Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Castel Sant’Elmo, testimone silenzioso di assedi, prigionie e rivoluzioni

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I cambiamenti urbanistici della città di Napoli durante il periodo di don Pedro de Toledo furono studiati specialmente in base alla difesa che si era evoluta con le nuove tecniche di guerra e la maggiore potenza dell’artiglieria.

Simbolo della ricostruzione e del nuovo ruolo assunto dalla capitale fu il Castel Sant'Elmo, completamente ricostruito a partire dal 1537.

La storia del castello, in origine Palatium medioevale e poi Castrum,  risale al X secolo, quando alla sommità del colle di Sant’Elmo c’era una chiesa intitolata a Sant’Erasmo, il cui nome, trasformato prima in Eramo e infine in Elmo, è stato poi acquisito dalla collina e dal castello edificatovi.

Alcune fonti ne attribuiscono la costruzione a Roberto d’Angiò, che in realtà, nel 1329 ne avrebbe solo ampliata la struttura intorno ad una torre osservativa fatta erigere nel 1271 da Carlo d’Angiò.

Il castello, che dalla sua altezza dominava il mare, la città e i suoi dintorni ed era protetto da bastioni e fossati su tutti i lati, assunse la caratteristica e attuale forma di stella a sei punte, durante l’epoca vicereale di Carlo V di Spagna. Don Pedro de Toledo, allora vicerè, ne ordinò la ricostruzione secondo le regole militari del tempo, e fu denominato Castel San Erasmo.

Ma non appena i lavori furono ultimati un fulmine caduto sulla polveriera provocò ingenti danni.

 

Nuovamente rimaneggiato, il castello conserva oggi quella antica struttura: altissime mura con una contro scarpata tagliata nella roccia e intorno numerosi sotterranei. Nel mezzo vi è la piazza d’armi da cui il panorama spazia da Capodichino a Capodimonte e alla collina dei Camaldoli., con una incantevole vista sul golfo e sul Vesuvio.

Dall’altura la città era sotto la mira dei cannoni sia per l’attacco che per la difesa. Una cisterna d’acqua scavata nel monte. e grande quanto tutto il castello, garantiva la fornitura idrica a tutta la guarnigione e alle famiglie abitanti nella zona circostante.

Poco distante dal castello, nel 1325 Carlo d’Angiò aveva commissionato la costruzione della Certosa di San Martino che fu adibita a monastero dei certosini obbedienti alla regola di San Benedetto, ora et labora. I boschi da cui era circondata rendevano il luogo ideale per la meditazione e la preghiera.

Nel 1600 l’architetto Cosimo Fanzago ne curò i lavori di abbellimento, rendendo la Certosa uno dei monumenti più significativi del barocco napoletano. In periodi successivi tanti altri prestigiosi artisti hanno contribuito al suo pregio da Battistello Caracciolo a Luca Giordano, e poi il De Ribera, Stanzione, Vaccaro, Solimena e tanti altri ancora. L’entrata nella chiesa interna alla Certosa fa immergere il visitatore in uno dei capitoli più significativi della storia dell’arte del XVII e XVIII secolo.

Dopo un inesorabile abbandono seguito alla soppressione dei monasteri durante il periodo murattiano, la Certosa fu destinata a raccogliere i ricordi della storia napoletana, divenendo l’attuale museo nazionale.

Il castello, che ha avuto una lunga storia di assedi, racconta molte tappe significative delle vicende napoletane: dalla rivoluzione contro l’inquisizione spagnola introdotta da Don Pedro de Toledo, a quella di Masaniello cento anni dopo, quando durante i tumulti il vicerè  Ponca de Leon vi si rifugiò, colpendo la città  a  cannonate per sedare i tumulti.

Qualche anno, dopo durante la peste del 1656, vi trovarono rifugio molte persone scappate dal centro cittadino devastato dall’epidemia.

Nelle sue carceri sono stati tenuti prigionieri grandi personaggi da Tommaso Campanella ai rivoluzionari del 1799 e dell’epoca risorgimentale.

Particolarmente vivo è il ricordo che lega il castello alla breve ma intensa storia della repubblica napoletana del 1799. Qui i patrioti innalzarono il primo albero della libertà, proclamando la Repubblica Napoletana Una e Indivisibile. Tra quelle mura furono vissuti i momenti più gloriosi e drammatici i quella esperienza rivoluzionaria durante la quale Napoli vide morire sui patiboli la sua migliore intellighenzia per mano borbonica.

 

 

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