L'amata Verità di Giuseppe Moscati

Categoria principale: Storia
Categoria: Storia Contemporanea
Creato Venerdì, 14 Aprile 2017 16:06
Ultima modifica il Sabato, 22 Aprile 2017 08:21
Pubblicato Venerdì, 14 Aprile 2017 16:06
Scritto da Antonella Orefice
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Forse la decisione di scegliere la professione medica fu influenzata dall’amore profuso nella cura del fratello Alberto segnato da un trauma inguaribile dopo una caduta da cavallo. Giuseppe Moscati si era confrontato allora in prima persona con il dramma della sofferenza umana e l’inesorabilità della morte.

Settimo di nove figli, nacque a Benevento il 25 luglio 1880  dal magistrato Francesco Moscati e Rosa De Luca, dei marchesi di Roseto.

L’anno dopo la famiglia Moscati si trasferì ad Ancona e poi a Napoli, dove Giuseppe compì i suoi studi prima liceali al "Vittorio Emanuele " e poi  universitari presso la facoltà di medicina.

Nel 1903 conseguì la laurea con pieni voti e dall’anno successivo iniziò a prestare servizio di coadiutore all'ospedale degl'Incurabili di Napoli.

Da allora si successero una serie di nomine a coadiutore ordinario,  poi, in seguito  a direttore di sala, cioè a primario.

Durante la prima guerra mondiale fu direttore dei reparti militari negli Ospedali Riuniti.

 

A questo brillante "curriculum " ospedaliero si affiancarono le diverse tappe di quello universitario e scientifico: la libera docenza in Chimica fisiologica, le " Indagini di laboratorio applicate alla clinica " e la " Chimica applicata alla medicina”.

Celebre, ricercato ed ancora giovanissimo, il professor Moscati conquistò ben presto una fama di portata nazionale ed internazionale per le sue ricerche di pioniere soprattutto sul glucosio, pubblicate  in varie riviste scientifiche che gli assicurarono un posto d'onore fra i medici ricercatori della prima metà del nostro secolo.

Ma a prescindere dai geniali risultati delle sue ricerche, più di ogni altra cosa fu la sua stessa personalità a lasciare un'impressione profonda in coloro che lo incontravano, la sua esistenza semplice ed intrisa di fede e carità verso Dio e verso gli uomini.

La fede era la sorgente di tutta la sua vita e nei suoi pazienti vedeva il Cristo sofferente da amare e da servire.

Per lui non esistevano contrasti tra la fede e la scienza: come ricercatore era al servizio della verità e la verità non era mai in contraddizione con se stessa.

“Ama la verità; mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio”.

Mosso da questo slancio di amore generoso si  prodigava senza sosta per chi soffriva.

Non attendeva che i malati andassero da lui, ma andava a cercarli lui stesso nei quartieri più poveri ed abbandonati della città, curandoli  con i suoi propri guadagni, suscitando per questo l’affetto e l’ammirazione dei suoi pazienti più bisognosi.

“E’ mia abitudine di parlare agli infermi di cose oltre il corpo, perché essi hanno anche un’anima”. Così divenne l'apostolo di Gesù praticando con carità cristiana la cura gratuita verso gli oppressi assetati di verità e di bontà.

“Chi ha metta, chi non ha prenda” così recitava una scritta posta su un cappello rovesciato sulla sua scrivania, mentre gli anni accrescevano la sua fama e il fuoco dell'amore lo divorava,  tanto da ridurlo a vivere di stenti, ma felice per la sua missione di infinito amore verso il prossimo.

Aveva solo 46 quando, il 12 aprile 1927, improvvisamente, fu colto dalla morte. Dopo aver partecipato, come ogni giorno, alla Messa e aver ricevuto la Comunione, aveva trascorso la mattinata in Ospedale per poi tornare  alle consuete visite dei pazienti che andavano nella sua casa in Via Cisterna dell’olio, 10.
Ma verso le ore 15 si sentì male, si adagiò sulla poltrona, e poco dopo incrociò le braccia sul petto e spirò serenamente.

"È morto il medico santo". Con queste parole fu propagata di bocca in bocca la triste notizia, parole che riassunsero tutta la sua vita e che avrebbero ricevuto il 16 novembre 1975, il suggello ufficiale della Chiesa.

Il dolore di tutti fu unanime.  Nel registro delle firme, posto nell'ingresso della casa, tra le altre fu trovata questa frase: "Non hai voluto fiori e nemmeno lacrime: ma noi piangiamo, perché il mondo ha perduto un santo, Napoli un esemplare di tutte le virtù, i malati poveri hanno perduto tutto!"

Ma “La vita non finisce con la morte – aveva scritto lui quasi in risposta tra le sue memorie – la vita continua in un mondo migliore (…) Grandiosa Morte, che non è fine, ma principio del sublime e del divino”.
Il corpo del prof. Moscati fu sepolto nel Cimitero di Poggioreale, nella congrega SS.Trinità dei Pellegrini.
Tre anni più tardi, con una solenne cerimonia, fu trasferito nella Chiesa del Gesù Nuovo dove anni dopo fu deposta anche la salma della sorella Nina che per tutta la vita lo aveva aiutato nell’esercizio della sua carità, donando poi  alla chiesa del Gesù Nuovo il vestiario, il mobilio, e le suppellettili del fratello.

Ricette, strumenti e tanto altro materiale appartenuto al medico santo è stato raccolto anche nelle sale del Museo delle Arti Sanitarie nell’Ospedale degli Incurabili diretto dal prof. Gennaro Rispoli che tra “scienza e religione” ne perpetua costantemente la memoria.

E oggi, a distanza di novanta anni dalla sua morte, ancora aleggia in quei luoghi la presenza viva di Giuseppe Moscati, che avvolto in un bagliore di luce, continua a “graziare” con la sua amorevole missione.