Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Le tormentate vicende dei cappuccini di Manduria

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Si deve alla predicazione in loco di fra’ Giacomo da Molfetta (Biancolino-Paniscotti, 1489-1561) l’arrivo dei frati minori cappuccini a Casalnuovo-Manduria .

Secondo lo storico mandurino Sac. Leonardo Tarentini, i frati sarebbero giunti in numero ristretto verso il 1660 ed avrebbero eretto, gradualmente, il convento e la chiesa che dedicarono alla Natività di Maria.

Quest’ultima fu consacrata con cerimonia solenne dal vescovo diocesano Tommaso Maria Francia il 18 Novembre 1703. (1)

Ben presto, la comunità crebbe di numero e fu necessario ampliare il convento e la chiesa, con l’aggiunta, sulla sinistra, di una seconda navata (demolita nella prima metà del secolo scorso, per far posto alla costruzione della nuova chiesa dedicata a S.Antonio da Padova) . 

 

Il convento, attualmente inglobato nell’ampliamento della prima metà del ‘900, ospitò il noviziato della provincia religiosa fino al 1750, poi trasformato in studentato. (2)

Inoltre, fu centro di un’importante attività manifatturiera di lavorazione della lana in quanto, secondo alcuni studiosi, «i primi centri di raccolta e di deposito della lana […]nel Cinquecento per la provincia ionica […] sono rappresentati dai lanifici de conventi de frati cappuccini di Francavilla Fontana, di Putignano, di Conversano e poi di Manduria. Da tutti indistintamente tali conventi parte la lana sudicia per una preventiva battitura e lavaggio alla volta di una località dal nome significativo, Battendiero.

Essa si trova a sei migli da Taranto ed è attraversata dal fiume Cervaro che scarica le sue acque fra il canale di Levrano ed il piano di Diulo, nel secondo seno del Mar Piccolo. Sulle sue sponde, nei pressi dell’orto del convento, sorge nel ‘500 l’officina con gualchiera dei padri francescani. Di qui riparte la lana lavata per i lanifici dei conventi, dai quali proveniva, come si è detto, ancora sudicia». (3)

Per tali ragioni, riferisce il Tarentini, «…si costruì dietro alla sacrestia un gran vano nel quale si collocarono i telai, affinché i frati lavorassero il panno necessario per tutta la loro provincia religiosa, aggiungendo immediatamente a questo un lavatoio per purgare ed annaspare la lana». (4)

Sempre secondo Tarentini «Fino al 1780 fiorì questo convento per ingegno e virtù…[…] Ma quanto di bene aveva prodotto questa casa di raccoglimento, di lavoro, di pietà, di scienza, doveva fatalmente restare offuscato dall’ultima pagina della sua storia». (5)

E, in ordine alle cause di questa fine “ingloriosa”, lo storico locale, con la vaghezza che lo caratterizza quando si tratta di affrontare argomenti delicati ed imbarazzanti,  soprattutto se riguardanti enti ecclesiastici, così si esprime:

«Si disse che quei frati si fossero occupati di affari governativi, che quella comunità avesse in seno dei carbonari, che anche nei costumi fosse decaduta.

Finalmente non tollerandosi più scambievolmente, quei frati, a mano a mano lasciarono il convento anche un anno prima della soppressione ultima […] Il convento rimase deserto: niuno più vi era che lo abitasse meno un Frate converso paesano».(6)

All’abbandono del convento, secondo l’autore, sarebbe seguita la sua spoliazione, avvenuta soprattutto con il saccheggio della ricca biblioteca e della chiesa.

Questa è, in sintesi, la rappresentazione che lo storico mandurino ha fornito degli ultimi momenti di vita della famiglia religiosa. Ma, per tentare di ricostruire la realtà dei fatti, anche alla luce di nuovi documenti da me rinvenuti, occorre procedere con ordine.

Innanzitutto, è necessario premettere che il convento cappuccino di Manduria era sfuggito alla prima soppressione degli ordini religiosi mendicanti del periodo dei napoleonidi e murattiano, in quanto l’Amministrazione Comunale dell’epoca, utilizzando la facoltà, concessa dalla legge, di mantenere una tra le comunità mendicanti presenti nel suo territorio, scelse i Cappuccini e la comunità fu salva per tutta la prima metà dell’800.

