Anatomia del cretino
Come per la follia, a cui è dedicato uno splendido volume di Michel Foucalt del 1981, c’è una storia della cretineria che dall’età classica, con progressive trasformazioni, arriva sino ai tempi nostri, in cui - come affermano Fruttero & Lucentini - lo stupido è diventato cool e la società gli ha aperto «infiniti interstizi, crepe, fessure orizzontali e verticali, a destra come a sinistra, gli ha procurato innumerevoli poltrone, sedie, sgabelli, telefoni, gli ha messo a disposizione clamorose tribune, inaudite moltitudini di seguaci e molto denaro». Nel saggio Stupidità il semiologo Gianfranco Marrone va alla ricerca delle radici filosofiche, letterarie e antropologiche di quest’inquietante fenomeno, vagabondando fra le pagine di vari pensatori e scrittori (Flaubert, Musil, Adorno, Deleuze, Barthes, Sciascia, Eco). In origine c’è l’idiota del paese. In una società fortemente gerarchizzata come quella medievale, la figura dello scemo del villaggio serve a mettere in luce i limiti e le contraddizioni dei livelli sociali. Ne è simbolo il mito di Giufà, di origine araba, di cui si sono occupati scrittori siciliani e non, da Francesco Lanza a Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino, fino a Italo Calvino.
Con l’Illuminismo, le certezze razionalistiche dell’età moderna tolgono alla stupidità la sua funzione trasgressiva. Lo scemo del villaggio cede il posto all’alienato mentale della psichiatria nascente e al delirio metodico della follia amletica o donchisciottesca. E qui che si erge la figura di Gustave Flaubert, nume tutelare di ogni indagine sulla imbecillità. Flaubert non definisce la bêtise ma si accanisce contro di essa: “Sento contro la stupidità della mia epoca fiotti di odio che mi soffocano. Mi sale la merda alla bocca, come nelle ernie strozzate”. La stupidità per Flaubert è parlare per luoghi comuni, esprimere giudizi e opinioni ripetendo incoscientemente le cosiddette «idee ricevute», ritrasmesse senza alcun intervento dell’intelligenza e della riflessione, come fanno i due copisti di uno dei suoi libri, Bouvard et Pecuchet. Quanti epigoni è possibile trovarne anche oggi, per esempio nell’universo dei social network.
Nel mondo di oggi c’è anche una stupidità indotta da Internet. Umberto Eco, che nel Pendolo di Foucalt inserisce diversi personaggi imbecilli post-moderni, ha osservato la rete ci procura una sorta di sindrome di Funes, quel celebre personaggio di Borges che, ricordando tutto e minuziosamente, finisce per perdere il senno. Esattamente come Internet, dove c’è di tutto ma in disordine, senza cornici interpretative che ne dettino il significato e senza un sistema di gerarchie. Nei nostri deliri di titanico controllo dell’universo attraverso la rete, rischiamo l’appagamento, e quindi la stupidità. Ma c’è speranza di vincere questo fenomeno? Esistono antidoti? A parte la via d’uscita sempre valida della letteratura, indicata da Flaubert, Musil, Valéry, Brancati, Savinio e Barthes, e la necessità moderna di non diventare prigionieri di Internet, la prima regola è capire, come insegnava Sciascia, che la vera stupidità è quella del fanatismo, il parteggiare in ogni settore in modo sperticato, grossolano e, appunto, cretino per il proprio schieramento, senza porsi il problema delle altrui ragioni. Ci sono cretini di destra, di sinistra e di centro. E stupidi d’azienda, d’istituzione o di società. Per combatterli, bisogna coltivare il dubbio. Facendo attenzione a un rischio enorme, che incombe su ognuno di noi: il culto dell’intelligenza come copertura della stupidità.
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