Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il Risorgimento democratico di Carlo Rosselli

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Un decisivo interesse verso la valenza storica del Risorgimento italiano si ebbe nel corso degli anni trenta del Novecento, in particolare all’interno del movimento “Giustizia e Libertà”, quando Carlo Rosselli (Roma, 16 novembre 1899 – Bagnoles-de-l’Orne, 9 giugno 1937) valorizzò, in opposizione e in contrasto con la storiografia ufficiale del regime fascista, l’idea di un “Risorgimento democratico”.

In effetti, durante questo periodo storico, si era cercato con forza di realizzare una continuità tra camicie rosse e camicie nere, di cui si rese promotore non solo Ezio Garibaldi, ma tutti gli intellettuali del Fascismo, tra cui Giovanni Gentile, il quale nell’ “Enciclopedia Italiana” scrisse:

“Dunque, il Fascismo è figlio del Risorgimento: del Risorgimento eroico, creatore di uno Stato moderno, che è potenza politica, in quanto potenza economica e civiltà”.

All’aulicità e al mito del Risorgimento monarchico, il movimento “Giustizia e Libertà” oppose una lettura completamente differente del Risorgimento tramite i contributi di Andrea Caffi, Nicola Chiaromonte, Alberto Cianca, Aldo Garosci, Emilio Lussu, Fausto Nitti, Franco Venturi e Carlo Rosselli.

Quest’ultimo, in particolare, assunse una posizione mirata a confutare il mito fascista del Risorgimento per opporre un Risorgimento democratico, da recuperare e a cui si mostrava opportuno ispirarsi nella lotta contro il Fascismo.

Carlo Rosselli, nel 1935, così esponeva la sua idea di “Risorgimento democratico”: “Non si tratta di risolvere un problema di storiografia, ma di sapere se ed entro quali limiti il movimento rivoluzionario italiano possa collegarsi al Risorgimento o a talune correnti di esso, oppure se debba farne tabula rasa lasciandone il monopolio al Fascismo”.

 

Nel prosieguo della sua lettura del Risorgimento, inoltre scriveva che “ci sono due Risorgimenti: il Risorgimento ufficiale, prima neoguelfo, poi sabaudo, e sempre moderato, che prende il sopravvento con l’entrata in campo del Piemonte e la liquidazione del moto popolare, e il Risorgimento popolare, che venne preparandosi tra il 1830 e il 1848 e che ha nel ’48 il suo periodo gloriosissimo e poi, dopo tentativi di insurrezione operaia a Milano nel 1853, la spedizione di Pisacane nel 1857, finalmente ottenne un successo decisivo con la spedizione dei Mille nel 1860, piegata sotto l’abilissima manovra di accerchiamento del Cavour […]

In riferimento al tentativo mazziniano di Milano del febbraio del 1853, Carlo Rosselli evidenziava come quel movimento popolare, a cui avevano partecipato ben duemila operai organizzati, fosse stato ignorato allora dai giornali piemontesi e successivamente dalla storiografia ufficiale del regime fascista.

Rosselli si soffermava sul carattere del “Risorgimento democratico”, inteso come l’espressione di quell’Italia “più vera e più grande, di Mazzini, Garibaldi, Pisacane”, una Italia in cui i contadini e gli operai, con le loro rivendicazioni sociali, associate a quella dell’Indipendenza e dell’Unità, connotavano in senso sociale la loro idea di libertà, che comprendeva anche quella di miglioramento delle loro condizioni di vita.

“Per i popolani della città - scriveva Rosselli- si arrivava alla lotta contro l’Austria attraverso la lotta per le libertà sostanziali, contro la coscrizione, il fiscalismo, la disoccupazione, l’emigrazione. L’insurrezione del ’48 fu preceduta dai tumulti sociali provocati dai pessimi raccolti del ’46 e del ’47 e da un inizio nel Nord e nel Sud di agitazioni artigiane e contadine.

Nel ’48 la corrente popolare rivela tendenze socialiste spiccatissime che saranno rafforzate dagli echi del movimento francese, scioperi e rivendicazioni economiche nelle principali città e occupazioni di terre comunali in tutto il Mezzogiorno”.

Quindi, per Rosselli, nel Risorgimento democratico si mostrava assolutamente falso una dissociazione del problema dell’Indipendenza e dell’Unità da quello della libertà sociale, ideale che accomunava tanti uomini, tra cui gli stessi Mazzini e Garibaldi, ma soprattutto Carlo Cattaneo Giuseppe Ferrari, Carlo Pisacane a Giuseppe Montanelli.

Soprattutto durante il periodo fascista si operava un’inaccettabile continuità tra camicie rosse e camicie nere da parte degli intellettuali più influenti del regime, per cui si mostrava necessario rilanciare il “Risorgimento democratico”, tenendo presente la tesi storica di Carlo Marx  secondo cui“non è possibile rigenerazione e rivoluzione sociale sotto un dominio straniero”.

 

 

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