Senonché, sembra che una parte dei frati nutrisse simpatie per la carboneria e partecipasse, nella Chiesa dell’Immacolata, alle riunioni segrete che, in seguito, si sarebbero svolte proprio nel loro convento, all’epoca distante dall’abitato. Infatti, secondo lo stesso Tarentini, dopo un infruttuoso tentativo d’irruzione della gendarmeria borbonica nella Chiesa dell’Immacolata, gli associati «…che tutto annasavano innanzitempo, svignarono di là e fecero rotta pel convento dei Cappuccini». (7)

Chiesa di S. Antonio in ManduriaIn questa nuova sede, sarebbe accaduto che «i frati buoni, attempati, osservanti ebbero presto, s’intende, l’ubbidienza e raggiunsero altra destinazione; così la famiglia acquisto più libero campo allo smercio dei propri negozii». (8)

Tale situazione sarebbe, addirittura, culminata in un grave fatto di cronaca: «Un bel giorno si trovò schiacciato fra due gran sassi un povero sacerdote cappuccino in prossimità del suo convento. Che è, che non è, si parlò tanto, tanto si gridò, si disse, si congetturò su quel genere di supplizio, in conclusione il povero frate scese nella tomba con la macchia d’immorale!». (9)

Solo l’arrivo di un «…nuovo guardiano che alla sua volta dové scappare da Manduria, e fece lista di fratelli, trasmettendola a chi di diritto», avrebbe costretto gli affiliati a trasferire i loro convegni segreti, dal convento ad una «casa in vicinanza del giardino pubblico …ove rimasero fino al 1848»,  l’anno in cui, come noto, i liberali mandurini presero parte attivamente ai moti rivoluzionari di Terra d’Otranto. (10)

Nello Status animarum del 1857, da me consultato, la comunità cappuccina di Manduria risulta ancora esistente ed è composta da diciannove  individui, dei quali nove sono i sacerdoti, cinque i laici, un chierico e quattro i terziari. Il superiore o guardiano è tal padre Francesco Maria da Taranto, il vicario è padre Geremia da Laterza.

Sono anche presenti religiosi concittadini, quali padre Angelico e padre Serafino, i laici fra’ Giuseppe, fra’ Salvatore e fra’ Giacinto, ed il terziario fra’ Arcangelo, tutti da Manduria. (11) 

Finalmente, nel 1862, la comunità dei frati, ancora dimorante nel convento, ha l’ardire di indirizzare a Sua Santità Pio IX la supplica che ho trovato  pubblicata sul numero 6 del 5 Aprile del giornale Il Cittadino Leccese.

Il contenuto, analogo a quello della missiva sottoscritta, nello stesso anno, dal clero capitolare mandurino (della quale mi sono occupato in un precedente scritto, pubblicato su questo giornale il 4.2.2016), è il seguente:

«I qui sottoscritti P.P. Cappuccini stanziati nel convento di Manduria, provincia di Lecce, nel Napoletano, prostrati a’ piedi della Santità Sua, col gemito del cuore, La pregano per le viscere della misericordia del Signore a gittar via da se lo scettro, il cui peso enorme fa sommergere la navicella di Pietro.

Noi che siamo i fortunati di starvi dentro, ci vediamo ora sull’orlo di naufragare, sbattuti dall’ira della tempesta, che fremente si leva, mugghia ed afforza. Spaventati…volgiamo a Lei Beatissimo Padre, le parole che Pietro, fra l’orrore della procella, levava al Divino Maestro: Domine salva nos perimus!». (12)

La supplica è firmata da tredici componenti della comunità religiosa locale (presumibilmente tutti), tra cui il guardiano tale padre Giacomo da Taranto, il vicario padre Clemente da Taranto e quattro manduriani (tre già riportati nello Status animarum del 1857: padre Angelico, padre Serafino, fra’ Salvatore,  ed uno nuovo: tale fra’ Leonardo).

