Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

La multiforme dottrina della “Sophia” quale femminile Sapienza Divina

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È appena uscito un mio saggio dedicato al tema della Sophia, ovvero quell’entità metafisica che è sempre stata identificata con la Sapienza Divina, e precisamente nella forma di un Femminile divino, trascendente e paradigmatico.

In questo articolo vorrei riassumere più i temi che non invece la struttura particolareggiata del saggio.

Tuttavia qualcosa della sua struttura va detto. Devo innanzitutto dire che suo principale scopo è stato quello di offrire al lettore una visione quanto più completa possibile del tema metafisico della Sophia.

Ciò mi è sembrato possibile solo esponendo i diversi punti di vista dal quale essa è stata storicamente trattata, ed evitando così di prendere posizioni pregiudiziali e ideologiche. E questo ha comportato la necessità di una critica a tutte le dottrine in causa, in modo da fare emergere il più possibile l’oggettività della relativa dottrina.

Un cenno molto sintetico va poi fatto anche alla struttura della mia investigazione. Essa si è posta sostanzialmente come isolamento delle diverse entità metafisiche concorrenti a costituire la Sophia come Sapienza Divina. E questi sono i seguenti: – la Sapienza stessa, il Femminile (Donna), l’Anima e il Corpo.

Questi due ultimi elementi compaiono poi strettamente intrecciati nel concetto di “animicità corporale”, che a sua volta sta in stretta relazione non solo con l’anima ed il corpo (specie nella relazione che essi intrattengono) ma anche con il concetto di “corporalità spirituale”.

Tale ultimo concetto è quello che poi si rivela essere in più suggestiva connessione con uno degli aspetti più tipici della Sophia, ossiaquella carnalità della sua manifestazione che però non smentisce in alcun modo la sua essenziale onto-spiritualità. In tal senso la dottrina della Sophia si rivela costituire uno dei più sensibili luoghi della riflessione metafisica, nei termini specifici dell’espressione della natura sostanzialmente spirituale della corporalità. Essa ci rivela infatti che in realtà il corpo (una volta sottratto al sequestro dell’immanenza) altro non è se non spirito.

Un ultimo cenno va fatto anche ai testi ed autori ai quali mi sono riferito nell’individuare i quattro prevalenti punti di vista dottrinari relativi alla Sophia. Il primo è quello della metafisica integrale tradizionale o Scienza Sacra – i cui contenuti sono stati da me ritrovati nei testi sapienziali esoterico-religiosi stessi (Veda, Zohar, Corpus Hermeticum, Bhagavadgītā e Sāmkhya), inoltre nei testi di studiosi di Tradizione, come Guénon, Coomaraswamy, Zolla, Evola, Louis Dumont, ed infine nei testi di teosofi come Böhme.

 

Il secondo è quello della Sofiologia russa –  esaminata nei testi di Solov’ëv e Florenskij.

Il terzo è quello della Mariologia connessa alla Sapienza Divina –  ritrovata nei testi di Luigi Grignion de Monfort.

Il quarto è infine la dottrina religioso-metafisica ebraica –  esaminata nello Zohar, nella dottrina cabbalistica della Sefer Yezirah, e nel Libro biblico della Sapienza.

Va detto comunque che devo in realtà il concetto originario di sophia alla cultura e filosofia greca; entro la quale essa stava ad indicare appunto la conoscenza nella sua pienezza. Platone ne discute espressamente in tutte le sue opere, ma in particolare nel fondamentale dialogo del Teeteto;  entro il quale la conoscenza fondamentale (“scienza”) viene posta in relazione alla “sapienza” o alla “saggezza”.1

Bisogna dire che certamente mai è stata lontana dalla mente del pensatore l’idea che con essa si trattasse di un’entità divina, ossia dell’Intelletto stesso nella sua trascendenza (quale somma della Idee). Lo testimonia la stessa sua dottrina della conoscenza, intesa come una scienza perfetta e totalizzante antecedente alla conoscenza umana.

Essa è da restaurare nella sua pienezza in forza della “reminiscenza” entro la prassi dialettica, ma infine soprattutto nel percorso ascensivo filosofico-scientifico che reca alla visione diretta della Verità. Però è proprio in tal modo che si configurano i termini della filo-sofia, ovvero l’amore stesso della conoscenza. Qui in particolare ritroviamo la Sophia nella forma di oggetto di conoscenza non attuale ma potenziale. E questo fa di essa un’entità trascendente per definizione.

