Roma. La Repubblica senza segreti
Storia on line. Consultabili tremila documenti, dagli editti di Pio IX alle lettere di Mazzini, compresa la straordinaria raccolta dei giornali popolari dell'epoca. Il mio articolo su Il Messaggero del 9 settembre 2011, a pagina 23.
In quei due anni Roma meritò davvero sul campo, anche di battaglia, l’appellativo di capitale, circa vent’anni prima che il sogno diventasse realtà, e costituì uno straordinario laboratorio politico, raccogliendo da ogni parte d’Italia ebrei cattolici e agnostici, nobili borghesi e popolani, le migliori intelligenze e i più arditi uomini e donne d’azione, dall’impavido Giuseppe Garibaldi, nativo di Nizza, al napoletano Carlo Pisacane, dalla pasionaria principessa milanese Cristina Trivulzio di Belgioioso al carrettiere romano Angelo Brunetti detto “Ciceruacchio”, fino al maître à penser della rivoluzione Giuseppe Mazzini, genovese, convocato nell’Urbe dal concittadino Goffredo Mameli, l’autore del testo dell’inno d’Italia, con un telegramma sintetico ma di rara incisività: “Roma Repubblica venite!”.L’aspetto meno conosciuto, che emerge con vivacità dai documenti presenti nella banca dati della Biblioteca, è che il sogno della Repubblica non fu coltivato solo da patrioti, rivoluzionari, agitatori politici e studenti, ma coinvolse e scosse nel profondo dell’anima anche il popolino romano, risvegliandolo dal torpore dei secoli passati. Lo testimonia tra l’altro l’incredibile fiorire di giornali, ben 76 solo tra quelli presenti nell’archivio, la maggior parte dei quali nasce e muore tra il 1848 e il 1849. “Oggi, corpo de checca! – commenta nel settembre del 1848 uno di essi, “Er Rugantino” – (…) quasi tutti piiano la penna in mano pe scrivene”. Ce n’è per tutti i gusti, dai fogli di spirito patriottico o più impegnati, a quelli ironici e dissacranti dai nomi bizzarri (“Il menimpippo”, “Il Lanternino del diavolo”, “La befana”, “Il diavolo zoppo”, “Il fanfulla”, “Il birichino di Roma”, “Don Ciccio” etc.).Nel portale è presente ad esempio la raccolta completa dei numeri de ”Il Monitore romano”, giornale “officiale” del triumvirato della Repubblica Romana, che pubblicò il testo della Costituzione della Repubblica approvato il 3 luglio 1849, mentre i francesi penetravano nella città, che poi costituirà una delle fonti principali della costituzione italiana del 1948. Ma forse è dai giornali popolari o da quelli più leggeri o satirici che vengono fuori le curiosità inedite o gli aneddoti più umani e divertenti. “Il don Pirlone” riproduce le grottesche e irriverenti vignette dell’epoca, come quella in cui un angelo fa osservare a Pio IX che il su Regno “non è di questa terra” e gli indica la Croce di Cristo da seguire, o quella che raffigura Papa Pacelli nelle vesti di un pagliaccio e il Re di Napoli in quelle di Pulcinella o ancora il Generale Oudinot (comandante delle truppe francesi) vestito da sacerdote che passa in rivista la sua armata di preti o quella finale, negli ultimi giorni di resistenza, di Luigi Bonaparte che sotterra la Repubblica romana mentre il gallo (simbolo della Francia) gli chiede se sia morta davvero.Altrettanto interessanti “Er Rugantino”, tutto scritto in romanesco (“ogni foio costa un chiodo”), che si autodefinisce “giornale-criticante-politicone-ficcanaso”, “viè fora quanno se trova de vela” e cerca di spiegare i complicati fatti politici al popolo minuto, da Pippo er tripparolo agli avventori dell’Osteria der grancio, e l’altro foglio nazional-popolare “Pasquino gazzettiere quotidiano”, che fino al sesto numero sulla testata reca scritto “Viva l’Italia. Viva Pio IX. Fuori lo straniero”, ma nel maggio 1848, dopo il voltafaccia del Papa, sostituisce la frase inneggiante al pontefice con “Viva la indipendenza”. Anche questo fu il Risorgimento. |
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