Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

La Setta dell’Unità Italiana di Napoli

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Saverio Musolino, in occasione dell’uscita nelle sale del film Noi credevamo del regista Mario Martone, scrisse:

«Un’unificazione fatta dal Nord – guidata dal Piemonte – venuto a liberare e civilizzare un Sud represso e incapace di autodeterminazione è una tesi storica inaccettabile nel momento in cui non prende in considerazione, si trascurano i sacrifici di tanti patrioti meridionali, tra i primi ad avere consapevolezza della necessità e di un’Italia Unita con una Costituzione».

C’è un orgoglio del Sud di rivendicare, indipendenza, unità costituzione e libertà tanti anni prima degli eventi del 1860, che Saverio Musolino esplicita in questi termini:

«Il contributo meridionale non fu subalterno ai disegni che maturarono in altre parti d’Italia: il Mezzogiorno volle l’Unità e fu determinante nel realizzarla e nel modo in cui essa si realizzò. I propositi degli organizzatori sono fondati. Il Sud non fu subalterno né sotto il profilo organizzativo né sotto quello dell’azione: basti pensare che la Giovane Italia diffusa nel Mezzogiorno non fu quella del Mazzini, come ancora si sente ripetere, ma quella ideata dal calabrese Benedetto Musolino, cui aderì prontamente il Settembrini e che contribuì a diffondere, già nei primi anni ‘30, l’ideale di un’Italia una, libera e repubblicana».

In tale contesto si colloca anche l’esperienza della Setta dell’Unità Italiana di Napoli, costituitasi dopo i moti costituzionali del 1848. La Setta si differenziava dalla Giovane Italia mazziniana in quanto raccoglieva le proprie adesioni per lo più in ambienti di patrioti di fede monarchica.

 

Una sorta di programma della Setta dell’Unità Italiana fu pubblicato sotto forma di lettera da uno dei principali promotori, Nicola Nisco, sul giornale l’Unione dell’11 novembre 1848:

«Non credo che ad un uomo liberale possa venire più desiderato pensiero che del fare con animo franco e fronte alta la professione di fede politica, quando si ha la coscienza che il programma della propria vita riposi nei fatti e nelle parole. La sovranità del popolo svolta secondo il caso di un sistema di necessità e di provvidenza che il mondo morale regola e governa, è la mia massima fondamentale, come l’indipendenza e la nazionalità d’Italia è il principalissimo mio scopo, ed il più caro mio desiderio, perocché stimo che l’autonomia delle nazioni civili è la conseguenza necessaria della personalità dei popoli dalla quale deriva ogni sociale benessere. Zelantissimo poi dell’ordine e della prosperità duratura della nostra comune Madre Patria, l’Italia, io sono propugnatore del progresso, non della conservazione, della politica, cioè, di vita, non quella di morte».

Il testo della lettera, che rivendicava Indipendenza, l’Unità e la Sovranità popolare, pur senza far riferimento alla forma costituzionale repubblicana, non poteva non destare indagini da parte del governo borbonico che scoprì, tramite i rapporti epistolari dello stesso Nicola Nisco con Cesare Braico, Filippo Agresti, il medico Tartaglia e con i popolani Pasquale Chiungi e Giovanni Cangiano, la diffusione dell’associazione patriottica a Napoli. Inoltre fu accertato che il Nisco, insieme a Giuseppe Caprio, avevano  propagandato gli ideali libertari tra le stesse forze dell’ordine. Dopo il loro arresto nei mesi successivi furono identificati e arrestati molti aderenti.

Nella notte dal 16 al 17 marzo 1849 fu arrestato Filippo Agresti, che aveva rapporti con il sergente Michele Di Leo e altri militari. Il 23 giugno 1849 scattarono gli arresti per  Luigi Settembrini e Carlo Poerio, che già aveva conosciuto il carcere per le sue idee liberali  prima dei moti costituzionali del 1848.

La scoperta della Setta dell’Unità Italiana di Napoli, nel processo del primo giugno del 1850, vide l’arresto di ben 42 patrioti:

 

Nicola Nisco, di anni 30, proprietario.

Felice Barilla, di anni 40, sacerdote.

Filippo Agresti, di anni 52, proprietario.

Antonio Leipnecher, di anni 36, negoziante di fiori.

Luigi Settembrini, di anni 36, professore di lettere.

Michele Pironti, di anni 33, avvocato.

Michele Persico, di anni 35, negoziante.

Francesco Gualtieri, di anni 26, ricevitore della Real Strada ferrata.

Carlo Poerio, di anni 48, avvocato.

Ferdinando Carafa dei Duchi d’Andria, di anni 32, proprietario.

Gaetano Romeo, di anni 45, tipografo.

Ludovico Pacifico, di anni 40, cantante.

Cesare Braico, di anni 29, medico.

Francesco Nardi, di anni 35, sacerdote.

Giuseppe Tedesco, sacerdote.

Francesco Cocozza, di anni 35, proprietario.

Salvatore Brancaccio, di anni 66, legale.

Giovanni Di Giovanni, di anni 40, farinaio.

Giuseppe Caprio, di anni 38, falegname.

Emilio Mazza, di anni 41, servo di pena nei ferri.

Giovanni Miraglia, di anni 20, impiegato.

Vincenzo Dono, di anni 44, farmacista.

Salvatore Colombo, di anni 40, caffettiere.

Lorenzo Vellucci, di anni 23, scribente.

Achille Vallo, di anni 23, soldato congedato.

Francesco Catalano, di anni 27, proprietario.

Errico Piterà, di anni 20, calligrafo.

Salvatore Faucitano, di anni 42, appaltatore.

Gaetano Errichiello, di anni 40, fabbricante di tessuti.

Giovanbattista Torassa, di anni 52, meccanico.

Luciano Margherita, di anni 27, architetto.

Francesco Cavaliere, di anni 56, medico.

Giovanbattista Sersale, di anni 55, caffettiere.

Giovanni De Simone, di anni 38, profumiere.

Francesco Antonetti, di anni 35, commesso spedizioniere.

Pasquale Montella, di anni 44, cantiniere.

Niccola Molinaro, di anni 40, sacerdote.

Antonio Miele, di anni 35, sacerdote.

Raffaele Crispino, di anni 50, già cancelliere di Giudicato Regio.

Niccola Muro, di anni 56, cuoco.

Vincenzo Esposito, di anni 24, sartore.

Onofrio Pallotta, di anni 48, brigadiere dei Dazi Indiretti.

 

 

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