Ma chiaramente viene formulata qui anche la dimensione dell’amore al quale essa è inscindibilmente connessa. Si tratta di quell’Eros al quale Platone affidò un ruolo dinamico fondamentale, ed entro il quale l’ontologia andava di pari passo con la gnoseologia.2

 L’Eros era infatti per lui quella forza metafisica, trapiantata nell’immanenza, per mezzo della quale si ascendeva alla sommità dell’Essere non solo nel corso della conoscenza ma anche allo scopo di contemplare intellettivamente l’Essere stesso nella sua somma veritatività, e cioè quale suprema sostanza intellettuale immediatamente prossima all’Uno.3

Mi sembra che tutto questo sia assolutamente da premettere a qualunque trattazione del tema della Sophia.

In tal modo infatti non solo emerge immediatamente la dimensione dell’Amore che essenzialmente la connota, ma anche risultano colmati in partenza tutti i vuoti dottrinari che si creano nel contesto della trattazione complessiva del tema da diversi punti di vista. Vuoti che sono dovuti al privilegiare ora l’uno ora l’altro dei suoi aspetti essenziali.

Nella mia investigazione, infatti, nel prendere atto dei quattro punti di vista dottrinari prima menzionati, ho anche dovuto constatare il sussistere di quattro identità della Sophia, che per alcuni versi sono anche molto distanti tra loro. In ogni caso, nel contesto della visione metafisico-integrale, spicca in particolare la dottrina della Gnosi cristiana.

Di quest’ultima ho discusso soprattutto sulla base del testo di LMA Viola dal titolo La Gnosi Cristica Integrale.4

Testo nel quale poi la Gnosi Integrale viene nettamente distinta dalla solo riduttiva gnosi comparsa nel pensiero cristiano originario, e poi anch’essa progressivamente contrastata, superata e cancellata.5

Il Viola usa pertanto non a caso l’aggettivo “cristico”; in quanto quello “cristiano” si confà invece per lui ad una tradizione di pensiero che a suo avviso sempre più si è segregata entro un’ortodossia dogmatica. Proprio quest’ultima tradizione ha quindi negato il principale compito al quale ha assolto il Cristo secondo la Gnosi Integrale, e cioè quello di ricondurre l’uomo alla pienezza della sua divinità per mezzo della via puramente religioso-intellettuale di ascesa (o ascesi) al Principio divino (quale Padre).6

Secondo tale approccio la dottrina pienamente gnostica aveva dunque l’intento di generale una comunità di “cristi” (uomini assimilati alla natura del Cristo stesso) e non invece di “cristiani”.

Ebbene, la Gnosi Integrale cristiana si è senz’altro rifatta al pensiero sia di Platone che del neoplatonismo ellenico-romano. Entro il quale l’originaria dottrina veniva sviluppata definendo in modo più esplicito in particolare l’entità metafisica divino-trascendente onto-intellettuale per eccellenza, ossia il Nous.

Laddove poi quest’ultimo (come molto profondamente chiarito dal Viola) veniva fatto equivalere ad un Logos totalmente sovra-personale, il quale occupa pertanto un luogo ontologico ben più alto di quello del Logos così come concepito entro la dogmatica cristiana (specie sulla base di Paolo). Il Viola infatti, avvalorando soprattutto la posizione di Giovanni (e criticando invece quella di Paolo) attribuisce solo a questo Logos super-cristico l’occupazione del luogo ontologico equivalente all’”in principio”, ovvero quello dell’Origine nella sua radicale pienezza.7

Ma da tutto ciò risulta evidente anche che il Logos nella sua suprema formulazione metafisico-religiosa era comunque già pienamente presente entro la sapienza ellenico-romana pre-cristiana (ossia soprattutto nel neoplatonismo plotiniano).

Orbene, riassumendo tutto ciò che ho finora detto, risulta allora chiaro che la Gnosi cristiana ha elaborato ed allargato proprio questo corpus di sapere (con Platone al suo centro), ricollegandosi così anche alla ben più antecedente ed ampia sapienza metafisico-integrale che giaceva dietro di esso.

Tale rielaborazione è però comunque avvenuta sotto il segno del Cristo e della sua manifestazione storica nella persona di Gesù. E ciò implica necessariamente qualcosa di nuovo ed aggiuntivo rispetto al sapere metafisico-religioso precedente.

