Caterina Volpicelli. Donna della Napoli dell'Ottocento

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Caterina VolpicelliLa persona di Caterina Volpicelli, a somiglianza di altre figure del panorama femminile della Napoli dell’Ottocento, non ha sollecitato finora l’attenzione degli studiosi, come  avrebbe meritato.

Dopo il lavoro di Michele Jetti, che ha il pregio di attingere a documenti di prima mano, ma anche il limite di essere stato scritto in funzione del processo di canonizzazione e con il proposito di edificare,  gli scritti apparsi su questa donna colta e gentile si limitano a ripetere acriticamente quanto detto dal vecchio biografo, senza nessuna preoccupazione di respiro storico.

Il volume A. D. S. C., La pescatrice di anime in mezzo al secolo…La venerabile Caterina Volpicelli fondatrice delle “Ancelle del Sacro Cuore, che vide la luce nel 1966, e la biografia di Carmelo Conti Guglia, pubblicata nel 1981 e ristampata nel 1996, lavori stesi con finalità edificanti, non offrono contributi degni di nota, anche se il profilo tracciato da quest’ultimo si fa apprezzare per qualche buono spunto.

 

Di differente spessore  è il saggio di Giovanni Papa, uscito nel 1981, che avviò un discorso più impegnativo e articolato sulla persona e l’opera della Volpicelli, facendo luce sulle sue relazioni con la francese Louise-Thérèse de Montaignac e i suoi consiglieri Henri Ramière e Jules Chevalier.

L’autore, che conosceva la documentazione concernente la de Montaignac per aver curato la voluminosa Disquisitio de vita et auctoritate della religiosa francese, per conto dell’Ufficio storico della Congregazione per le cause dei santi, ebbe il merito di mettere sotto gli occhi del lettore italiano una corposa serie di documenti, di notevole interesse per chi avesse avuto tempo e voglia di occuparsi della fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore. Ma la scarsa conoscenza dell’Ottocento religioso meridionale fece incorrere l’autore in giudizi per lo meno affrettati su alcune personalità che, per via delle loro cariche istituzionali, ebbero rapporti  con la Volpicelli e la sua opera.

La ricorrenza del primo centenario della morte poteva essere l’occasione propizia per iniziare una riflessione storica appropriata sulla donna napoletana, collocandola nel suo naturale quadro geografico e temporale. Si pensava, infatti, «di cominciare ad uscire da certi canoni di approfondimento di singole figure di santi, per aprirsi alla feconda possibilità di vedere ciascuno di essi in rapporto (biografico, spirituale, geografico …) con altri che, più o meno coevi, svolgevano la propria opera di edificazione della vita civile e della vita ecclesiale del Mezzogiorno».

L’acuta intuizione del curatore non trovò proporzionato, però, approfondimento nel volumetto collettaneo Caterina Volpicelli nella “cordata di santi” dell’Ottocento meridionale, risultato della tavola rotonda promossa a Pompei nel 1994 dalla congregazione delle Ancelle.

Tutto questo, se ha reso più onerosa la mia fatica, mi ha fatto trovare il cammino sgombro da cliché, dai quali occorre tenersi lontano e dai quali non è sempre facile guardarsi. Il reale, scrisse con grande penetrazione Henri-Hirénée Marrou, ha una sua «sconcertante complessità», che «si sottrae da ogni parte agli schemi che vorrebbero imprigionarla».

Quando mi misi all’opera non conoscevo molto di Caterina Volpicelli, mentre avevo letto parecchio dell’ambiente in cui nacque e pose fine alla sua esistenza terrena. Sapevo che era vissuta in anni decisivi per la storia d’Italia, segnati dal turbinoso trapasso dal paternalismo borbonico al nuovo regno d’Italia, e che anche nella città partenopea il «funesto dissidio» tra Stato e Chiesa lacerò le coscienze di parecchi credenti. Tuttavia, appena messo  il naso nelle carte, mi accorsi  presto  che avevo quasi   da apprendere non solo  sulla persona e sulla spiritualità dell’ardente donna, ma anche sulla Napoli di secondo Ottocento: soprattutto sulle tante presenze femminili di estrazione nobile e altoborghese, per le quali Caterina fu un punto di riferimento per oltre un trentennio.

Per questo, nel delineare la sua biografia, mi sono proposto di non perdere di vista il quadro storico, cercando di raccogliere, nella misura in cui mi è sembrato utile, notizie su persone e fatti coevi, anche perché manca una ricostruzione storica d’insieme del vissuto del popolo cristiano della città e della diocesi di Napoli del suo tempo.  Ho cercato, soprattutto, di comprendere le ragioni profonde, che motivarono la sua azione.

Da questa convinzione discende l’ampia ricerca archivistica e bibliografica. Di notevole interesse s’è rivelata la documentazione dell’Archivio Storico Diocesano di Napoli, specialmente per la conoscenza di alcune vicende, rimaste finora inedite, che diedero parecchie pene alla protagonista di questa ricerca: le incomprensioni con il barnabita Antonio Maresca e con il gesuita Emile Regnault, la pubblicazione del periodico «La voce del Cuore di Gesù» e la penosa diatriba tra l’arcivescovo Sanfelice e il canonico Caruso da una parte,  e il cardinale Vincenzo Vannutelli dall’altra, nella quale alla Volpicelli toccò svolgere la proverbiale parte di chi è costretto a legare l’asino dove vuole il padrone. Né va dimenticata l’importanza della biblioteca e del carteggio di Caterina, custoditi nella casa centrale delle Ancelle del Sacro Cuore. Purtroppo si fanno desiderare alcuni volumi, di cui siamo informati dalle sue lettere, e parecchi documenti consultati da Jetti.

