casa (autore del ‘Galateo’ edito nel 1558)

“Io onoro la vita mia non colle parole altrui, ma colle opere mie.” Ancora rimaniamo tremebondi e smarriti innanzi a chi con studiato sorriso, con furba stretta di mano, con esagerate e mai effettuate promesse, fa baratto del nostro più sacro diritto, il voto. Ancora serviamo di corruzione a coloro, cui la Nazione affida il nobilissimo incarico di applicare agli umani falli la legge, il nobilissimo incarico della pubblica tranquillità, perché costoro invece di trovarsi in mezzo a liberi cittadini, si trovano sempre circondati da timidi schiavi, pronti a leccare il braccio di chi li percuote...”.

Sferza a sangue i colleghi proprietari egoisti e insensibili a fare il bene sociale, a sollevare le sorti di chi è misero, è povero, a riempire il loro cuore di gratitudine, che poi parlano di amor di Patria solo a parole e non con fatti.

“Faremo noi questo? No: ed allora cessiamo di fare gli apostoli, di profanar ció che l’Italia ha di più sacro, indipendenza, Patria, libertà, Vittorio, Cavour, Mazzini, Garibaldi; lasciamo di profanare tutto ció, ma invece facciamoci a sopportare come meritata la terribile sentenza ‘Non meritó di nascere/ chi nacque sol per sè.’(traduzione di Metastasio di un passo dell’opera di Cicerone ‘Sogno di Scipione). Il vero liberale è quello che ama e pratica il libero vivere e vuole e si impegna affinché ne godano tutti i suoi simili.»

Conosceva bene Viccari il complesso problema del rapporto tra capitale, costo del lavoro, fisco. Diceva essenzialmente «..quando il salario non serba l’equazione che il capitale consenta, il capitale è distrutto ed il lavoro è finito...sino a che il Governo non rinsanguinerà l’attività economica, il rialzo del lavoro è impossibile. I mezzi di aiutarlo non piovono dal cielo.»

Da un lato la miseria, dall’altro il fisco che incalza e carpisce i profitti di imprese esposte poi anche alla concorrenza straniera.

Accanto al valore del lavoro, Viccari additava anche quello del sentimento della proprietà da destare, favorire, diffondere con la tenacia ed il risparmio, aiutati da istituzioni, come la citata Banca Mutua Popolare, che puó assicurare risparmi e prestiti.
Vincenzo Viccari (Santi Cosma e Damiano, LT, 1828-1910),è una singolare e alta figura del Risorgimento di Terra di Lavoro, entusiasta dalla gioventù dell’indipendenza della Patria dallo straniero e della cacciata dal trono di tiranni assolutisti, illiberali, clericali.

Parti volontario nel 1848 da Napoli per la Lombardia con la nave della patriota milanese Cristina di Belgioioso, per combattere contro gli Austriaci e fu ferito in combattimento nel Tirolo. Tornato a Napoli, fu sotto sorveglianza poliziesca borbonica fino al 1860 insieme al fratello Giuseppe, che fu costretto al domicilio coatto a Roccamonfina.

Dopo l’Unità fu a capo della numerosa locale Guardia Nazionale, collaborando con l’Esercito Italiano nella lotta contro la piaga del brigantaggio, contribuendo così ad estirparlo. Fu anche consigliere provinciale di Terra di Lavoro, che era allora grande come una regione, comprendendo oltre i paesi dell’attuale Provincia di Caserta anche paesi del distretto di Gaeta (ora in provincia di Latina), di Sora (ora in provincia di Frosinone), di Nola (ora in provincia di Napoli).

Viccari fu amico di diverse personalità provinciali e nazionali, come ad esempio Francesco De Sanctis.

Un primo profilo di questa singolare e preziosa figura risorgimentale  è stato portato a termine da Giuseppe Ionta, con prefazione del prof. Nilo Cardillo, dal titolo Vincenzo Viccari un Patriota per l’Unità d’Italia e per l’unificazione dei Comuni di Castelforte e Santi Cosma e Damiano, Castelforte (LT)  2018, pp. 149, e merita diffusione e lettura, contenendo documenti quasi spariti dalla memoria e dalla circolazione, come i discorsi stampati a Napoli nel 1889 (dai quali sono state tratte le citazioni) e l’intervento in Consiglio Provinciale del 1899 stampato a Caserta per la costruzione della strada Castelforte-Terme Minerali di Suio (che si riuscirà a tracciare nel 1911).

 

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