Di tutto ciò prende atto (almeno in parte) lo stesso Viola, affermando infatti che la Rivelazione del Cristo veniva ad integrare (più che non a revocare) la metafisica religiosa ebraica (trasformandola così in un credo del Figlio e del Padre); sebbene essa, sul piano specificamente teologico e fideistico, ne smentisse fortemente la natura di unilaterale Religione della Legge.8

Tuttavia a me sembra che la vera novità aggiuntiva della Rivelazione cristica (rispetto alla metafisica pre-cristiana) si faccia sentire in particolar modo sul piano del vissuto religioso concreto di supreme entità divino-metafisiche (come appunto la Sophia). E questo sarà chiarito più avanti.

Il principale portato della Rivelazione cristica era comunque, secondo la Gnosi, l’affermazione nettissima dell’umano-divinità nella forma di una totale identità dell’uomo con il Padre divino per mezzo della sua intermediazione di Figlio (ed anche di relativo Logos).

Ciò comporta però comunque, almeno nel contesto della vera e propria tesi gnostico-integrale difesa dal Viola, l’identificazione del Dio vetero-testamentario con il Demiurgo, ossia un Dio personale (impegnato esclusivamente nell’onto- ed antropo-genesi) vertiginosamente inferiore (in quanto ben più immanente) rispetto al Padre.9

E tutto ciò sta chiaramente in relazione, oltre che con Platone stesso in una molteplicità di dialoghi, anche con quella tradizione gnostica pre-cristiana – così come manifestata ad esempio nel Corpus Hermeticum –, entro la quale al Demiurgo stesso venivano attribuite una presenza ed azione decisamente negative e che pertanto sconfinavano addirittura nella maleficità.10

Di certo, sia qui sia anche riguardo ad altre prese di posizione metafisico-religiose (come quella del rapporto tra Cristo e Logos), entriamo nel campo di temi che sono stati oggetti di durissimi conflitti all’interno della dottrina cristiana, e che quindi hanno portato a non pochi cruenti giudizi di eresia. Si tratta pertanto di un piano di discorso estremamente delicato, e sul quale non intendo assolutamente soffermarmi.

Qui cerco infatti solo di esporre le cose come stanno nel modo più oggettivo possibile. Tra l’altro va qui detto, anticipando un aspetto discusso dopo, che la tesi gnostico-integrale nel suo complesso può essere considerata anche corretta (almeno sul piano di una dottrina metafisico-religiosa ultra-teologica).

Ma comunque va notato che essa si sbilancia fin troppo (ed in un modo davvero difficilmente condivisibile) nel porre l’assoluta identità tra uomo e Dio, e così nel postulare un’ascesa al divino che non abbia alcun bisogno della Grazia.

In ogni caso, su questa complessiva base si può dire che la Gnosi Integrale cristiana – i cui testi sono innumerevoli, e dei quali io ho considerato solo alcuni in particolare, ossia la Pistis Sophia11 e diversi Vangeli apocrifi12 – ha posto la figura della Sophia nel modo più appropriato possibile dal punto di vista dottrinario.

Essa compare infatti come un’entità divino-metafisica trascendente (cioè come uno dei più giovani tra gli Eoni), ed in tal modo viene ben illustrata la sua tragica vicenda di caduta nel mondo immanente, seguita poi dal ritorno al mondo trascendente solo per mezzo del soccorso portatole da Cristo stesso.

È evidente che in tal modo viene descritta la natura metafisica dell’anima stessa, e quindi la vicenda della sua caduta.

Dal punto di vista della Gnosi Integrale si tratta però molto più dell’Intelletto (descritto nella sua natura e nella sua vicenda), ossia un’entità metafisica che rappresenta di fatto la forma ipostatica del Nous; rispetto al cui status trascendente parlare di “caduta” è quindi appena un modo figurato di esprimersi. Siamo insomma di fatto di fronte alla dottrina plotiniana della “non-discesa” dell’anima. Entro la quale quest’ultima, quale facoltà essenzialmente ìntellettuale, resta costantemente in continuità con il Nous.13

Tutto ciò implica poi chiaramente anche la realtà circolare (tipicamente neoplatonica) del ritorno al Principio divino. Realtà che la Gnosi Cristica Integrale ha poi interpretato nel modo visto prima.

