Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

In Lombardia. Microappunti interpretativi

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E’ veramente molto difficile cominciare a descrivere qualche tratto significativo della Lombardia odierna in cui vivo ormai da tempo immemorabile.

Non vi aspettate un resoconto imparziale, non lo sarebbe per nessuno e tanto meno per me, coinvolto e implicato fino alla punta dei capelli e oltre nelle contraddizioni della società globale come in quelle  della società lombarda.

Colgo semplicemente l’occasione fornitami  per esternare alcune impressioni e considerazioni del tutto personali, basate e ricavate dalla mia ormai venticinquennale esperienza e pratica lombarda.

Innanzitutto  chi come me proviene dal Sud è interessato e attratto fatalmente e inesorabilmente dalle pratiche ideologiche e antropologiche della Lombardia contemporanea.

Uno dei motivi dell’attuale conclamata diversità lombarda in ambito nazionale non deriva solo da ideologie parastoriche e razziali, ma anche e soprattutto da una profonda crisi del tessuto industriale, agricolo, commerciale e sociale.

Qualunque sia la vulgata che ci propinano i media nazionali dai giornali alle radio e alle televisioni, essa non considera e non evidenzia anche e forse soprattutto per motivi politici che la crisi  lombarda viene da lontano ed è molto più profonda e diffusa di quella nazionale al contrario di quello che si pensa, si crede e si dice.

L’industria lombarda è fondamentalmente manifatturiera, fondata sull’attività di aziende microscopiche, piccole e medie a parte alcuni grandi gruppi industriali che, malgrado la baldanzosa autocelerbrazione e la notevole pubblicità autoprodotta, mostrano anch’essi notevoli sofferenze.

 

Qui non è il caso di entrare nei dettagli e in lunghe e complesse discussioni macroeconomiche per mancanza di tempo e di spazio. Di fronte al rapidissimo  processo incalzante e incessante di globalizzazione che ha aggravato la loro già malconcia situazione, la miriade babelica di piccoli e micro-imprenditori lombardi non è riuscita e non riesce a ristrutturarsi e a riconvertirsi.

Le microdimensioni aziendali, gli impianti e le attrezzature tecnologiche, i processi di produzione e i prodotti, il livello di preparazione della mano d’opera, la bassa capitalizzazione, gli insufficienti standard manageriali che si associano ad una organizzazione proprietaria di tipo prevalentemente familiare, l’incapacità di adeguarsi alle richieste fiscali, legali e culturali dell’Unione Europea  sono tali da non consentire di tenere il passo e di contrastare la concorrenza globale e mondiale a cominciare dalla Cina, dall’India e anche da non pochi Paesi islamici. E in Lombardia questi problemi assumono dimensioni ancora più catastrofiche rispetto all’ambito nazionale perché l’economia lombarda da anni si era adagiata su questo tessuto socio-economico che in altri contesti nazionali, pur ugualmente presente e operante, incide molto meno.

Negli ultimissimi anni allo sfaldamento, allo sgretolamento e alla dissoluzione  del tessuto socio-economico lombardo ha contribuito non poco la crisi edile, agricola , commerciale e turistica.

Enormi cattedrali commerciali, ipermercati, supermercati, megamercati e altro ancora hanno sostituito il  diffuso, tradizionale e capillare piccolo commercio, determinando anche una desertificazione e una rarefazione dell’ordito socio-antropico.

Negli ultimi anni,poi,  il cortocircuito dell’edilizia residenziale e commerciale e la sua vertiginosa caduta libera hanno liberato notevoli contingenti di mano d’opera di inadeguati standard professionali che si sono aggiunti agli esuberi provenienti dalle manifatture in crisi.

La finanziarizzazione , la parcellizzazione e il mancato adeguamento dell’economia agricola alle necessità del mondo globale ha ulteriormente contribuito a destabilizzare antichi e solidi contesti produttivi.

Non lungimiranti politiche turistiche, anch’esse indebolite da una parcellizzata struttura proprietaria e da un quasi assente ammodernamento alberghiero con notevoli carenze dirigenziali e di capitalizzazione, si sono inserite in un recente quadro di esasperata concorrenzialità globale, condannando gli aeroporti e i trasporti aerei facenti capo agli scali lombardi ad una rapida e prematura capitolazione di fronte ai nuovi ed agguerriti antagonisti globali.

Di fronte a tale esplosiva situazione il cittadino lombardo ha preferito, anche perché molto difficile intraprendere un diverso e più proficuo percorso, concentrare la sua attenzione e i suoi mezzi intellettuali e politici in direzioni ideologiche, sociologiche e antropologiche che non solo non sembrano  condurre a riqualificanti riconversioni e ristrutturazioni economiche, ma, a nostro parere, sembrano portare nel vicolo cieco della stagnazione e della conservazione non solo economica se non , addirittura, nelle sabbie mobili della reazione.

La richiesta di una sempre più accentuata autonomia soprattutto fiscale oltre che istituzionale che in determinanti e significativi momenti della nostra storia nazionale e repubblicana si è spinta sino a pretese e a proclami di piena e assoluta  indipendenza politica è sintomo di questo profondo malessere lombardo.

L’autonomismo estremo, il federalismo sono visti come unica via d’uscita da una situazione gravissima e insostenibile. I responsabili dell’incombente disastro non sono ricercati tra i decisori locali, ma tra i decisori nazionali e anche europei.

