Filangieri e la scelta degli intellettuali napoletani di fine Settecento
La storiografia si è spesso interrogata su quale sia stato il determinante ‘punto di rottura’ che condusse una donna come Eleonora Pimentel Fonseca e gli altri intellettuali napoletani di fine Settecento, vicini ai sovrani, ad optare per la Repubblica. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789, che compendiava i princìpi della Rivoluzione Francese, e la successiva proclamazione della Repubblica in Francia il 21 settembre 1792, rappresentarono dei momenti storici fondamentali per gli intellettuali napoletani che si erano già formati primariamente su una tradizione culturale maturata sul pensiero di Gaetano Filangieri, autore di quella Scienza della Legislazione, che aveva già costituito un forte riferimento per la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776. La formazione di una cultura politica nel Settecento riformatore italiano dunque precede la Rivoluzione francese del 1789. Gaetano Filangieri, che era morto un anno prima, aveva avuto modo di interloquire con i repubblicani americani, in particolare con Benjamin Franklin, l’uomo di Stato e filosofo americano, a cui, già il 24 agosto 1782, aveva inviato una copia della Scienza della Legislazione, un’opera di ben otto volumi, in cui si sosteneva la libertà dei cittadini di scegliere i propri governanti e il primato della legge contro gli arbìtri delle monarchie assolute, che si basavano su un Antico Regime feudale di privilegi e conseguente divisione dei sudditi in vari e distinti ceti sociali.
Filangieri, invece, precisava che la natura non aveva fatto gli uomini per essere il trastullo di pochi potenti, ma aveva dato loro tutti i mezzi necessari per essere liberi e felici. Proprio a Napoli, quindi, e prima della Rivoluzione francese, era nata quella Scienza della legislazione che avrebbe influenzato profondamente gli intellettuali e filosofi, europei ed americani, decisi ad un’opera riformatrice. Goethe rilevò un filo di continuità tra il pensiero di Giambattista Vico e quello di Gaetano Filangieri. «Fin da principio – scrisse - Filangieri mi aveva fatto conoscere un antico scrittore della cui sapienza senza fondo questi moderni giuristi italiani vanno quanto mai lieti e superbi. Il suo nome è Giambattista Vico». Quindi, come è stato notato anche da Franco Venturi, una delle matrici fondamentali della Repubblica Napoletana non fu il giacobinismo, a cui impropriamente si fa riferimento, ma un repubblicanesimo che venne da lontano ed ebbe radici ben solide nell’illuminismo napoletano ed italiano. Mentre il repubblicanesimo classico accomunava gli illuministi italiani e quelli francesi, la peculiarità della storia italiana va, dunque, individuata nel fatto che il repubblicanesimo delle città medievali presente in Italia fu assente nella tradizione francese. In particolare il Mezzogiorno d’Italia diventava, grazie soprattutto a Antonio Genovesi, Pietro Giannone, Gaetano Filangieri il laboratorio di una selezione della classe dirigente che avrebbe portato all’esperienza della Repubblica Napoletana, ove si sarebbero incontrate le varie anime religiose e laiche del Settecento riformatore. Costoro provenivano da ceti sociali diversi dell’apparato statale e delle istituzioni religiose, accomunati soprattutto dal fattore generazionale, con una presenza consistente di ecclesiastici, legati alla tradizione dell’anti-curialismo e del giansenismo, di giovani nobili che avevano fatta propria la cultura illuministica non solo francese, ma prettamente napoletana, ossia di quelli che lo studioso Vincenzo Ferrone chiama i ‘Profeti dell’Illuminismo della scuola filosofica napoletana’. Oltre a Genovesi, Giannone, Filangieri, vanno ricordati Gian Battista Vico, Mattia Doria, Ferdinando Galiani, Domenico e Francesco Antonio Grimaldi, e ovviamente Mario Pagano, che prima di salire sul patibolo di Piazza Mercato, era stato non solo il ‘maitre a penser’ della cultura filosofica e politica