Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Cesare Paribelli un lombardo dai forti legami con Napoli

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Nel mare di rimozione collettive anche i precursori ‘letterali’ della Repubblica Italiana ‘una e indivisibile’ sono stati e restano dimenticati.

Uno di questi è Cesare Paribelli (Albosaggia, Sondrio 1763 - Milano 1847), di origini aristocratiche, nato in Lombardia, ma che trascorse in a Napoli e Sicilia diversi anni della sua vita.

Studió in gioventù a Vienna, poi si arruoló nel 1781 nelle guardie svizzere del Regno di Napoli, e nel 1788 fu successivamente al servizio del vicerè di Sicilia, tornando a Napoli nel 1790, in qualità di capitano, a 27 anni.

Con lo scoppio della Rivoluzione Francese del 1789 divenne un fervido repubblicano e fu tra quelli che simpatizzavano per la Francia, costituirono circoli di orientamento democratico e subirono poi persecuzione e morte, come i primi Martiri Napoletani e Italiani del 1794, De Deo, Vitaliani, Galiani.

Paribelli fu arrestato già nel 1793, condannato nel 1795 e tenuto in carcere fino alla proclamazione della Repubblica Napoletana del gennaio 1799.

Fu tra gli uomini di governo della Repubblica, vicino a Lauberg e collaboratore del grande generale repubblicano francese Championnet, fu tra i fautori più decisi dell’abolizione del regime feudale, ancora vigente.

Nella fervida e libera Napoli repubblicana fu autore della prima traduzione italiana (iniziata nel 1798 nelle carceri borboniche) del memorabile libro sulle origini della tirannìa (quindi messo da secoli nell’indice dei libri proibiti) dell’umanista francese Étienne de la Boétie, amico intimo di Montaigne, ‘La servitù volontaria’ (1576).

Per aver fatto parte della delegazione che partì da Napoli per chiedere ai governanti francesi di non ritirare il loro contingente, non fu coinvolto nelle vendette e nelle stragi borboniche.

Sulla base delle dolorose esperienze, che posero fine alle Repubbliche Cisalpina, Napoletana, Romana (solo la Ligure sopravvisse eroicamente per un altro anno), scrisse un indirizzo al Governo francese per far nascere, proclamare una Repubblica italiana (letteralmente ‘Italica’) indipendente, una e indivisibile, alleata fraterna indissolubile della Repubblica madre francese.

Scrisse (e il documento fu sottoscritto da diversi patrioti esuli) l’Indirizzo ai Francesi per la proclamazione della Repubblica Italica (1799), che in francese fu presentato, con altri due, al Direttorio il 1 agosto 1799 dal deputato della sinistra Briot.

Esso, tra meditate considerazioni su limiti ed errori, diceva tra l’altro che la proclamazione renderà «all’anima italiana l’energia, di cui le parti disperse e separate sono prive, proponendo loro una molla potente ed un segno determinato, cioè la Repubblica Italica... Noi vi proclameremo nostri liberatori e troverete in noi degli alleati e degli amici fedeli e pronti a tutto.

Noi saremo rivali vostri in coraggio e amor Patriottico. Noi imiteremo i vostri sublimi esempi; e la prospettiva della nostra indipendenza e della nostra felicità diventerà contagiosa per gli altri popoli, che vorranno partecipare dei nostri felici destini...Legislatori e Direttori, osate alfine di soddisfare il voto universale dell’Italia e di proclamare la sua indipendenza e la sua riunione, il di cui centro esiste già nella santa energia dei figli del Vesuvio, nello spirito repubblicano dei montanari Liguri, nello sdegno invano ritenuto dei figli dell’infelice Venezia, e nella disperazione di tutti i rifugiati Piemontesi, Romani e Toscani...Legislatori e Direttori del Popolo francese, parlate e la Repubblica Italica esisterà.

Un’assemblea Nazionale e un governo provvisorio, riuniti in Firenze nel centro dell’Italia, saranno un invito a tutti gli abitanti di queste belle contrade...la Repubblica Italica, Indipendente, Una, Indivisibile venga prontamente e solennemente proclamata».1

Nella successiva lunga età napoleonica, che vide anche la realizzazione, auspicata da Paribelli, pur limitata territorialmente (ma già col tricolore), di una ‘Repubblica Italiana’ (26 gennaio 1802-26 marzo 1805), anch’essa rimossa dalla memoria collettiva attuale, e del ‘Regno d’Italia’ (fino al 25 maggio 1814), Paribelli ebbe diversi ruoli direttivi, amministrativi e militari, pur restando in sospetto di Napoleone, che vedeva in lui sempre ‘il rivoluzionario di Napoli’.

Col il ritorno degli Austriaci nel milanese nel 1814-1815, visse emarginato come colonnello in pensione fino alla morte, pur mantenendo i contatti con ambienti della Carboneria e dell’opposizione politica ed ebbe vicini al suo letto di morte a Milano il 21 marzo 1847, i vecchi amici di idealità democratica e repubblicana Carlo Caimi e Pietro Varese.2

 

 

Note

1. Cesare Paribelli, Indirizzo ai Francesi per la proclamazione della ‘Repubblica Italica’(1799), a cura di Lauro Rossi, La Città del Sole, Napoli, 1999, pp.16,17,18,19.

2. Paolo Conte, Cesare Paribelli, voce del Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, Roma, 2014.

 

 

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