Le cause del male non si individuano nella società locale, ma in quella nazionale, europea e globale. Allora ecco scattare rapida e virulenta la richiesta di non pagare più tasse a ‘Roma ladrona’ per poter meglio evadere, sforzandosi di vincere la sfida globale con mezzi secessionistici. Ecco scattare la  parola d’ordine  secondo cui meridionali ed extracomunitari dovrebbero tornare a casa loro. 

I meridionali dovrebbero tornare a casa loro per liberare impieghi nella pubblica amministrazione, gli extracomunitari, la grande massa di lavoratori non qualificati dell’edilizia e di altri settori, dovrebbero tornare a casa ora che la crisi economica avanza e non è pìù possibile e necessario sfruttare manodopera semischiavistica per manifatture pericolose e arretrate dove gli autoctoni non volevano più saperne di lavorare in tempi di vacche grasse.

Tutte le passate e recenti polemiche sulla scuola di Stato vanno inquadrate in questo più vasto contesto politico ed economico. I decisori politici locali hanno presentato all’opinione pubblica lombarda  volutamente un quadro catastrofico della Scuola di Stato già di per se con grossi problemi. La scuola di Stato è facilmente attaccabile, perché non ha mai posseduto sue proprie potenti apparati di autodifesa come altri apparati dello Stato. La categoria docente ha sempre rivelato debolezze strurrturali.

L’istruzione pubblica per queste ed altre regioni è diventata il facile bersaglio polemico teso a sviare i reali problemi lombardi che sono ben più  gravi in altri comparti come quello ospedaliero, dei trasporti e del lavoro.

In ambito non economico, ma più strettamente ideologico e antropologico tale quadro esplicativo di riferimento da me evidenziato contribuisce a meglio chiarirne gli esiti , ma anche i presupposti.

Ideologie  separatistiche e antropologie celtistiche e longobardistiche sono riconducibili e in parte interpretabili alla luce delle profonde e scardinanti  trasformazioni da noi messe in evidenza .

Il separatismo diviene una ideologia largamente popolare perché fa leva su un evidente impoverimento che non è solo economico, ma anche civile culturale.

I responsabili di tale negativa dinamica non si ricercano nell’arretratezza culturale, che diviene poi anche politica ed economica, di una razza padrona lombarda dedita a pratiche di arricchimento corsaro insieme all’elite amministrativa locale anche e soprattutto sulla pelle dei cittadini lombardi, ma nel potere centrale che certamente non può esimersi da responsabilità.

La ex Iugoslavia dell’ autodissoluzione viene presa e indicata a modello , dimenticando che, malgrado tutto, la Repubblica italiana non è la Iugoslavia e produce ancora abbastanza anticorpi per sopravvivere all’ennesimo inconcludente tentativo separatistico.

La borghesia lombarda ha tentato di uscire dalla sua endemica crisi interna e territoriale, coinvolgendo con la sua stampa e i suoi media il piccolo cittadino lombardo e indicando negli ‘altri’ i responsabili del suo disastro, ma, per un pelo, non ci è riuscita ed è stata costretta a leccarsi, malgrado tutto, le sue virulente ferite.

Tale ideologia separatistica, nutrita del mito della repubblica del Nord, che ricorda da vicino quello della repubblica sociale di Salò e non a caso giacchè  il nerbo territoriale ed economico del separatismo è lo stesso di quello che condusse al fascismo, ha espresso la sua mitologia antropologica non solo in coreografici,obsoleti  e risibili riti, ma soprattutto attraverso improponibili riferimenti parastorici che, comunque, malgrado tutto, secondo noi, rivelano interessanti e non prevedibili ricorrenze  ( Celti, Longobardi ).

Celti e Longobardi che si ritrovano al di sopra del Po e che hanno segnato prima il confine con i Romani e poi con i Romani d’Oriente.

Indubbiamente tale stratificazione e differenziazione storica è  ricorrente anche nel presente e da considerare, ma non è tale da incidere sulla italianità della Lombardia.

Certi tratti celtici e longobardi sono ancora avvertibili nelle connotazioni antropologiche della Lombardia, ma altrettanti e ben più rilevanti elementi di assimilazione nazionale e europea sono prevalenti e dominanti.

Separatismo, celtismo e longobardismo nascondono le difficoltà del vivere sociale lombardo che non riesce  a integrarsi non solo nel contesto nazionale, ma anche e soprattutto in quello globale. Il ritorno alle piccole patrie e mitici Paradisi perduti sono il sintomo evidente non solo di un disadattamento evidente sia sociale ed economico, ma soprattutto il sintomo di un disagio politico e culturale profondo .

La Lombardia non riesce a fare i conti con il processo di globalizzazione in corso perché soprattutto, al di là della crisi economica che la travaglia e la devasta profondamente, il suo contesto culturale ed antropologico non ha mai veramente fatto i conti non tanto con la nazione quanto con la modernità, rimanendo ancorata alla mentalità del piccolo borgo agricolo pervicacemente attaccato al suo  microterritorialismo religioso e politico le cui radici, soprattutto di una certa parte della Lombardia, vanno ritrovate nella tradizione  agro-comunitaristica della Serenissima. E storicamente questa configurazione agro-religiosa-politica è un retaggio romano orientale che in parte notevole Venezia ha mutuato dalla Roma d’Oriente e ha diffuso là dove è riuscita a stabilirsi con una certa continuità, cosa che è accaduta con la Lombardia.

Abbiamo solo voluto dare, con questo intervento,  alcuni spunti ed eventuali direttrici per una ricerca tutta da fare e che potrebbe aprire prospettive del tutto nuove e originali.

 

 

 

 

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