Un esempio di errore storico. Mameli a Porta Pia

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Pubblicato Lunedì, 28 Gennaio 2019 09:29
Scritto da Marco Vigna
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La storia è materia di sterminata vastità e d’alta complessità, che si differenzia non solo spazialmente e cronologicamente, ma anche per aree settoriali come la storiografia politica, economica, sociale, militare, religiosa etc.

Le sue dimensioni sono tali da impedire ad uno storico, anche il migliore, la conoscenza piena e totale persino della vita di una sola, singola persona. Basti ricordare quante biografie siano state scritte su Napoleone od Hitler, senza che l’argomento possa dirsi esaurito.

Si è calcolato che non basterebbe una vita intera per leggere una volta i soli documenti amministrativi della sola Francia  e del solo 1793. Come ha autorevolmente osservato Mircea Eliade, massimo storico delle religioni, per la stragrande maggioranza degli studiosi l’ambito d’indagine e di ricerca è molto limitato e circoscritto, a causa dell’immensità del materiale, ciò che rende necessaria una lunga ed accurata preparazione per poter affrontare adeguatamente un singolo tema.

Questo aiuta a comprendere perché talora si abbiano errori storici che potrebbero parere banalmente evitabili. Alcuni giorni addietro un noto quotidiano nazionale ha pubblicato un articolo in cui si sosteneva che Goffredo Mameli avrebbe partecipato alla presa di Porta Pia (sic!) nel 1848 (sic!) assieme a Garibaldi (sic!).

 

Dopo la pubblicazione del pezzo, prima che esso fosse modificato da chi s’era avveduto degli strafalcioni contenuti, esso recitava: «Goffredo Mameli visse solo 22 anni, la prima metà dei quali a letto malato.

Aveva una vena poetica non comune, e dalla madre, amica di gioventù di Mazzini, fu coinvolto emotivamente nel contesto storico degli anni che precedettero i moti risorgimentali del 1848, ai quali partecipò poi anche come combattente morendo, al seguito di Garibaldi, durante la presa di Porta Pia.»

Sono così riportati quattro errori in due frasi:

1) la presa di Roma da parte del regno d’Italia ovvero la fine del potere temporale del papa, ciò che è indicato con l’espressione abbreviativa di “presa di Porta Pia”, avvennero, è superfluo dirlo, nel 1870, non nel 1848;

2) Garibaldi non combatté a Porta Pia, che fu compito esclusivo dell’esercito regolare;

3) Goffredo Mameli era morto nel 1849;

4) Mameli e Garibaldi combatterono assieme nel 1849, non nel 1848.

Questi sono errori storici di tipo fattuale, presumibilmente dovuti alla confusione fra la presa di Porta Pia del 1870 e la proclamazione della Repubblica Romana del 1849, che fu abbattuta da un esercito francese su sollecitazione papale, nonostante la strenua difesa dei patrioti italiani fra cui appunto Garibaldi e Mameli.

Uno sbaglio non solo fattuale, ma anche concettuale si ritrova nel medesimo articolo quando viene detto che re Carlo Alberto avrebbe aperto le ostilità contro l’Austria imperiale adottando l’inno di Mameli:

«L’inno con il quale Carlo Alberto aprì la prima guerra d’Indipendenza», è scritto nell’articolo. In realtà, il Canto degli italiani o Fratelli d’Italia, sebbene conosciuto e decisamente popolare, non aveva però alcun carattere di ufficialità nel regno di Sardegna.

Nel 1848 il canto musicale del regno di Sardegna era il solenne Inno sardo, recitato proprio in sardo, mentre la marcia d’ordinanza dell’esercito era la Marcia reale, destinata a divenire l’inno ufficiale del regno d’Italia anni più tardi.

L’opera del Mameli sarebbe stata inadatta per queste funzioni ufficiali dello stato sabaudo perché aveva implicitamente contenuti repubblicani e comunque estranei all’universo mentale ed ideale della monarchia di Savoia.

Anche qui è probabile che il giornalista sia stato indotto all’equivoco dall’adozione che Carlo Alberto fece del Tricolore nazionale italiano quale sua bandiera ufficiale.

Questi abbagli, certo evitabili anche soltanto attraverso una rapida navigazione in Rete, dovrebbero ammonire sulla necessità di un bagaglio conoscitivo strutturato, articolato e stratificato, laddove purtroppo anche le istituzioni scolastiche sovente conducono alla frammentarietà e dispersione delle nozioni trasmesse.

Anche se le inesattezze di questo articolo sono piuttosto ingenue, va aggiunto che neppure gli storici professionisti possono evitare del tutto gli errori e che lo sbaglio, come il demonio Titivillus  che nel Medioevo era creduto tormentare gli amanuensi per indurli ad imprecisioni e pecche di scrittura, è sempre in agguato.

È agevole rendersi conto di questo nella lettura di riesami dello status quaestionis su temi storiografici dibattuti e controversi, in cui esistono molte interpretazioni diverse o proprio opposte, fra cui frequentemente anche teorie un tempo gloriose ed ormai abbandonate perché anacronistiche.

Giusto per citare un esempio fra gli innumerevoli possibili, il raffinato saggio di Eva Cantarella I supplizi capitali in Grecia e a Roma [Milano 1991] nella sua esposizione affronta di mano in  mano una serie di questioni assai discusse, esaminando comparativamente le diverse ipotesi proposte in passato e giungendo a conclusioni strettamente argomentate su base logica e documentaria che sovente divergono da quelle di studiosi di valore.