1799. Il memoriale di un esule anonimo
Forse fu un giovane patriota l’autore di questo Compendio istorico della rivoluzione e controrivoluzione di Napoli in cui l’elemento fondante è di natura umana; la Repubblica, nella sua analisi, presentava un «quadro interessante di delitti e di virtù: gli uni generati dal dispotismo e dalla religione; e le altre dalla filosofia e dall’amore della libertà..[…] Napoli, il bel paese, che per la fertilità del suolo, l’amenità del clima, la beltà del cielo ed incantante situazione, sembra creato dalla natura per formare la delizia e felicità degli abitanti, erasi ridotto a tale rovina per opera di un governo, che avea per base la perfidia, per politica la mala fede, per volontà il capriccio, e per morale la corruzione, che facea generalmente desiderare un cambiamento.» Da parte della storia, da sempre la difesa del potere avviene per mano di chi lo detiene; ma il delirio vendicativo di Ferdinando IV culminò nell’ecatombe dei cui bagliori furono inondati gli anni della restaurazione e la prima metà del secolo XIX.. Se i rivoluzionari napoletani, quando liberarono i nemici li trattarono da esseri umani, il Borbone, durante la repressione spronò i suoi giudici a fare più casecavalli che potessero, e cioè ad appendere alle forche quante più persone fosse possibile, alla stregua di formaggi a forma di grandi pere appesi ad asciugare. La distanza tra l’etica della classe colta e aristocratica dalla quale era uscita una parte importante della rivoluzione napoletana, e la grettezza violenta e cinica di Ferdinando IV, produsse le giornate feroci del 1799, ma sparse anche i germi della dissoluzione della dinastia. L’autore del Compendio racconta di giornate passate nel fondo di una nave ancorata nella rada, e descrive le condizioni atroci in cui vennero tenuti i prigionieri nelle carceri: 24 ore senz’acqua, implorando le guardie di urinare attraverso i cancelli per placare la loro l’arsura. Ma nemmeno questo veniva concesso. Condizioni bestiali, ai limiti della sopravvivenza. E lui stesso fu un sopravvissuto scampato alla forca, un patriota che non aveva avuto il tempo di crescere in quei pochi mesi convulsi, vissuti tra il delirio, l’entusiasmo, delusione e tradimenti. La necessaria osservanza dell’atto di morte che dovette sottoscrivere prima di essere estradato, e il ritrovamento del manoscritto presso la Biblioteca Nazionale della Francia, lasciano presumere che l’autore abbia compilato il memoriale durante l’esilio, un allontanamento forzato, doloroso e avvilente, che i patrioti napoletani subirono a partire dalla fine dell’agosto del ’99. Privi di ogni bene di sussistenza, furono costretti a mendicare aiuti dai ‘fratelli’ francesi. Ma il soccorso non fu pari a i bisogni, né la grande patria della libertà si prodigò in loro favore. Forse per l’insorgere di altri eventi, il memoriale si conclude in una data imprecisata dell’estate ’99, con i protagonisti che la rivoluzione e la reazione avevano presentato fino ad allora. Ciononostante l’autore manifesta lucidità, capacità di sintesi, analisi e notevole indipendenza di giudizio, evidenziando i limiti del nuovo Governo nel conflitto tra il legislativo e l’esecutivo. L’autore conclude: «Perimmo, ma dimostrammo all’Europa che avevamo diritto ad esser liberi.»
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