Si trattava di un intervento deciso nel dibattito che divideva l’opinione pubblica cattolica, riguardante il mantenimento del potere temporale del Papa e la destinazione di Roma a capitale politica del Regno d’Italia.

I Frati cappuccini di Manduria si schieravano apertamente contro l’orientamento prevalente in seno alla Chiesa Cattolica.

A fronte di tale atteggiamento la reazione dei superiori non si fece attendere.

Nel numero 44 del 27 Dicembre dello stesso anno, “Il Cittadino Leccese” pubblicava le due seguenti lettere, che ho rintracciato, «lasciando il commento ai lettori» per quel che riguardava il loro contenuto .

La prima, inviata dal Ministro Generale dell’ordine dei Frati cappuccini al Guardiano del Convento di Manduria, datata Roma 6 Dicembre 1862, è del seguente tenore:

«Sullo scorcio di luglio p.p. le abbiamo diretto una nostra lettera che sappiamo di certo avere ella ricevuta. L’oggettto di quella era, se ben la P.V. si ricorda, di sapere se ella aveva sottoscritto alcun indirizzo al Santo Padre affine di persuaderlo di rinunziare al Governo Temporale. Comunque fosse passata la cosa voleva il dovere di suddito, la convenienza di Religioso educato, ch’ella ci favorisse una riga di risposta. Ma sventuratamente fin qui abbiamo aspettato inutilmente.

Anzi che però attribuirlo a mancanza vogliamo credere, quella sua qualsiasi risposta siasi perduta per viaggio, ed è perciò che ripetiamo questa seconda a farle la stessa domanda dell’altra volta, persuasi che questa sarà per ottenere un migliore risultato. Quando dovesse essere diversamente, noi saremmo astretti a riguardare nel suo silenzio un inurbano e irrispettoso rifiuto e tener per vero quello, che fin ad ora fu per noi un semplice sospetto.

In attesa dunque di pronto riscontro, la benediciamo all’atto di ripeterci».

In calce è riportata la firma: «Affez  nel Signore. F. Nicola M. Gen. Cap.».  Si tratta di fra’ Nicola da S.Giovanni in Marignano, 56° Ministro Generale dell’Ordine dei Frati minori cappuccini, in carica dal 1859 al 1872.

Segue, quasi sfacciata, la risposta del Guardiano di Manduria padre Giacomo da Taranto:

«Reverendissimo Padre,

Non ò avuto mai la fortuna di ricevere la pregiatissima lettera di vostra Paternità Reverendissima, solamente mi è pervenuta l’ultima sua datata 6 dicembre volgente anno, e per non riportarne la faccia d’ineducato Religioso e d’ignorante dei doveri di buon suddito,  mi do la massima sollecitudine a riscontrarla, e nel contempo assicurare V.P.R., con tutta l’ingenuità dell’animo, che io ho veramente sottoscritto l’indirizzo al Santo Padre di cui ella fa parola nella prelodata Sua lettera, e l’ho sottoscritto con quella libertà, colla quale or a Lei lo confesso.

Reverendissimo Padre, tolgo a mia grande ventura l’essere Italiano e Cattolico, e perciò amo l’Unità della Patria mia, e propugno con zelo l’alto precetto evangelico di rendere a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio. Son sicuro ch’Ella, nato anche Italiano, e rivestito com’è d’Apostolico zelo, non isdegnerà questi miei sentimenti.

Le bacio rispettosamente la mano, ed implorando la Paterna Benedizione mi ripeto.

D.V.P.R.

Divotiss Obblig. Suddito F. Giacomo da Taranto Cap.». (13)

Quali siano stati i provvedimenti che, eventualmente, avranno fatto seguito all’acceso scambio epistolare finito sulle pagine del giornale leccese, al momento, non è dato saperlo.

E’ possibile che misure sanzionatorie ed interdittive, comminate dalle autorità ecclesiastiche, abbiano colpito gli esponenti della comunità religiosa mandurina causandone la diaspora e, ancora più probabilmente, il superiore che, in maniera così aperta, aveva fatto la sua scelta di campo a favore della causa liberale ed unitaria.

