La reazione dei casertani monarchici dopo il 2 giugno del 1946

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Il 2 giugno 1946 fu il giorno della caduta delle illusioni per la provincia di Caserta, il “brusco colpo” inatteso, in quanto non solo la Repubblica usciva sconfitta con appena il 16.88% dei consensi, ma anche il Pci subiva una débacle tanto che in ben 29 comuni il voto al partito fu inferiore al numero degli iscritti.

Usciva dalle urne una provincia fortemente monarchico-sabauda,  la seconda d’Italia. Quando fu annunciata la vittoria della Repubblica, la reazione monarchica a Caserta impegnò in maniera rilevante le forze dell’ordine.

In data 17 giugno 1946, il Prefetto relazionava una manifestazione a carattere separatista innanzi al Palazzo Reale dove aveva sede il quartier generale alleato.

Erano giunti  nel capoluogo manifestanti monarchico-sabaudi da tutta la provincia per rivendicare la separazione dal Nord che si era espresso ampiamente per la Repubblica.Dare l’83% di consenso ai Savoia e doverli vedere allontanarsi non era facile da accettare per una provincia, che in alcune realtà si era espressa con oltre il 90% a favore della monarchia, sfiorando nell’agro caleno la totalità dei voti.

Nei giorni successivi vi furono assalti a sezioni dei partiti che si erano espressi per la Repubblica. Secondo la ricostruzione dello storico Giuseppe Capobianco, ricavata dai documenti dell’Archivio centrale di Stato di Roma, il 9 giugno i monarchici bruciarono la sezione di Brezza e il 10 quella comunista di Grazzanise. 

 

A Maddaloni, sempre più intolleranti verso i pochissimi repubblicani, volevano costringere alcuni di loro a gridare “viva il Re”. Al rifiuto seguì una zuffa  che terminò con la morte di un monarchico, finito accoltellato nella bolgia.

Le forze dell’ordine dovettero respingere con forza i tentativi di assalto dei monarchico-sabaudi ai Municipi di Capua e Maddaloni.

Non riuscirono, invece, ad impedire la devastazione della Prefettura di Caserta. Vi era il sospetto di brogli oltre ad un attaccamento alla monarchia Savoia, come dimostreranno le elezioni successive in cui i Monarchici riportarono consensi rilevanti in provincia di Caserta.

Giuseppe Capobianco, nell’analizzare quegli anni di sommosse contro la Repubblica nella provincia casertana, le ha definite un’efficace campagna  “sanfedista” volta a qualificare i repubblicani comunisti come  “nemici della patria, della religione e della famiglia”.

Adoperare un termine risalente al lessico dei reazionari di fine Settecento, difensori dell’Antico Regime, in un contesto storico decisamente più “evoluto” potrebbe apparire un pò ” forzato”, ma Capobianco ne fece largo uso per operare delle distinzioni.

I centri urbani, che erano più restii a farsi influenzare dalla propaganda “sanfedista”, si difesero bene come Piedimonte d’Alife con il 36.58% per la Repubblica, Recale con il 39.59% , Marcianise con il 32.40, le stesse Capua, Caserta e Sessa che raggiunsero rispettivamente il 25% il 22%.04% e il 22.46% . Maddaloni e Santa Maria che raggiunsero il 20% . San Potito Sannitico con il 45.83% e Tora e Piccilli con 39.06  erano da considerarsi roccaforti socialiste e comuniste.

Furono i piccoli centri rurali a cedere alla propaganda  “sanfedista” dove  si registrarono punte di più del 90% di consenso per la Monarchia Sabauda, in primis i centri dell’Agro Caleno, compreso Calvi e Sparanise, a cui nulla giovò la notorietà di Corrado Graziadei e Benedetto D’Innocenzo. Evidentemente i momenti decisivi delle battaglie contadine di questi uomini erano ancora ai primordi e in quegli anni erano noti soprattutto per le sofferenze patite durante il Fascismo.

 

 

Bibliografia:

Giuseppe Capobianco, Sulle ali della democrazia,  Caserta, 2004.

 

 

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