Ma, in relazione al tema specifico da me trattato, emerge qui in particolare in fatto che la Sophia non può equivalere per davvero al Femminile divino-personologico, equivalente a sua volta alle figure congiunte della Madre di Dio e della Vergine Maria.

Non a caso nella Pistis Sophia tali entità vengono nettamente distinte. In questo senso, quindi, l’equivalenza stabilita tra la Sophia, in forma di Persona divina Femminile, e la Sapienza – così come si presenta sia nella Sofiologia sia in alcune trattazioni mariologiche (come quella di Luigi Grignion de Monfort) –, deve essere considerata come appena un’approssimazione dottrinaria. Resta comunque la sua validità sul piano dell’esperienza religiosa concreta e della devozione di fede.

E tuttavia il devoto più attivo intellettualmente non potrà non interrogarsi piuttosto angosciosamente su tali aspetti. Pertanto, se essi non vengono chiariti, è ben possibile che la pratica devozionale venga da lui abbandonata in quanto sospetta di reticenza retorica, se non anche di mala fede religiosa.

E senz’altro lo stesso potrebbe essere detto anche per tutta la serie di fenomeni di entusiastica fede popolare che tendono a svilupparsi spontaneamente intorno alla figura di Maria Vergine. A tale proposito, infatti, è davvero difficile prestare fede alle specifiche forme di manifestazione di un’entità divina e trascendente che però parla per mezzo di un linguaggio non solo mondano, temporale e storico, ma anche in qualche misura formale e addirittura burocratico (come accade nei regolari “bollettini” sui supposti discorsi della Madonna).

In relazione a tutto questo il ricorso al sapere metafisico-integrale ed anche gnostico mi ha permesso di constatare che il vero e proprio Femminile divino è in realtà radicalmente principiale. Ed ancora una volta diviene qui attualissimo Platone; dato che tale entità appare avere i caratteri della Diade da lui posta in immediata relazione con l’Uno.14

E ciò significa allora che la Sophia quale Femminile divino, non può essere considerata esattamente equivalente alla Sapienza Divina. Entro la mia investigazione ho evidenziato in modo piuttosto circostanziato come (specie sulla base della metafisica integrale) la Sapienza vada in realtà attribuita solo al Principio divino stesso.

Laddove poi la sua forma trascendente più prossima è costituita in verità dal Nous a sua volta connesso al supremo Logos. In questo senso la Sophia sarebbe da identificare con Dio stesso. L’entità divina personologica identificata nella sua forma femminile, si trova invece su un livello ontologico senz’altro molto inferiore.

E questo è stato del resto recepito anche dalla Sofiologia e dalla Mariologia, nel postulare un’«intermedietà» della Madre di Dio (specie nel senso dell’intercessione da Lei esercitata verso le entità divine più alte). Io ho però mostrato che anche questo concetto non può essere preso del tutto alla lettera, e quindi andrebbe maneggiato con una certa prudenza.

In base a quanto abbiamo visto sulla base della Gnosi Integrale, tutto ciò ci mostra comunque anche che la Sophia va effettivamente identificata con l’animicità nella sua pienezza metafisica. Il che rende poi plausibile la sua costante identificazione (dal pensiero pre-cristiano a quello cristiano) con la dimensione universale dell’animicità, ossia l’Anima Mundi.

Tuttavia non bisogna dimenticare che quest’ultima sta anche per una realtà sostanzialmente cosmica (dalla Gnosi non a caso riconosciuta quasi identica al Demiurgo) e quindi in una qualche misura anche immanente in senso naturalistico.

Ci troviamo così al cospetto dell’animicità così come concepita nella metafisica più incline al naturalismo (ossia quella più tendente all’enticismo di stampo aristotelico).

Ma non è possibile che la Sapienza Divina sia equivalente in modo letterale ad un’entità di questo genere. E pertanto nella mia investigazione ho cercato di chiarire bene quali sono le effettive relazioni tra Sophia ed Anima Mundi.

Esse sono infatti da intendere nel senso di una continuità nella differenza ontologica, che però può essere concepita solo sul piano iper-razionale.

A tale riguardo va anche notato che (come ho discusso a fondo nella mia investigazione) va cercata proprio qui (nella troppo letterale identificazione della Madre di Dio con l’Anima Mundi) la radice di una deriva eticamente inaccettabile che ha avuto la dottrina (specie nella forma dell’identificazione di un “eterno Femminino” quale carnale “Beautiful Lady”) entro l’immaginario poetico (simbolista) collaterale alla Sofiologia russa.