Il resto, per quanto riguarda la chiusura definitiva del convento, lo avranno fatto le leggi di soppressione del periodo sabaudo (anni 1865-1866), per ironia della sorte, promulgate proprio da quel nuovo Stato unitario per l’avvento del quale molti di quei frati avevano tanto sofferto e lottato.

Certo è che già nel Luglio 1866 l’edificio doveva essere vuoto, se la famiglia dei Padri Passionisti, esiliati dall’Abruzzo (Gran Sasso) e trasferiti a Manduria, andò, sia pure per breve tempo, ad abitarlo.

Inoltre, già nel Gennaio 1862, uno dei frati firmatari dell’indirizzo che sarà inviato al Papa nell’Aprile successivo, padre Vito Nicola da Taranto, aveva inviato alla Camera di Deputati una petizione di cui ho rinvenuto traccia nell’Archivio storico di Montecitorio. Con essa il religioso, addirittura, chiedeva «…un impiego, avendo lasciato il convento dell’Ordine dei frati minori cappuccini in Manduria». (14)

Ciò dimostrerebbe che la coabitazione nel convento, ancor prima dell’abbandono finale, doveva essere poco assidua ed avere un andamento, per così dire, intermittente.

Il solito Tarentini ha commentato piuttosto severamente la vicenda con queste parole: «Il periodo politico che la società attraversava e che tutto quel guasto avea prodotto, allora più che mai fu propizio a concedere libertà a quei monaci non tutti perseveranti nella vocazione». (15)

Sarà stato così?  Si sarà trattato di religiosi distolti dalla loro vocazione a causa degli sconvolgimenti politici e sociali del tempo oppure di ferventi liberali, sinceramente professanti ideali patriottici ed unitari?

Non lo sappiamo ed é difficile individuare un’unica chiave di lettura per i comportamenti di persone diverse.

Probabilmente, ciascuna di loro avrà avuto una motivazione propria, più o meno nobile, differente da quella dell’altra.

Non per niente, la redazione del giornale leccese che aveva ospitato l’indirizzo al Santo Padre (e le citate due successive missive da me rinvenute), politicamente e confessionalmente orientata in maniera opposta rispetto al Tarentini, così si esprimeva sul punto:

«Ai Frati di Manduria, che ci fanno tenere l’indirizzo al Santo Padre per la rinunzia al potere temporale, un abbraccio e un saluto. […] Che i Frati tutti di questa Provincia ne imitino il bello esempio anzicché rinnegare i fatti provvidenziali che sotto i loro occhi si compiono in Italia». (16)

 

   

 

Note

(1-2-4-5-6-15)  sac. Leonardo Tarentini, Manduria Sacra, Tipografia D’Errico, Manduria. 1899.

(3)  Giuseppe de Gennaro, Produzione e commercio delle lane in Puglia dall’epoca federiciana al periodo spagnolo, 1927.

(7-8-9-10) Tarentini sac. Leonardo, Cenni storici di Manduria antica, Casalnuovo e Manduria restituita, Tip. Spagnolo – Taranto, 1901.

(11)  Giuseppe Domenico Micelli,  Stato delle anime della Città di Manduria, anni 1849-1857, manoscritto c/o Biblioteca comunale «M.Gatti» di Manduria.

(12) Il cittadino leccese: giornale della provincia politico letterario, n.6 del 5 aprile 1862, Biblioteca provinciale «Nicola Bernardini»,  Lecce. Fonte:  ICCU Internetculturale.

(14) Camera dei Deputati, Archivio storico. Petizioni 1848-1938, Petizioni illegali 1861-1895, n.609, busta 19ter, petizione originale.

(13-16) Il cittadino leccese: giornale della provincia politico letterario, n.44 del dicembre 1862 Biblioteca provinciale «Nicola Bernardini», Lecce. Fonte:  ICCU Internetculturale.

6) Immagini: Chiesa di S.Antonio, Manduria, vista dell’esterno e dell’altare maggiore dell’antica chiesa dei Cappuccini. Frate cappuccino.

 

 

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