Emilio Sacerdote, il servitore dello Stato che non piegò la schiena e scelse la lotta
All’inizio del 1938, quando il regime fascista scatenò una violenta campagna antiebraica, Sacerdote si trovava a Milano. Offeso in quanto ebreo durante una pubblica udienza, amareggiato lasciò la magistratura. Pochi mesi dopo, a seguito delle leggi razziali, fu radiato anche dall’Albo degli avvocati.Lo scoppio della seconda guerra mondiale, nel giugno del 1940, lo colse in una posizione di perseguitato razziale, che si fece drammatica dopo l’8 settembre 1943 e l’occupazione tedesca del centro nord dell’Italia, quando i nazifascisti iniziarono la caccia agli ebrei. Emilio decise di non fuggire in Svizzera ma di opporsi ai tedeschi e alla nascente Repubblica Sociale di Mussolini. Fu tra i primi ad arruolarsi nella Resistenza, entrando nella formazione autonoma della Valle di Viù, una delle Valli di Lanzo vicino a Torino, con il nome di battaglia di “Dote”. Per la sua alta formazione giuridica divenne Presidente del locale Tribunale Partigiano e Capo di Stato Maggiore, mantenendo questi incarichi anche quando passò alla XIX Brigata Garibaldi e poi alla IV Divisione Giustizia e Libertà.Fu una delazione a tradirlo il 30 settembre 1944, quando venne arrestato dai fascisti a Lemie (Torino), rinchiuso alle Carceri Nuove di Torino e poi trasferito nel campo di Bolzano. La sua condizione di ebreo fu nel frattempo scoperta per denuncia dello stesso delatore. Da alcune lettere clandestine che riuscì a scambiare con i suoi familiari grazie all’aiuto di un autista della Lancia (i cui originali sono stati recuperati da Gianfranco Moscati e donati, insieme alla sua vastissima collezione di documenti sulla Shoah e sulla storia ebraica, all’Imperial War Museum di Londra) apprendiamo dell’aggravarsi della sua situazione a Bolzano. «Soffro moralmente tanto, tanto, tanto come non potete immaginare, e patisco anche la fame, proprio così, la fame», scrisse. Lamentandosi della pesantezza del suo lavoro «di pala e picco» sulla strada.Il 14 dicembre 1944 fu lui stesso ad annunciare con un biglietto a casa la sua partenza per i Lager del Reich, di cui certo ignorava l’orrore: «Carissime, lascio oggi Bolzano e parto per la mia nuova residenza. Di salute sto benissimo; vi ho in cuore con me; non posso scrivere di più; cari baci, mie adorate; tutti i mie baci Emilio».La sua destinazione era Flossenbürg, in Germania, dove resistette quasi fino alla liberazione. Venne quindi trasferito a Bergen Belsen, come risulta da una Transportliste dell’8 marzo 1945. Questo documento, che porta chiara l’indicazione “it. Jude” (italiano Ebreo), precedente di due mesi alla fine del conflitto, è l’ultima traccia di vita che abbiamo di lui. |
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