Ora, però – al di là della serie di pur doverose precisazioni dottrinarie (permesse dalla Scienza Sacra e dalla Gnosi Integrale) e al di là quindi di una certa inferiorità metafisica in questo senso degli altri punti di vista –, il diretto coinvolgimento nella mia indagine della Sofiologia e Mariologia mi ha permesso comunque di porre in evidenza aspetti che vanno ben oltre il piano della rigorosa oggettività metafisico-religiosa integrale.

Quest’ultimo piano ha senz’altro la sua vincolante importanza, ma sarebbe un errore considerarlo assoluto nella sua pur opinabile fondamentalità.

In parole più semplici non è affatto detto che sia giustificato parlare della Sophia solo sul piano metafisico-religioso puramente intellettuale, e non invece anche sul piano metafisico-religioso fideistico e agapico.

E ritengo che quello qui illustrato sia esattamente l’errore in cui incorrono gli gnostici più integralisti. Infatti, se quanto da essi affermato illumina senz’altro aspetti estremamente rilevanti della Verità metafisico-religiosa (ed è pertanto davvero semplicistico liquidare tutto questo come «eresia»), tuttavia in tal modo si finisce anche per trascurare un problema estremamente reale.

Problema che non a caso si pone in maniera molto drammatica sul piano dell’esperienza religiosa concreta. Ebbene su questo piano i problemi sono soprattutto due, ed essi possono essere sintetizzati in due davvero drammatiche questioni:

1) si può essere davvero certi che, nel corso dell’esperienza puramente intellettuale dell’ascesa a Dio, si colga veramente quest’ultimo, e non invece appena un’estensione ipertrofica di sé stessi?

2) si può essere davvero certi che la nullità ontologica dell’ente finito umano possa davvero permettere un’ascesa a Dio, del tutto priva del soccorso della Grazia, che ricostituisca realmente l’uomo nella sua divinità?

In termini più semplici la questione è in che modo, concretamente, gli gnostici più integralisti vivono le loro convinzioni sul piano dell’esperienza religiosa e della fede. E qui non è affatto sufficiente invocare la necessità di maestri e prassi iniziatiche.

Va peraltro rilevato che uno dei più grandi sostenitori dell’assoluta identità uomo-Dio in ambito cristiano, Meister Eckhart, condizionò strettamente quest’ultima proprio al riconoscimento umano-terreno della propria nullità ontologica.15

Insomma ciò che viene postulato dalla Gnosi Integrale può essere anche vero. Ma in realtà molto probabilmente è vero solo in quanto ci rinvia all’assoluta necessità di uno svuotamento per poter fare davvero spazio all’identificazione con Dio da parte di un ente terreno che è in sé irrecuperabile al divino. Si tratta insomma di quella “kenosis” di cui molto profondamente parlò Simone Weil.16

Il fatto fondamentale che la Gnosi Integrale sembra volere ignorare è pertanto quello costituito dall’estrema prudenza che l’uomo deve adottare nel concepire l’atto di approssimazione a Dio partendo da quella sua così difettiva e tragica condizione immanente. Che egli non può negare nemmeno per un attimo senza rendersi in tal modo scarsamente onesto, se non mentitore.

E qui va detto che (nonostante i propri eccessi) l’esistenzialismo filosofico ci ha mostrato le cose esattamente come stanno. In altre parole l’uomo non può in alcun modo parlare di Dio, e meno che mai progettare l’ascesa a Lui, senza prima essersi messo in ginocchio. E qui non si tratta del sottomettersi remissivamente ad un malefico e dispotico Dio demiurgico.

Si tratta invece di concepire l’infinito amore di Dio nel mentre però si è lucidamente consapevoli dell’immenso jato ontologico che separa l’umano-terreno dal trascendente-divino. Jato che effettivamente può essere superato solo nel concorrere del così impetuoso Amore divino – per mezzo della Sua manifestazione cristica (Grazia) – con il nostro contemporaneo atto di auto-annullamento (atto altrettanto amoroso).

Ebbene questa serie di questioni trovano perfetta collocazione a margine della complessiva esposizione della realtà metafisica della Sophia, così come si ritrova nella Sofiologia (Solov’ëv, Florenskij) e nella Mariologia (Monfort).