L’unità d’Italia, per Napoli, non significò solo la fine di un’epoca, ma anche la soppressione di conventi, monasteri, congregazioni religiose e seminari. Tutto questo ebbe una serie di conseguenze, imprevedibili fino a quel momento, e sul piano religioso e su quello socio-economico. In questo contesto profondamente dilacerato la perspicace donna, con lo sguardo rivolto al futuro, iniziò a immaginare un nuovo modo di vivere i valori spirituali e un nuovo modello di vita religiosa.

La società non è più il luogo da cui fuggire, rinchiudendosi nel monastero o nel convento, ma il campo in cui lavorare per riportarla agli ideali cristiani, da cui le classi sociali più elevate sembravano prendere sempre più le distanze. Non tutti allora capirono il suo progetto, troppo in anticipo sui tempi.

Tuttavia la generosa donna non chiuse gli occhi sulle miserie della sua città e non si sottrasse al dovere della carità: problema al quale guardò con l’occhio attento ai nuovi tempi, non facendosi ingannare da illustri esperienze del passato, meritorie nei tempi che furono ma adesso non più proponibili. Non ho trovato nella sua biblioteca, come mi sarei aspettato, i quattro volumi della Storia della carità napoletana di Teresa Filangieri, che teneva la Volpicelli in grande considerazione.

La benefica e colta duchessa, nel 1875, rilevava che dopo le soppressioni di congregazioni e case religiose, era diventato «necessità suprema e ineluttabile di educare le fanciulle alla operosità cristiana, affinché da questa esse possano trarre onestamente la vita». Auspicava, pertanto, una nuova istituzione capace di avviare le orfane a farsi un’istruzione e ad avere una qualificazione professionale, anche come «cameriere, operaie e fino serve-cuoche». Per una donna povera, affermava, la più ricca dote «è l’arte sua». In questo contesto culturale Caterina inserì il suo orfanotrofio delle Margherite, che mirava a fornire alle ragazze non solo un tetto e un pane per l’oggi, ma anche la possibilità di avere un lavoro onesto e remunerato per il domani.

Attenta ai problemi del suo tempo, la Volpicelli mise al centro della sua vita spirituale e del suo apostolato la devozione al Sacro Cuore. Una devozione, nata in Francia e presente a Napoli dal 1700, di cui divenne ardente propagatrice, grazie anche alla sua conoscenza della letteratura spirituale francese e ai suoi rapporti con alcuni personaggi di spicco dei movimenti d’oltralpe, fortemente impegnati nella diffusione di quella devozione.

Da tutto questo partono le sue relazioni con cardinali e vescovi, con prestigiosi ecclesiastici e personalità napoletane di alto rango, con fondatori e fondatrici di congregazioni religiose e con alcune caratteristiche figure, che segnarono in profondità l’Ottocento meridionale, i cui nomi il lettore troverà ampiamente evocati in questo libro.

Poiché questo lavoro non è la vita di una santa, cosa che non saprei e non ho inteso fare, né un libro di riflessione spirituale e di devozione, ma di storia, ho avuto cura di selezionare le fonti. Tra l’altro, ho sottoposto ad attento esame critico le deposizioni dei testi dei processi canonici, dal momento che essi vengono approntati non con la preoccupazione di dare un giudizio storico sul servo o sulla serva di Dio, ma in ordine alla valutazione dell’esercizio eroico delle virtù cristiane.

Dalla ricca documentazione archivistica e dalla bibliografia presa in esame mi pare che traspaia un ritratto sufficientemente fedele di questa interessante figura femminile dell’Ottocento. Non ho la presunzione di aver fatto un’opera perfetta, né di avere esaurito il tema. La ricerca storica, è noto, è sempre perfettibile;  ma ritengo di aver fornito parecchie indicazioni utili a quanti potrebbero essere interessati a una rivisitazione critica della storia religiosa e della società meridionale dell’Ottocento, scevra da apriorismi e da “sentito dire”.

Questo approfondimento aiuterebbe anche a comprendere meglio il rapporto tra «donne e fede» e «donne e religione», per dirla con espressioni care ad alcuni studiosi del nostro tempo. Ovviamente non parlo solo di donne monache, bizzoche o suore, ma di donne qualsiasi, coniugate o nubili che siano. Ne riceverebbe luce, tra l’altro, anche la vicenda delle numerose donne menzionate in questo lavoro e della stessa Caterina Volpicelli, una personalità peculiare nel panorama delle fondatrici di istituti di vita consacrata del suo tempo, che si occuparono prevalentemente di insegnamento, soprattutto dei piccoli, e dell’assistenza ai malati, negli ospedali e a domicilio.

Questa biografia è nata per il vivo interessamento delle Ancelle del Sacro Cuore. Ad esse, che con grande sensibilità hanno messo a disposizione la documentazione custodita nel loro archivio, va il mio caldo ringraziamento. Mi è gradito, inoltre, esprimere il mio cordiale grazie alla signorina Carmela Salomone, che con la sua intelligente solerzia ha agevolato l’indagine nell’Archivio Storico Diocesano di Napoli, e alle Ancelle Elena Santoro e Karin Paez, che con diligenza e sconfinata pazienza hanno condiviso con me il pondus diei et aestus.

 

 

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