Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Guglielmo Pepe nel legame profondo con il 1799

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Guglielmo Pepe (Squillace, Catanzaro, 1783 – Torino, 1855) è una delle più grandi e nobili figure del Risorgimento Meridionale, Italiano, Europeo (nelle idealità e nel legame anche sentimentale con la scozzese Marianna Coventry, che ne custodì con senso di religiosità civile la memoria), dalla vita avventurosa come pochi.

Fu protagonista di tre rivoluzioni, quelle del 1799, del 1820, del 1848, oltre che del decennio 1806-1815, esule in Spagna, Portogallo, Londra, Parigi, Torino, le cui memorie del 1847, edite a Parigi,  per la loro altezza etico-civile-politica dovrebbero essere lette da ogni meridionale, italiano, europeo degno di questo nome, da ogni studente dalle elementari all’Università.

(Le ‘Memorie ‘ di Guglielmo Pepe  sono scaricabili gratis da internet e se ne consiglia vivamente la lettura).

Su di lui lo storico Aldo Romano ha scritto nel 1933 un saggio in relazione ai suoi rapporti con il noto generale della rivoluzione americana e poi francese Lafayette, al quale Pepe chiese di aderire alla “Società dei Fratelli Costituzionali Europei” da lui fondata prima in Spagna e poi trasferita a Londra, trovando una risposta positiva ed entusiasta:

«E’ con grande piacere che io mi sono associato alla vostra confederazione dei patrioti europei; questa santa alleanza, opposta a quella del dispotismo e del privilegio non può che fortemente essere utile; la causa del diritto del genere umano trionferà senza dubbio e noi saremo contenti di aver contribuito al suo successo».

 

In questo contesto così Romano ricorda aspetti fondamentali della personalità del Pepe: «Aveva sedici anni, quando era corso a difendere la Repubblica proclamata in Napoli nel 1799, e durante la feroce reazione era stato a lungo imprigionato e poi esiliato in Francia.

A diciotto anni fu soldato di Napoleone e valicò con le schiere della Legione italica il S. Bernardo, poi combatté a Marengo. Non ne aveva ancora venti che fu arrestato a Napoli come cospiratore antiborbonico, condannato ai lavori forzati per tutta la vita.

Già si rivela in queste vicende lo spirito di sacrificio che era a fondamento di tutti i sentimenti patriottici degli italiani: d'altra parte anche nel giovanissimo Pepe è dato riscontrare quel carattere spirituale comune un pò a tutti gli uomini del suo tempo, e che serve a spiegarci il Risorgimento come uno dei fenomeni più caratteristici del Romanticismo europeo…

Quella stessa frenesia di combattere, di emergere, di sentir l'eco delle proprie gesta, è un pò l'ideale stendhaliano del combattente napoleonico: senonchè questi aspetti non celano quella che è la vera essenza del carattere degli uomini del Risorgimento in generale, e del Pepe in particolare, carattere congenitamente avverso a tutte le forme di tirannia, a tutto ciò che conculcava la Libertà del Popolo.

Le vicende posteriori della vita di lui, almeno sommariamente, sono notissime, e non giova qui ripeterle dettagliatamente. L'occupazione francese gli dette il modo di uscire di prigione, di arruolarsi nelle schiere del re Giuseppe, di combattere in Calabria agli ordini del Generale Massena, di peregrinare a lungo nelle isole dell'Egeo ed in Ispagna.

Quando egli ritornò a Napoli, nel 1813, si era già formata una decisa e radicata opinione politica: anche al servizio dei Napoleonici, egli era dedito alla ricostruzione e alla edificazione morale dell'esercito e del popolo napoletano con una alacrità scevra di dubbi, con la consapevolezza che la sua opera era conforme alle speranze e alle aspirazioni di tutti i suoi compatrioti, che era all'unisono con

il corso irrevocabile della civiltà. Generale del re Gioacchino, egli appoggiava in certo modo i diritti di lui soltanto perchè sperava che quel re avesse finalmente largito la Costituzione: ma non ristava dal congiurare e dal preparare lo spirito delle milizie, per affrettarne la proclamazione.

Fin da quell'epoca, d'altra parte, aveva la visione nettissima della disonestà congenita del vecchio re esule a Palermo ed era avverso decisamente alla dinastia dei Borboni: rimaneva fondamentalmente quello che era stato a sedici anni: un Patriota del '99.

Dopo circa quattro lustri di vita intensissima e di esperienze dolorose, egli riconosceva che la Verità e la Giustizia erano state dalla parte dei Compagni delle sue prime battaglie, degli Eroici Difensori dei castelli napoletani, dei tanti suoi Amici di carcere che il patibolo gli aveva strappato.

E ne conservava memoria come di Uomini circonfusi dall'aureola della Santità: conservava la freschezza di quelle passioni, come ricordo che solo può dare una eterna primavera spirituale: sentiva in sè il retaggio di quegli Spiriti».

 

 

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