La prima dottrina infatti – oltre a concepire in modo chiaro e netto la Sophia come una Madre di Dio (Maria Vergine), la cui immanentizzazione quale Sapienza è ispirata al più materno amore (fino a farsi matrice stessa degli esseri nella sua equivalenza all’Anima Mundi) – ci mostra anche come l’aspetto più rilevante della manifestazione di tale entità stia (specie secondo Solov’ëv) in quella dimensione ecclesiale e umano-societaria (storica e carnale) che è poi da considerare come lo stesso ultimo elemento della dinamica trinitaria, ossia lo Spirito. Il che poi conferma l’idea espressa da Edith Stein di un Femminile divino da intendere sostanzialmente come lo Spirito Santo stesso.17

In ogni caso è proprio in tal modo che la stessa Sapienza Divina (quale Intelligenza creativa) si sposta sul piano immanente per trasfigurare il mondo (per mezzo dell’azione umana) nel senso del recupero della sua perfezione ideale (di cui la Bellezza è chiara espressione). Comunque è proprio entro tale sfera di idee che Florenskij traccia chiaramente (anzi in modo molto severo) i limiti tra un’ascesa a Dio unicamente orgogliosa (quindi fatalmente illusoria, ed alla fine anche demoniaca) ed invece un’ascesa a Dio davvero autentica; ciò in quanto accompagnata dall’umiltà e dalla dimenticanza auto-sacrificale di sé.

La seconda dottrina poi pone la Sophia come quell’entità divina Femminile con la quale ci si pone in contatto in una preghiera (sempre accompagnata dalla meditazione dei misteri cristici), la quale va sempre di pari passo con l’esperienza religiosa che sta immersa nel pieno della nostra tragica esistenza; ossia con tutte le tribolazioni e debolezze impotenti che in essa insorgono.

In tale complessiva esperienza si invoca insomma la Vergine Maria quale Madre amorosa ed anche Sapienza divina. La quale (ricollegandoci al Logos cristico) ci dona la luce per procedere nelle tenebre. Ebbene, molteplici sono le lacunosità dottrinarie (e perfino molto probabili reticenze) di tale dottrina, una volta che essa sia stata esaminata alla luce di quella metafisico-tradizionale.

Molteplici sono pertanto anche i punti di appiglio per una critica ad essa (giustificata soprattutto dalla già commentata necessità di chiarezza ed autenticità). Eppure sta di fatto che essa si presta al vissuto di fede molto più di qualunque rigorosa ed ineccepibile dottrina intellettualistica.

È in questo complessivo modo (sebbene qui descritto in maniera molto sintetica) che ho giustificato nella mia investigazione la necessità di coinvolgere anche queste due visioni in un’esposizione davvero completa della dottrina della Sophia.

In ogni caso ho mostrato anche il non trascurabile contributo che esse offrono all’oggettività dottrinaria – e ciò in relazione agli aspetti più carnali-immanenti della Sophia, ossia in stretta relazione con la sua equivalenza all’”animicità corporale”. Cosa che riguarda poi molto da vicino la definizione metafisico-religiosa del Femminile.

È pertanto proprio in relazione a tale aspetto che un cenno va fatto all’espressa menzione che, nella nostra investigazione, ho fatto della dottrina del Femminile divino così come esposta da Edith Stein (nel contesto di una sua presa di posizione decisamente mariologica). Tale contributo mi è sembrato davvero fondamentale.

Perché esso non solo esso ricollega direttamente la dottrina della Sophia alla questione metafisica del Femminile divino, ma inoltre pone chiaramente la questione della valenza di quest’ultimo come paradigma del femminile in generale. Il che poi pone necessariamente sul tappeto diversi aspetti della cosiddetta «questione femminile» così come si è posta nella moderna consapevolezza. In questo la pensatrice è molto coraggiosa, oltre che estremamente lucida dal punto di vista filosofico-scientifico.

Ella infatti (da fenomenologa) pone in modo ben chiaro la realtà essenziale della cosiddetta “anima femminile”, e trae da quest’ultima tutte le coraggiose conseguenze che da essa sono da trarre. Ella parla infatti degli enormi rischi comportati dall’anima femminile quando impersonata appena sul piano meramente materialistico, ossia al di fuori di un suo auspicabile conformarsi al relativo paradigma metafisico.

