Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Nolte, primo dei revisionisti

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Il principe della corrente revisionista della storia del Novecento o uno storico coraggioso che ha rotto il muro del conformismo su quel periodo così controverso?

Il tedesco Ernst Nolte, scomparso il 18 agosto 2016 a  Berlino all’età di 93 anni, è stato almeno fino a un certo punto sia l’uno sia l’altro, in modo a volte contraddittorio e fuori dai canoni, strizzando però troppo l’occhio al negazionismo nella fase discendente della sua parabola di studioso.

Originario di Witten, nel Nord Reno-Westfalia, nel gennaio 1923, Nolte nasce filosofo, laureandosi a Friburgo e avendo maestri del calibro di Martin Heiddeger e Eugen Fink, con il quale nel 1952 consegue il dottorato con una tesi sull’idealismo tedesco e Marx.

Ma ben presto si dedica alla ricerca storica, diventando professore emerito di storia contemporanea all’università di Marburgo e alla Freie Universitat di Berlino.

Il suo primo saggio, intitolato “Il fascismo nella sua epoca” (tradotto in italiano in “I tre volti del fascismo”), esce nel 1963 e viene ben accolto dall'opinione pubblica di matrice progressista, che condivide la riabilitazione della categoria di “fascismo” come concetto storiografico a sé stante rispetto al totalitarismo, nelle tre versioni del “pre-fascismo” dell'Action francaise di Charles Maurras, del fascismo di Mussolini e del “fascismo radicale” di Hitler.

 

Nei due decenni successivi Nolte approfondisce e radicalizza la sua tesi sulle origini del fascismo, anticipandola a grandi linee il 3 giugno 1986 sul quotidiano “Frankfurter allgemeine zeitung”, con un articolo intitolato “Il passato che non passa” e illustrandola l'anno successivo nel volume “La guerra civile europea 1917-1945”.

Rifiutandosi giustamente di considerare il nazismo come “il male assoluto” e ritenendo necessario analizzarlo come qualsiasi altro fenomeno storico, Nolte sostiene però che il fascismo e il nazismo costituiscono la reazione alla minaccia esistenziale rappresentata dal bolscevismo, proponendo quindi un nesso causale tra le due grandi ideologie totalitarie del Novecento: il comunismo e il nazionalsocialismo.

Per lo storico tedesco, la rivoluzione di ottobre del 1917 è la condizione necessaria per l’affermazione del fascismo, sia nella sua versione italiana, sia in quella “radicale” di  Adolf Hitler. Il successo e il seguito del fascismo si spiegherebbero in quanto esso si oppone come controrivoluzione militante alla rivoluzione bolscevica, che dall'ex impero di Russia minaccia di diffondersi in tutta Europa.

Nella visione di Nolte, il nazismo sarebbe andato a scuola dal bolscevismo, perché ne adotta i metodi e le pratiche brutali. In questo quadro i gulag e lo sterminio di classe di milioni di kulaki da parte di Stalin precederebbero Auschwitz e la Shoah degli ebrei e ne costituirebbero anche, in un certo senso, la premessa indispensabile. 

La tesi  di Nolte provoca un acceso dibattito in Germania denominato Historikerstreit , “controversia degli storici”, i quali si dividono in due tronconi. Il principale critico di Nolte è il celebre filosofo tedesco Jurgen Habermas, che lo accusa di “giustificazionismo” nei confronti delle responsabilità della Germania e del popolo tedesco e di relativizzare l’Olocausto.

Da quel momento Ernst Nolte è considerato il capofila del “revisionismo”, subendo spesso attacchi, minacce fisiche (gli viene incendiata un'auto) e contestazioni, come avviene ad esempio nel 2009 a Trieste, dove il Comune lo aveva invitato a tenere una conferenza per il ventennale della caduta del Muro. 

E quando nel 2000 la fondazione dei cristiano-democratici tedeschi, la Konrad-Adenauer-Stiftung, gli assegna un premio per la letteratura, Angela Merkel, allora a capo del partito, si rifiuta di tenere la laudatio.

I limiti delle tesi di Nolte sono noti. Non convince la ricostruzione delle origini della guerra civile che ha coinvolto l'Europa fino al 1945 e la centralità attribuita alla rivoluzione russa del 1917, senza considerare la crisi del liberalismo, lo stravolgimento provocato dalla Grande Guerra e la precedente incubazione ideologica del nazionalismo, del pensiero antidemocratico e del mito biologista e della razza.

Inoltre Nolte, pur non negando l’Olocausto, derubrica e in qualche modo minimizza l’antisemitismo e il razzismo biologico di Hitler, inquadrando lo sterminio degli ebrei nell’ambito della reazione al bolscevismo.

Una tesi resa ancor più discutibile dalle posizioni anti-israeliane dell’autore, che in interviste ed interventi pubblici non aveva esitato a porre in relazione, in modo poco ortodosso, bolscevismo, nazismo e sionismo. 

Un revisionismo che partendo da basi giuste (la necessità di studiare il nazismo e di non ignorare gli altri stermini e gli altri totalitarismi, a partire dal comunismo sovietico) era però pian piano scivolato verso il negazionismo.

 

Mario Avagliano

 

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