napoletana, ma colui che aveva dato la sua impronta fondamentale alle idealità della democrazia repubblicana nella prassi politica. Questi grandi uomini avevano ricercato anche un interlocutore nella monarchia borbonica, considerando il ministro Bernardo Tanucci il vero punto di riferimento, prima che lo stesso Filangieri ritenesse non più praticabile un’interlocuzione con la monarchia, in un periodo storico in cui si aspirava a diventare cittadini e non più sudditi. E così la costruzione di una società ‘libera e giusta’ fondata sui diritti dell’uomo fu ipotizzta dal Filangieri nell’ambito di una forma di governo che necessitava di tagliare i ponti definitivamente con l’Antico Regime e proporsi in forma repubblicana, di cui la tradizione italiana poteva a buon ragione sentirsi fiera, anche rispetto a quella francese. Si trattava – citando lo stesso Filangieri – di percepire la «patria come istituzione politica, comunità repubblicana di uomini liberi, soggetti alle sole leggi che essi si sono date». Filangieri avrebbe trovato un interlocutore ideale in Benjamin Franklin, l’uomo che scrisse la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, il padre costituente degli Stati Uniti d’America, il quale si ispirò a lui per il nuovo ‘repubblicanesimo dei moderni’ in cui si ravvisano radici illuministiche della cultura democratica e repubblicana più pregnanti in relazione alla formazione politica dei rivoluzionari repubblicani napoletani, rispetto all’apporto del repubblicanesimo antico e delle istituzioni di ascendenza repubblicana classica. E’ pur vero che l’uomo di punta del rivoluzione napoletana del 1799, Mario Pagano, studiò con attenzione le istituzioni repubblicane classiche, ma la formazione ideologia dei democratici repubblicani del 1799 fu influenzata soprattutto dal repubblicanesimo dei moderni in un’ottica di sviluppo del pensiero repubblicano italiano, legato alla tradizione dei diritti universali di libertà e uguaglianza, che ebbe il suo apogeo con la grande figura del Filangieri. Dal carteggio fra Gaetano Filangieri e Benjamin Franklin emerge l’elevata fiducia che il filosofo e giurista napoletano ripose nei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, a cui guardava con l’esplicito desiderio di lasciare definitivamente la pur amata Napoli. Come ha osservato Maria Antonietta Macciocchi, dal loro scambio epistolare si evince chiaramente un desiderio esplicito da parte del grande giurista e filosofo napoletano di dare nelle Province Unite d’America un’attiva collaborazione alle leggi di questo Nuovo Stato, fin dall’anno 1782. Filangieri esprimeva altresì l’auspicio di potervi esser parte: «Tutti i miei voti sono diretti a ritrovare una situazione analoga al mio carattere. Fin dall’infanzia, Filadelfia ha richiamato i miei sguardi. Io mi sono abituato a considerarla come il solo paese ove io possa esser felice cosicché la mia immaginazione non può disfarsi di questa idea». Inoltre, esternava i suoi sentimenti repubblicani in maniera quasi disperata, scrivendo a Benjamin Franklin: «La presenza di un re, e il contatto con i cortigiani mi imbavaglia e mi tormenta […] Giunto che sarei in America, chi potrebbe mai ricondurmi in Europa? La mia anima, abituata alle delizie di una libertà nascente, potrebbe mai adattarsi più allo spettacolo di un’autorità onnipotente depositata nelle mani di un solo uomo, e, dopo aver conosciuto e apprezzato la società dei cittadini, potrei io desiderare il consorzio dei cortigiani e degli schiavi? No, non sdegnate, o rispettabile uomo, di cooperarvi per la mia felicità; riuscendovi […] toglierete da una corte uno schiavo inutile, per farne un cittadino virtuoso».
Bibliografia: F. Venturi, Illuministi italiani. Riformatori napoletani, tomo V Milano - Napoli, 1962 M. A. Macciocchi, Cara Eleonora, Milano, 1993. V. Ferroni, La società giusta ed equa. Repubblicanesimo e diritti dell’uomo in Gaetano Filangieri, Bari, 2008. |
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