Osservazioni sul totalitarismo di Rousseau

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Categoria: Storia XVIII sec.
Creato Giovedì, 19 Luglio 2018 15:41
Ultima modifica il Giovedì, 26 Luglio 2018 22:41
Pubblicato Giovedì, 19 Luglio 2018 15:41
Scritto da Giovanni Cardone
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Secondo alcuni interpreti di Rousseau, e particolarmente Augusto Del Noce, il concetto di “Rivoluzione” espresso dal filosofo rappresentava la liberazione, per via politica, dell'uomo dall' ‘alienazione’ a cui si trovava costretto dagli  ordini sociali.

Sostituendo la politica alla religione sarebbe stato possibile realizzare la liberazione poiché il male era conseguenza della società, diventata soggetto di imputabilità, e non di un peccato originale.

L'elemento fondamentale era rappresentato dalla correlazione tra l'elevazione della politica a religione e la negazione del soprannaturale. In un tale contesto la Rivoluzione rappresentava quell'evento necessario per poter realizzare il passaggio dal regno della necessità a quello della libertà, generando un avvenire che gettava alle spalle la vecchia storia.

Nell’interrogarsi sull'origine di questa idea di “Rivoluzione”, Del Noce la coglie in un particolare aspetto del pensiero di Rousseau, la cui originalità sarebbe da individuare non solo nella negazione del peccato originale, ma nella possibilità di un ordine nuovo secondo natura.

In precedenza il rigetto del dogma della caduta originaria, era avvenuto in connessione con l'idea delle religioni utili per mantenere l'ordine sociale esistente.

Gli elementi che accomunano l'autore del Contratto sociale con la philosophie illuministica, secondo Del Noce, si colgono nell’identità di vedute rispetto alla cultura del passato e soprattutto nella riabilitazione  della natura umana che comporta la critica della situazione dell'uomo considerata in funzione del peccato originale.

Da questi presupposti Del Noce trae la tesi del "pelagianismo" di Rousseau, che consiste nell’affermazione di Dio, della libertà e dell'immortalità,  accompagnate però dalla negazione del peccato e della grazia. Data la bontà originaria dell'uomo, il male lo si spiega attraverso un riferimento a uno stato artificiale di società. La "liberazione religiosa" finisce per sostituirsi la "liberazione politica”.

I dogmi della Caduta e della Redenzione sono trasferiti sul piano dell'esperienza storica. La Grazia divina soccorre la natura umana decaduta a causa del peccato di Adamo, così la natura cui fa riferimento Rousseau offre la possibilità di salvezza per "l'uomo storico".

In tal modo, osserva Del Noce, prende forma una particolare accezione della Caduta. La posizione di Rousseau si contraddistingueva per il fatto che in essa non venivano accettati né il dualismo platonico, né tantomeno la concezione cristiana.  

Secondo Platone il male era riconducibile alla prigionia dell'anima nel corpo, mentre nella concezione cristiana l'origine del male rinviava al peccato originale, effetto di un cattivo uso della libertà.

In tale concezione vale il principio che l'uomo, affetto dall'infirmitas conseguente al primo peccato, non poteva salvarsi da solo, ma necessitava del soccorso della Grazia. In questo caso, il peccato originale subiva una torsione in senso secolarizzante privo di "carattere morale", ma piuttosto "storico-fatalistico": l'uomo, uscendo dallo "stato di natura" e dando origine alla storia, aveva imboccato una "falsa via" in cui era stato centrale il ruolo del caso e il carattere imprevedibile delle conseguenze di eventi e scoperte di cui era oggettivamente impossibile intuire gli sviluppi futuri.

Quindi, non c’è colpa, ma errore, per cui “la natura  dell’uomo è  restaurabile”. Deriva dunque da questa osservazione l’opposizione fondamentale presente nel pensiero rousseauiano tra natura e storia, da intendersi, secondo Del Noce in rapporto alla contrapposizione che il pensiero religioso e la teologia del '500 e del '600 ponevano tra grazia e natura.

In tal senso si chiarisce il ruolo che, per Rousseau, avrebbe dovuto svolgere la "natura" nei confronti dell' "uomo ‘storico’" . Da ciò il compito fondamentale della politica di "riportare la natura nella società, cioè di "fare una società secondo natura".

Da qui ha origine anche la tesi del carattere necessario della rivoluzione, che consente di iniziare una nuova storia, “conforme a natura” e si origina altresì l'idea dell' "impegno religioso" della politica, culminante nella "sostituzione della politica alla religione nella liberazione dell'uomo".

L'aspetto fondamentale è comunque, che la religione non viene risolta nella politica quest'ultima, piuttosto, non potrebbe adeguatamente essere fondata senza il riferimento alla sfera religiosa, nella quale, come Rousseau più volte ha ricordato, va ricercata la base ultima della "virtù".

Qui, trova le sue basi il nucleo “totalitario” della sua filosofia politica.

Robespierre, che di Rousseau si sentì “interprete morale”, diede forma emblematica a questa spiegazione del male e all’attribuzione di un ruolo salvifico alla politica.

 

Bibliografia

A. Del Noce, Il problema dell'ateismo, Introduzione di N. Matteucci, Il Mulino, Bologna ,1990.