L’Unità d’Italia si fece anche a tavola. E se il torinese Camillo Cavour fu il padre politico del Risorgimento, il toscano-romagnolo Pellegrino Artusi, nato a Forlimpopoli (1920) e cittadino di Firenze, fu l’eroe della gastronomia nazionale.
L’inventore indiscusso della tradizione culinaria italiana, che diede coesione al confuso “mosaico” delle cucine regionali e pose un argine culturale all’imperante francofilia dei nostri cuochi.
Se l’Italia è conosciuta nel mondo anche per la pastasciutta, oltre che per le città d’arte e il patrimonio storico, lo si deve in gran parte al saggio di Artusi La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene.
Pubblicato per la prima volta nel 1891 a spese dell’autore "pei tipi dell'editore Landi", ha contribuito a “fare gli italiani” quanto i libri Cuore, Pinocchio e I promessi sposi. Centomila copie vendute in pochi anni.
Cose impensabili per l’Ottocento. E infatti nel 1931 l’ "Artusi" era già giunto a quota 32 edizioni. Con traduzioni in inglese, tedesco e francese.
Il manuale raccoglie 790 ricette, dai brodi ai liquori, passando attraverso minestre, antipasti (anzi "principii"), secondi e dolci.
Il segreto del successo del paffuto signore romagnolo è l’approccio didattico delle sue istruzioni sulle virtù culinarie, l’igiene alimentare ed il buon gusto.
«Con questo manuale pratico – scriveva - basta si sappia tenere un mestolo in mano.»
E ancora: «La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria.»
Ma Artusi era anche un fine letterato, che non si limitava ad esaltare l’arte del cucinare e il piacere del mangiare. Di qui gli aneddoti personali, le dissertazioni ironiche e le citazioni dotte dalla Divina Commedia di Dante, in uno stile arguto e conviviale.