Inoltre, proprio sulla base di quest’ultimo, la pensatrice pone in modo chiaro anche la necessità di una “sottomissione” della donna all’uomo – ma ciò non al di fuori dei termini eticamente rigorosi in cui essa è stata posta nelle Lettere paoline, e cioè sullo sfondo di una necessità altamente religioso-spirituale (e comunque mai senza una contemporanea totale dedizione dell’uomo alla sua donna).

Pertanto è proprio su questa complessiva base che la Stein fonda l’affermazione di una straordinaria dignità della donna. La quale comporta esattamente il conformarsi di essa al paradigma divino-femminile di Maria Vergine quale Madre dei Viventi ed anche Chiesa-Umanità quale Sposa di Cristo.

Infine va fatto un ultimissimo cenno ad una costatazione molto chiara che è, secondo me, è emersa non corso dell’investigazione. Si tratta del fatto che l’essenza della Sapienza sembra consistere nel riconoscimento di quella che è l’essenza stessa della Realtà, ovvero la sua natura radicalmente spirituale, e cioè, in termini più concreto corpora-spirituale. Mi sembra che le svariate forme in cui la Sophia si presenta a noi non smentiscano mai tale aspetto.

La Sapienza che essa può trasmetterci consiste pertanto esattamente in questo.

 

 

 

Note

1  Platone, Teeteto, Feltrinelli, Milano 2009, 145e-146a p. 41, 149a-152e p. 49-57, 155a-156e p. 67-71, 174-177c p. 123-131, 177e-180d p. 133-141; Platone, Cratilo, Laterza, Roma Bari 2008, XIV, 396cd p. 35-37; Platone, Fedone, Laterza, Roma Bari 2005, 74a-75a p. 49-51; Davide Spanio, La filosofia come ricerca dell’epistéme. Il paradigma del Teeteto platonico, in: Platone, Teeteto... cit., 1-24 p. 257-290; Giovanni Reale, Platone. Alla ricerca della sapienza segreta, XI p 223-239; Davide Spanio, Il mondo come teogonia, Aracne, Roma 2012, Introd., 1-2 p. 13-24; Luciano Montoneri, Il problema del male in Platone, I, IV, 1 p. 96-97.

2  Paul Friedländer, Platone, Bompiani, Milano 2014, II, II, 20 p. 740-741; Luciano Montoneri, Il problema… cit., I, IV, 4 p. 134-136.

3  Platone, Fedro..., Rizzoli Milano 2006, 244a-257b p. 177-227.

4  LMA Viola, La Gnosi Cristica Integrale, Victrix, Forlì 2008.

5   LMA Viola, La Gnosi... cit., I, I p. 28-30, I, II p. 30-32.

6  LMA Viola, La Gnosi... cit., I, Vc p. 79-83, I, VIa p. 101-104.

7  LMA Viola, La Gnosi... cit., I, III p. 34-37, IVa p. 37-47.

8   LMA Viola, La Gnosi... cit., VIbc p. 99-127.

9  LMA Viola, La Gnosi... cit., I, IV p. 37-56.

10 Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone alla luce della "dottrine non scritte", Bompiani, Milano 2010, III, XI, II p. 323-336, III, XVI, p. 434-453, IV, XVI  p. 497-544, IV, IV, XVIII, p. 583-597.

11 Luigi Moraldi (a cura di), Pistis Sophia, Adelphi, Milano 2014.

12 Marcello Craveri (a cura di), I Vangeli apocrifi, Einaudi, Torino 1969.

13 Elena Gritti, Proclo. Dialettica anima esegesi, LED, Milano 2008, II, 1 p. 67-87.

14 Giovanni Reale, Per una nuova... cit., I, VII, I-IV p. 214-227, III, XII, I-V p. 362-388.

15 Meister Eckhart, Predica 25 (Q 26), in: Loris Sturlese, Meister Eckhart, Bompiani, Milano 2014, p. 391-401; Meister Eckhart, Predica 39 (Q 36b), ibd. p. 561-573.

16 Simone Weil, L’ombra e la grazia, Bompiani, Milano 2002, p. 61-63; Miklos Vetö, La metafisica religiosa di Simone Weil, Arianna, Casalecchio 2001, p. 69-84.

17 Edith Stein, Die Frau, Herder, Freiburg 2000, 6, I-IV p. 80- 112.

 

 

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